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«TEATRO D'IRA - VOL. I - Maneskin» la recensione di Rockol

Zitti e buoni: i Maneskin suonano davvero. E fanno sul serio.

La recensione di "Teatro d'ira - Vol. I", il nuovo album. Rabbia e furore, tra schitarrate graffianti, linee di basso potenti, colpi duri alla batteria. E l'interpretazione sopra le righe di Damiano. Siete ancora in tempo per salire sul carro.

Recensione del 19 mar 2021 a cura di Mattia Marzi

Voto 8.5/10

La recensione

"Zitti e buoni": l'avvertimento rivolto agli hater era già chiarissimo nel testo del brano con il quale all'inizio del mese i Maneskin hanno trionfato a sorpresa al Festival di Sanremo 2021. Non un pezzo dedicato al prof che ai tempi del liceo voleva tarpargli le ali, come ha scritto chi è caduto nella trappola di @Dio, seguitissimo account anonimo noto per i suoi tweet sarcastici al quale il quartetto romano ha affidato nella settimana sanremese la gestione del proprio profilo ufficiale, ma una risposta sferzante alle critiche di quanti dal successo di Damiano David e soci a "X Factor" (si classificarono secondi nel 2017) in poi non hanno fatto altro che attaccarli. Approfittando forse della giovane età dei musicisti, che però stride con la loro preparazione musicale (basta parlarci cinque minuti per scoprire che la passione per il rock non è solo di facciata: dagli Arctic Monkeys ai power trio degli Anni '70, passando per i Sonic Youth, c'è di tutto nel bagaglio culturale di questi ragazzi): "Rock band? Semmai un'imitazione", "Non siete rock: siete pop", "Una band per ragazzine", e via dicendo. "Zitti e buoni" era solo un'anticipazione. Di che pasta sono fatti davvero, i Maneskin lo dimostrano ora con "Teatro d'ira - Vol. I", l'album che di fatto segna il ritorno sulle scene di Damiano David, Victoria De Angelis, Thomas Raggi ed Ethan Torchio a distanza di due anni e mezzo dall'esordio con "Il ballo della vita".

Il manifesto

All'epoca erano ragazzini appena usciti fuori da un talent (l'unico maggiorenne era Damiano), costretti a registrare in fretta e furia per cavalcare l'onda mediatica, cercando un compromesso tra le loro velleità artistiche e quel preciso momento della loro carriera. Stavolta hanno fatto sostanzialmente quello che volevano. E come lo volevano. Si sono rintanati per settimane in un casale con annesso studio di registrazione, il Mulino Recording Studio di Acquapendente, al confine tra Lazio e Umbria (è da lì che hanno presentato il disco con un mini live), come facevano i loro eroi negli Anni '70. E da soli, affiancati solamente da un produttore, Fabrizio Ferraguzzo, senza l'aiuto di autori e turnisti, hanno inciso quello che è a tutti gli effetti un manifesto di intenti, utilizzando amplificatori a valvola e banchi analogici (per moda o perché i dischi registrati così hanno effettivamente un suono migliore? A voi la risposta - ma magari la moda fosse questa, anziché plug-in e loop preimpostati). Se non è rock questo, nel panorama discografico mainstream italiano del 2021.

Rabbia e furore

Schitarrate graffianti, linee di basso potenti, batteria secca e dura. E l'interpretazione di Damiano, quasi sempre volutamente sopra le righe, a rimarcare la rabbia e il furore di quattro ventenni che con la loro musica vogliono infrangere barriere e spaccare il mondo. Il disagio cantato dai Maneskin è comune a quello dei loro coetanei, ma declinato in maniera diversa rispetto alla trap. Il successo non è un collanone o un orologio costosissimo al polso da ostentare per dimostrare di avercela fatta, ma un amuleto per scacciare via certi fantasmi del passato: "E tu stammi a un palmo dal culo testa di cazzo / ho sempre scelto di essere uno ed uno soltanto / toccare il cielo e ritornare a mangiare asfalto / a volte ho pianto / ma non è questo che mi ferma voglio il mio riscatto", urla Damiano ne "In nome del padre". È il rock crudo e spigoloso di "Zitti e buoni" a dettare la linea, l'umore del disco, che attraversa le decadi e le declinazioni del genere, dalle atmosfere dance Anni '80 di "I wanna be your slave" (un inno da grande festival europeo, con la chitarra e il basso che raddoppiano la linea melodica della voce - è, insieme a "For your love", ispirata dalle atmosfere dei club londinesi frequentati dalla band durante la brevissima parentesi britannica tra il primo disco e questo) alla ballata "Vent'anni". "Coraline" è una fiaba dark un po' De Andrè e un po' gothic rock, con un testo criptico che sembra parlare di stupro e incesto: "Coraline bella come il sole / ha perso il frutto del suo ventre non ha conosciuto l’amore / ma un padre che di padre è niente". Colpisce per intensità. E poi ancora rock grezzo con "Lividi sui gomiti", "In nome del padre", "Paura del buio", con arrangiamenti ancora più estremi del successo sanremese. 

E Marlena?

Dimenticate "Marlena", la misteriosa protagonista della ballata "Torna a casa", che nel post-"X Factor" consolidò il successo della band. Quello era solo un prologo: la carriera dei Maneskin comincia effettivamente da qui. Questi ragazzi suonano. Davvero. E fanno sul serio. Molto sul serio. Ascoltare per credere. Ma senza pregiudizi, come cantava qualcuno. È solo l'inizio e siete ancora in tempo per salire sul carro.

Tracklist

01. ZITTI E BUONI (03:14)
02. CORALINE (05:00)
03. LIVIDI SUI GOMITI (02:45)
04. I WANNA BE YOUR SLAVE (02:53)
05. IN NOME DEL PADRE (03:39)
06. FOR YOU LOVE (03:50)
07. LA PAURA DEL BUIO (03:29)
08. VENT'ANNI (04:13)

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