La spinta dietro a queste ripubblicazioni è in prima battuta strettamente utilitaristica: per evitare che ci sia un “buco” nella copertura del copyright delle registrazioni dell’anno 1967, la casa discografica le mette o rimette in circolazione allo scopo di allungare il periodo di protezione previsto dalle norme statunitensi.
Ben venga, comunque, questo espediente, se permette come in questo caso di fruire di materiale inedito (o in assoluto, o nella veste contenuta in questo doppio CD).
Il nucleo dell’album, due dischi con 65 fra canzoni, frammenti e outtakes, è “Wild honey”, l’album uscito l’11 dicembre del 1967, che qui è proposto per la prima volta in stereo; sono undici brani, parecchi dei quali, nel primo dei due CD, sono contenuti in più versioni (outtakes di studio e live).
Il secondo CD è ancora più ricco: oltre a dieci inediti provenienti dalle sessions di “Smiley smile” (l’album uscito a settembre del 1967) ci sono i tredici brani che vanno a costituire l’album “Lei’d in Hawaii”, pianificato e registrato ma mai ufficialmente pubblicato prima d’ora, più altri cinque provenienti dalle stesse registrazioni (che sarebbero dovute essere completamente dal vivo con pubblico, ma furono sostanzialmente realizzate dal vivo in studio), più, ancora, altri tre titoli registrati dal vivo durante il “Thanksgiving tour” dell’autunno 1967 e versioni di studio inedite di “Surf’s up” e “Surfer girl”.
Capite bene che con tutta questa roba da ascoltare, digerire, confrontare con altre versioni disponibili più o meno ufficialmente, per una recensione come si deve vi dovremmo far aspettare un paio di mesi.
Ma dato che il disco è comunque destinato ad appassionati e collezionisti, che presumibilmente ne sanno sui Beach Boys e sulla loro discografia molto di più di noi (e che trarranno grande godimento dal suo ascolto), ci limitiamo a questa infarinatura di massima sui contenuti; avvisando soltanto i meno impallinati che i Beach Boys che troveranno in questo doppio album sono quelli post-“Pet sounds”, cioè quelli nei quali la leadership di Brian Wilson fu messa in discussione, con un ritorno a temi ed atmosfere dei primi anni; quindi non aspettatevi le affascinanti elucubrazioni wilsoniane (nemmeno nei brani più significativi, che nella versione precedentemente conosciuta erano stati suonati da session men e qui invece lo sono dai Beach Boys) ma un’incarnazione più semplice, più spoglia – ma forse per questo più spontanea e genuina – della band californiana.
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