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«I VANGELI DI FABRIZIO DE ANDRÉ - Riccardo Storti» la recensione di Rockol

Riccardo Storti - I VANGELI DI FABRIZIO DE ANDRÉ - la recensione

Recensione del 25 gen 2010

(Aereostella, 220 pagine, euro 20)

La recensione

Ormai è un sottogenere della pubblicistica a tema musicale, quello dei libri tematici su un album. Ne pubblica No Reply (ultima uscita, quello su “Electric Ladyland” di John Perry), ne pubblica anche Aereostella, che dopo quello di Antonio Oleari dedicato a “Senza orario, senza bandiera” dei New Trolls propone ora questo lavoro centrato su “La buona novella” di Fabrizio De André. L’occasione la porge un anniversario, secondo il sottotitolo del volume che recita “‘La buona novella compie 40 anni’”: ma non è propriamente così, perché “La buona novella” uscì - è scritto nel libro, a pagina 105 - il 19 novembre del 1970 (o forse uscì - è scritto sempre nel libro, a pagina 121 - fra la prima e la seconda settimana di gennaio del 1971). Se vogliamo, si potrebbe parlare di quarantennale dall’ideazione del progetto discografico, ma non credo di essere lontano dal vero se indico come spunto per la pubblicazione del libro la partenza - 13 novembre - di un tour della PFM che ripropone le canzoni di “La buona novella” insieme ai brani strumentali dell’album “Stati d’immaginazione”. Un’utile sinergia, dunque: del resto, Iaia De Capitani è al tempo stesso manager della PFM e editrice di Aereostella.

Il compito di sviscerare ogni aspetto di “La buona novella” è stato affidato a Riccardo Storti, già fondatore del Centro Studi per il Progressive Italiano e autore di “New Trolls. Dal pesto al sushi” e “Rock Map” (entrambi Aereostella, il secondo uscito, come quello di cui si scrive qui, nel 2009 - anno prolifico per Storti - e che mi piacerebbe leggere, anzi colgo qui l’occasione per richiederlo all’editore). E Storti ci si è messo d’impegno, affrontando il tema da molteplici punti di vista. Quello storiografico, che è anche quello che più m’interessa, è ben svolto, anche se decisamente carente di interviste a quanti col disco hanno avuto a che fare (cinque sole paginette - parlano Corrado Castellari e Gian Piero Reverberi - più un’altra decina in cui parlano Franz Di Cioccio e Franco Mussida, che suonarono nel disco, e Patrick Djivas, che non ci ha suonato ma è adesso nella PFM. E Giorgio “Fico” Piazza, e Flavio Premoli, e Mauro Pagani? e Angelo Branduardi e Maurizio Fabrizio?). Meno interessanti per me (ma è questione di gusti) sono le “interpretazioni” (le interviste a Don Andrea Gallo e al teologo Brunetto Salvarani), le esegesi dei testi, l’analisi dei singoli brani; mentre certe pagine del libro sembrano dettate soprattutto dalla necessità di ampliare il lavoro, con una apprezzabile volontà completistica ma a rischio di annacquare l’unità tematica. Comunque, bene. Scrivere la storia della canzone italiana è sempre un’impresa meritoria. Più siamo a farlo, meglio è. Avanti così.

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