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«AURORA POPOLARE - Ministri» la recensione di Rockol

I Ministri prendono a schiaffi, ma non troppo

Il nuovo "Aurora popolare" cerca la rabbia sotto la sabbia, e un altro modo per vivere

Recensione del 21 set 2025 a cura di Lucia Mora

Voto 7/10

La recensione

Quando si pensa all’aurora, si pensa al silenzio. Alla quiete. Al canto degli uccellini, al sole che sorge e filtra dalle persiane, agli occhi che piano piano si aprono per accogliere il nuovo giorno. In una casa qualunque, l’aurora è così. A casa dei Ministri, invece, la musica è diversa. Letteralmente. La sveglia è un rock che pesta e che martella con il volume al massimo, ti tira giù dal letto di peso e ti prende a schiaffi finché non sei pronto a reagire. 

“Buuum”. No, non per modo di dire: è proprio il titolo della canzone che apre “Aurora popolare”, il nuovo disco con cui i Ministri si riprendono la scena tre anni dopo “Giuramenti”. Un’esplosione che fa pensare: oh, finalmente un po’ di sano e infuriato rock nel panorama italiano. La rabbia c’è, si sente, è palpabile, ma… l’impressione è che resti parzialmente inesplosa, salvo qualche picco qua e là.

“Avvicinarsi alle casse” e “Squali nella Bibbia” sono due ottimi esempi delle potenzialità del trio formato da Davide “Divi” Autelitano, Federico Dragogna e Michele Esposito: mettono in risalto il graffio della voce di Divi, l’incisività della chitarra di Dragogna e la potenza travolgente della batteria di Esposito. Nel momento in cui la musica si allinea al malessere che covano dentro (per il consumismo, le promesse non mantenute, la disillusione più bruciante), la rabbia è incanalata bene e arriva dritta allo stomaco, come dovrebbe. Col metal detector sulla spiaggia a cercar sotto la sabbia la nostra rabbia ruggiscono in “Squali”, e il rischio è proprio quello: che la rabbia resti sotto la sabbia.

Chiaro: il rock più spinto non è necessariamente l’unico e il solo veicolo utile a trasmettere un’emozione complessa come la rabbia. È innegabile però che quella sia la dimensione dove i Ministri danno il meglio di sé, perché è lì che si apre il canale di comunicazione più diretto e sincero con chi li ascolta. “Spaventi”, “Poveri noi”, “Terre promesse”: quando la spinta viene meno, certi brani suonano più ripetitivi, ma sono comunque funzionali a infondere in chi li ascolta le preoccupazioni di chi li ha scritti. Come gli anni che passano senza dircelo, o il rischio di accontentarsi di tutto, e poi luci, schermi, chiacchiere infinite, dittatori e dinamite.

“Tempo” è una parola che ricorre più volte tra le strofe del disco, e i Ministri sanno come impiegare il loro: cercando di compensare l’assenza dei grandi cantautori intellettuali che trovavano nella musica lo strumento di protesta per eccellenza. Una volta, quando la classe operaia era distintamente riconoscibile e compatta, era anche più facile farsene portavoce, suscitare appartenenza. Oggi lo sfruttamento c’è ancora, la disuguaglianza sociale anche, ma il mondo dei lavoratori è più frammentato, reso volutamente più fragile da decenni di politiche scellerate. Qui si riconosce il più grande merito dei Ministri: il desiderio – o la necessità – di farsi carico di generazioni esauste, di dare un microfono a chi piange al lavoro (possibile non ci sia altro modo per vivere?).

Se “Aurora popolare” fosse la scena di un film, sarebbe il finale del “Sol dell’avvenire” di Nanni Moretti, e non solo per l’affinità tra i due titoli: quando tutto il cast del film si riunisce per marciare insieme, uniti dagli stessi ideali e dal desiderio di un futuro migliore. «Il cinema non si fa solo per compiacersi di raccontare una brutta realtà. Il cinema si fa anche per sognare una bella e diversa realtà. Questi sono i sentimenti con cui nasce questo film». E anche questo disco.

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