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«DRIVE TO GOLDENHAMMER - Divorce» la recensione di Rockol

Drive to Goldenhammer, il felice esordio dei Divorce

Il quartetto di Nottingham mescola folk, indie rock e pop con originalità e grande scrittura.

Recensione del 18 mar 2025 a cura di Michele Boroni

Voto 8/10

La recensione

Si è soliti pensare che gli artisti e le band con una gamma di influenze incredibilmente ampia e che attingono da vari generi siano sempre quelli meno originali o, quantomeno, piuttosto dispersivi. Un'eccezione che forse conferma la regola di questi tempi è data dai Divorce. 
Il quartetto originario di Nottingham, qui al suo esordio con un album dopo una serie di singoli ed EP, ama sfidare le convenzioni e non solo per il fatto di riuscire a navigare tra i diversi generi, ma anche per come alternano umorismo e romanticismo, morbidezze e ruvidezze. 

Voci e scrittura

Al centro del fascino dell'album ci sono le voci  della bassista Tiger Cohen-Towell e del chitarrista Felix Mackenzie-Barrow, i due cantanti principali del gruppo: i toni leggeri ed eterei di Cohen-Towell sono spesso contrapposti al baritono di Mackenzie-Barrow, che culminano in un'atmosfera speciale fatta di armonizzazioni mai banali. 
Il Goldenhammer del titolo è una metafora che serve a identificare un luogo immaginario ispirato alla cultura delle East Midlands che, come la sua popolazione, può sembrare all'apparenza rude, ma in fondo è dolce e simpatica. E' raro trovare un disco di debutto così onesto, sicuro ed eclettico: l'impressione è che i Divorce non si prendano mai molto sul serio, sebbene i testi non siano tutti ironici. Ma è proprio la scrittura delle canzoni, dalla struttura variegata e dai bridge mai scontati, che porta a pensare a una band con anni di esperienza e competenza. 

Le canzoni

Fin dalle risate iniziali di “Antarctica” il mondo sonoro dei Divorce sembra un posto accogliente in cui stare: violini lontane si fondono con chitarre oblique e armonie vocali ipnotiche che evocano tutte le ispirazioni pop, rock e country. “Lord” stupisce con passaggi drammatici di grande composizione, “Karen” dedicata alla straordinaria Karen Carpenter a cui la voce della Cohen-Towell si ispira, parte come una dolente ballata per culminare in un drammatico pezzo grunge. “Hangman” è la canzone che gli Arcade Fire non riescono più a scrivere, ma poi c'è l'ode folk di “Old Broken String” e la Stvincentiana “Where do you go”. Anche i testi sono maturi, ad esempio in “All my freaks”, uno dei primi singoli immerso nei synth, è una caricatura tra l'umoristico e il tragico sull'ego degli artisti e del circo che si muove intorno a loro. 
Al contrario di altri dischi del genere, qui la produzione – di Catherine Marks già dietro alle boygenius, Foals, Wolf Alice – per quanto puntuale non è così fondamentale, perché qui è tutta questione di scrittura ed esecuzione, specialmente vocale.
Un disco che è tutto tranne che ripetitivo o poco avvincente. 

Dal vivo

Ho avuto la fortuna di vederli pochi giorni fa in uno showcase al Rough Trade East di Londra per la presentazione di questo disco  e sebbene avessero solo pochi strumenti acustici sono riusciti a trasmettere quell'abbraccio caldo che le loro canzoni, anche le più spigolose, riescono a trasmettere. Alla fine del set l'atmosfera che si respirava in quel negozio di dischi trasformato per l'occasione in sala concerto era quella di aver assistito alla nascita di un gruppo di stelle.  

Tracklist

01. Antarctica (03:14)
02. Lord (03:30)
03. Fever Pitch (03:28)
04. Karen (03:57)
05. Jet Show (03:20)
06. Parachuter (03:15)
07. All My Freaks (03:01)
08. Hangman (03:09)
09. Pill (05:09)
10. Old Broken String (04:46)
11. Where Do You Go (03:15)
12. Mercy (03:40)
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