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«MAYHEM - Lady Gaga» la recensione di Rockol

Gaga non compiace: disturba e divide. La recensione di "Mayhem"

Visionaria e caotica: l'ultima aliena del pop-rock spiazza con scelte bizzare. Ma ci fidiamo.

Recensione del 07 mar 2025 a cura di Mattia Marzi

Voto 7/10

La recensione

Se quelle di “Mayhem” siano effettivamente «alcune delle migliori canzoni che io ricordi», come le ha definite lei, lo dirà il tempo. A Lady Gaga, finora, ha dato sempre ragione. È stato il tempo a rendere in qualche modo un culto anche l’album che nel 2013 rischiò di compromettere quella carriera che con “The fame” e “Born this way” aveva reso Stefani Germanotta la Popstar, con la “p” maiuscola, della sua generazione, quell’”Artpop” fin troppo coraggioso e ambizioso che all’epoca sparì rapidamente dalle classifiche e che nel 2021 una petizione social dei fan riportò in classifica. Lo stesso tempo che nel 2022 vide “Bloody Mary” diventare, grazie a un trend su TikTok, una hit a scoppio decisamente ritardato: quando uscì “Born this way”, nel 2011, l’album di cui la canzone faceva parte, i discografici preferirono puntare come singoli su “You and I” e “Marry the night”, che oggi insieme contano poco più della metà (322,3 milioni) degli streams della sola “Bloody Mary” (631 milioni) su Spotify. E poi il tempo ha risparmiato la Mother Monster, così come la chiamano i fan, da quella crisi che ha colpito quasi tutte le star del pop degli Anni Duemiladieci, a partire dalla rivale di sempre Katy Perry, vittime del ricambio generazionale del music biz di questi anni: ha riconosciuto quanto lungimiranti fossero certe sue trovate, certe sue visioni. Il tempo premierà Gaga anche stavolta? Probabile.

Perché fidarsi di Lady Gaga, nonostante tutto

“Mayhem” è tutt’altro che un “instant classic”, nonostante singoli come “Disease” e “Abracadabra” già lo siano. Per non parlare di quella “Die with a smile” in duetto con Bruno Mars che ha superato quota 2 miliardi di streams su Spotify. E pensare che non doveva neppure essere nel disco: non a caso è la traccia che chiude l’album, quasi come una bonus track. Che c’azzecchi quella ballatona Anni ’70, demodé nei suoni e nella scrittura, con il pop dark e freak di “Mayhem”, lo sa solo lei: «È una parte enorme del mio album. Era come se questo pezzo fosse mancante». Ci fidiamo. Del resto, stiamo parlando di un’artista con la “a” maiuscola, imprevedibile, visionaria, a tratti anche disturbante. E divisiva, ché l’arte non deve sempre compiacere: in “How bad do u want me”, una delle quindici canzoni contenute nell’ideale successore di “Chromatica”, Gaga sembra scimmiottare la Taylor Swift di “Blank space”. Sembra l’unico, vero passo falso del disco. E viene da chiedersi che bisogno abbia l’ultima aliena del pop-rock di provare a imitare una collega di tendenza. Ma siamo sicuri che sia uno scimmiottamento e non una burla da parte di una provocatrice nata, ironica come pochi?

Un disco difficile

Tutt’altro che un instant classic, dicevamo. Già: “Mayhem” è un disco difficile, per niente immediato, anche se ultrapop, pieno di melodie e ritornelli che sembrano uscire dai dischi degli esordi (in “Abracadabra” rispolvera pure la melodia “balbettante” à la “Poker face” e “Bad romance”: «Abracadabra, amor-oo-na-na!»). Lo è nel modo in cui, libera dalla pretenziosità che spesso ha gettato ombre sul suo catalogo e anche dalle alte aspettative che sia lei che il suo pubblico hanno riposto in lei, Miss Germanotta spazia tra i generi, piegandoli alla sua volontà. Lo ha detto lei a Apple Music: «”Artpop” era una vibe. “Joanne” era un suono. “Chromatica” aveva un suono. Tutti diversi. “The fame monster” era più caotico. “The fame” era pop teatrale. “Born this way”, per me, aveva più un’atmosfera metal electro newyorkese. In realtà, nel creare “Mayhem”, ho fatto uno sforzo per non fare questo e per non cercare di dare un “abito” alla mia musica». È così.

Da Prince ai Talking Heads: tutte le (tante) influenze

In 53 minuti si spazia dall’electro-funk lisergico stile Prince e Talking Heads di “Killah” (c’è l’unico ospite accreditato del disco, il dj Gesaffelstein, vero nome Mike Lévy, già al fianco di The Weeknd e Daft Punk) alla disco stile Chic di “Zombieboy” (in cui ad un certo punto inserisce pure un assolo di chitarra hair metal), passando il rock elettronico dei Muse di “The 2nd law” di “Garden of Eden”. Tra le influenze che ha seguito insieme a musicisti e produttori come Cirkut, D’Mile e Andrew Watt lei cita «l’alternative Anni ’90, l’electro-grunge, le linee di basso funky, la musica elettronica francese e i sintetizzatori analogici».

Sulla copertina di "Mayhem" - che trovate qui sopra - Gaga si guarda a uno specchio in frantumi: «Anche se non riesci a rimettere insieme i pezzi perfettamente, puoi creare qualcosa di bello e completo a modo suo». Ha detto tutto lei.

Tracklist

01. Disease (03:49)
02. Abracadabra (03:43)
03. Garden Of Eden (03:59)
04. Perfect Celebrity (03:49)
05. Vanish Into You (04:04)
06. Killah (feat. Gesaffelstein) (03:30)
07. Zombieboy (03:33)
08. LoveDrug (03:13)
09. How Bad Do U Want Me (03:58)
10. Don't Call Tonight (03:45)
11. Shadow Of A Man (03:19)
12. The Beast (03:54)
13. Blade Of Grass (04:17)
14. Die With A Smile (04:11)
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