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«THE DARK SIDE OF THE MOON REDUX - Roger Waters» la recensione di Rockol

"The Dark Side of The Moon" aveva bisogno della versione "redux"?

Roger Waters tocca l'intoccabile e rimette mano al capolavoro dei Pink Floyf

Recensione del 06 ott 2023 a cura di Nino Gatti

Voto 7/10

La recensione

Cosa spinge un artista a realizzare una nuova versione di un lavoro universalmente considerato come perfetto e per questo motivo intoccabile? Riuscirà il buon Roger a reggere critiche e inevitabili confronti fra la nuova versione e l'originale? Waters, lo ha dimostrato ampiamente, è un artista libero e fortemente divisivo, tanto che all'inizio dei suoi recenti concerti accoglie gli spettatori con la sua voce che recita “se siete di quelli che “amo i Pink Floyd, ma non sopporto la politica di Roger”, fareste meglio in questo momento ad andare affanculo al bar”. Insomma, un'adorabile canaglia.

Roger Waters ha lavorato segretamente a questo progetto completandolo solo all'inizio del 2023. Da perfezionista, ha apportato modifiche su modifiche e la pubblicazione dell'album, attesa inizialmente a marzo, è stata spostata prima a maggio e infine al 6 ottobre 2023. Così come il disco del 1973, l'album è stato registrato negli Abbey Road Studios di Londra. I produttori sono Roger Waters e Gus Seyffert. Waters canta e recita alcuni testi e dal suo tour attuale recupera Gus Seyffert, che suona basso, chitarra, percussioni, tastiere, sintetizzatori e cori; Joey Waronker si divide tra batteria e percussioni; Jonathan Wilson spazia tra chitarra, sintetizzatore e organo;Jon Carin alle tastiere, lap steel, sintetizzatore e organo e Robert Walter al pianoforte. Gli altri musicisti sono Johnny Shepherd, che muove le dita su organo e piano; Via Mardot, a produrre alcuni suoni magici con il Theremin; Azniv Korkejian, che aggiunge la sua voce; infine Gabe Noel, che cura gli arrangiamenti, gli archi e suona il Sarangi. Sean Evans ha curato la grafica e il design dell'album, mentre la fotografia è affidata a Kate Izor. Quattro dunque le nuove figure che hanno collaborato con Waters per la realizzazione di questo album. Azniv Korkrjian, in arte Bedouine, è una artista siriano-americana ed è la fidanzata di Gus Seyffert. Altra giovane è Via Mardot, una pluristrumentista americana nata nella città di Olanda (Michigan), che quest'anno ha pubblicato un album intitolato “Fragments”. La sorpresa è la presenza di Johnny Shepherd, direttore del coro e organista della chiesa battista Zion Baptist Church di Shreveport, nella Louisiana, famoso per i suoni che riesce a tirar fuori dall'Hammond. Shepherd ha collaborato al recente album “Heavy Sun” di Daniel Lanois. Gabe Noel, classe 1985, è nato a Chicago e suona il violoncello dall'età di quattro anni; compositore e musicista, vanta numerose collaborazioni ed è molto attivo nella zona di Los Angeles.

“Redux” segue la stessa cronologia dell'album del 1973, lasciando a Speak To Me il compito di introdurre le altre canzoni. Tra i solchi di quello che nel 1973 offriva una overture attraverso un collage sonoro dei temi del disco, si nasconde la prima sorpresa della nuova versione. Cinguettii in sottofondo, un tenebroso suono di vento (reminiscenze dal passato dei Floyd, che spesso dal vivo ricorrevano a questo genere di effetti) e il classico battito del cuore fanno da base alla voce di Waters che recita con tono pacato il testo di Free Four, una canzone che i Pink Floyd avevano inciso nel 1972 per la colonna sonora del film La Vallée di Barbet Schroeder. Free Four è contenuta nella soundtrack di quel film, l'album Obscured By Clouds dei Pink Floyd, pubblicato nel giugno 1972 ma che contiene canzoni composte e incise dalla band successivamente a quelle di “Dark Side”, che sarebbe uscito nel marzo 1973 (Dark Side era stato presentato dal vivo nel gennaio 1972 e le sedute di registrazione di Obscured By Clouds erano avvenute tra marzo e aprile di quell'anno). La scelta di affidare a Free Four l'apertura del Redux non è casuale e sembra quasi logica: questa canzone, dall'andatura scanzonata e leggera (nell'estate 1972 finì su singolo, ottenendo un successo di vendite e di gradimento soprattutto nelle radio americane), proponeva un testo dalle tinte oscure e dense di pessimismo watersiano che ben si ricollegano a Dark Side: “I ricordi di un uomo in età avanzata / sono le azioni di un uomo nel fiore degli anni / Ti muovi nel buio della stanza del malato / E parli a te stesso mentre muori”. A portare il tema della guerra e della storia personale di Waters c'è la frase “Ma tu sei l'angelo della morte / E io sono il figlio del morto / È stato sepolto come una talpa in una fossa”. In Free Four Waters rivolge anche alcune considerazioni amare sul destino della band, in quei mesi alla ricerca del successo di pubblico: “Così tutti a bordo per la tournée americana / E forse riuscirete a raggiungere la vetta / Ma badate a quel che fate, ve lo posso dire perché lo so / potrebbe essere difficile uscirne”.
Le parole aggiunte da Waters offrono un inedito confronto tra l'adulto di oggi e il giovanotto del passato, uno specchio dentro al quale si riflette e si ritrova cambiato ma sempre uguale, così sicuro di se stesso che nel Redux non ha modificato neanche una parola dei testi originali.

Un inizio coraggioso, che pone l'ascoltatore davanti a un bivio: affrontare questa nuova esperienza suggerita da Waters o rifugiarsi nelle sonorità familiari del 1973, tra la slide di Gilmour, i ruggiti dell'Hammond di Wright e la potente dolcezza della batteria di Mason? 
Andiamo avanti. La voce di Roger Waters si solleva con difficoltà su quelle poche note ancora riconoscibili di Breathe, introdotta dall'acustica che fa pensare alla versione proposta da David Gilmour nel documentario The Dark Side Of The Moon del 2003. Prima che abbia inizio il cantato di Breathe, Waters aggiunge la lettura quasi recitata delle parole finali di Free Four, legando insieme e non solo musicalmente le prime due tracce e i temi proposti. Breathe, breathe in the air... quante volte abbiamo ascoltato la voce di Gilmour, la stessa che aveva introdotto la reunion del Live 8 del 2005? Adesso a vibrare sono le malconce corde vocali di Waters, sostenuta dai cori e da sprazzi pieni di vibrazioni di Hammond e accenni di archi orchestrali. Una voce di chi sembra non avere più voce: per poter cantare da ottantenne le canzoni del 1973, Waters ha dovuto abbassare i toni delle canzoni. Nonostante tutto, Roger riesce a recuperare le giuste vibrazioni per sussurrare quelle parole, prendendo in prestito gli stili graffianti di Leonard Cohen o di Tom Waits.

On The Run apre con la voce di Waters che si staglia in un ambiente sonoro che ricorda “The Final Cut”, con i suoni degli pneumatici sul ciglio di una strada. Qualche secondo e la musica riprende il tema del 1973, semplificato e quasi umanizzato anche dalla presenza di alcuni accenni orchestrali, con un break al primo minuto che fa pensare a un incidente (si ripete più avanti nel brano). Come era stato anticipato dai media lo scorso febbraio, Waters ricordava di aver avuto un brutto sogno e ne aveva trascritto una descrizione accurata sul suo portatile. L'artista recita quel sogno all'interno di On The Run. In queste parole si celano i fantasmi che quella notte hanno infestato i suoi sogni: “È stata una rivelazione, quasi patmosiana, qualunque cosa significhi... una lotta con il male, in questo caso una figura apparentemente onnipotente incappucciata e ammantata... non ammetteva confutazioni”.

Il racconto non si ferma e in assenza delle classiche sveglie del 1973, introduce la nuova Time, che recupera l'atmosfera cupa e profonda delle versioni live del 1972, impreziosite dalla chitarra acustica destinata ad addolcire i suoni. Cori e archi sostengono la voce di Roger, rendendo quanto più possibile eterea l'atmosfera. Il solo che fu di Gilmour viene sostituito da un vibrante Hammond e dalle stregonerie elettroniche del Theremin. Quando gli archi volano sulle dolci note che anticipano le ultime due strofe, sei così dentro il Redux che le emozioni ti fanno dimenticare ogni possibile e inutile confronto con il passato.
Breathe (Reprise), prosegue il dolce duetto tra acustica e organo, con interventi secchi e decisi degli archi che scuotono gli iper-stimolati padiglioni auricolari. 

The Great Gig In The Sky, che nel 1972 veniva presentata dal vivo col titolo The Mortality Sequence, viene introdotta con un solenne suono di campana che si fonde con i cinguettii. Ecco muoversi le dolci note del pianoforte di Robert Walter, seguite di lì a poco dagli archi e da un inedito pattern vocale e strumentale che scoprirete durante il vostro ascolto. Torna la narrazione di Waters, che rilegge alcune frasi di una lettera, scritta da Kendall Currie, l'assistente del poeta americano Donald Hall, in ospedale per curarsi dal cancro. Waters aveva risposto alla Kendall raccontando del suo spettacolo a Zagabria del 6 maggio 2018, al termine del quale aveva letto One Road, una storia scritta da Hall il 1 marzo 2013. Waters racconta all'interno di Great Gig dell'amicizia nata con la Kendall fino alla morte del poeta (avvenuta nel 2018), comunicazioni che hanno toccato vari temi, tra cui la vendita dell'eredità di Hall. 

Il rumore del motore di un aereo conclude Great Gig e apre Money, che offre un altro cambio di atmosfere. Money riporta alla mente la celebre demo di Waters targata 1971 (cercatela in rete), quando l'artista si affidava soltanto a voce e chitarra per lanciarsi in un blues che riporta alla memoria i suoni che provenivano dal Delta del Mississippi come Robert Johnson (guarda caso uno dei punti di riferimento dello stesso Tom Waits). Adesso ritroviamo le emozionanti sonorità dell'Hammond che rimpiazzano il Farfisa e il Wurlitzer della versione 1973. Waters azzera anche qui lo spazio che nel disco originale era dedicato a sax e chitarra, per inserire una sezione recitata dai toni ironici, prendendo di mira la figura di un essere avaro attivo sul ring per combattere in difesa dei suoi averi, a costo di arrivare ad assicurarsi la vittoria grazie a un patto con il diavolo. Una versione che nonostante le profonde modifiche strutturali, continua a mantenere la forza e l'energia dell'originale.
Us And Them è il pezzo più simile alla band version del 1973, reso più regale dalla presenza degli archi, come se Waters volesse conservare le atmosfere di uno dei brani più belli del compianto Wright. Anche qui i cori femminili sostengono la voce dell'artista, ricordandoci della particolare cura che è stata riservata agli arrangiamenti vocali di tutto il Redux.
Arriva così l'attesa Any Colour You Like. Meno psichedelica della versione 1973, quasi ballabile, sempre che sia possibile ballare una canzone dei Pink Floyd, comunque splendente come non mai. È l'unico brano dell'album nel quale Waters offre il suo supporto strumentale, aggiungendo basso e Vcs3. Anche qui l'artista propone la lettura di un testo, questa volta riferito alle bandiere. “Quale bandiera? Qualsiasi colore ti piaccia. Blu e giallo... rosa... rosso... nero... arcobaleno... sì arcobaleno”. I colori dell'arcobaleno come quelli sulla copertina di “Dark Side” (anche se la Hipgnosis ne aveva usati sei e non sette), come quelli delle bandiere della pace. Bandiere che differenziano o che uniscono. Siamo tutti diversi ma uniti da una stessa bandiera, nella quale ci riconosciamo tutti, senza distinzione. Stupenda.

Ci si avvicina al finale di Dark Side, con le due canzoni che dal vivo provocano tutte le volte un infarto emotivo al quale è impossibile sfuggire. L'Hammond introduce Brain Damage è iniziata da una manciata di secondi che ti ritrovi subito l'onnipresente voce di Waters: “Perché non registriamo nuovamente Dark Side?”. Segue un sogghigno e subito dopo una nuova frase: “È impazzito”, quasi un richiamo alla voce di Chris Adamson (uno dei roadie della band) che apriva l'album del 1973: “I've been mad for fucking years, absolutely years”. Waters si compiace di se stesso, del coraggio che lo ha portato a reinterpretare l'intera Dark Side. Sembra sfidare la follia che lo ha sempre spaventato, terrorizzandolo al pensiero di essere destinato alla tragica sorte che gli ha portato via l'amico degli anni d'oro di Cambridge, l'altro Roger, conosciuto da tutti come Syd.

Negli ultimi secondi del brano, quando senti che sta per giungere il gran finale, gli strumenti sembrano finalmente allinearsi come pianeti erranti, per esplodere nella conclusiva Eclipse, scandita dai colpi secchi e solenni della batteria di Joey Waronker. Mai. Mai. Mai una volta che questa canzone riesca a lasciarmi gli occhi asciutti. Troppi i significati racchiusi, tantissimi i momenti da ricordare, innumerevoli i riflessi luminosi che la luna prova a nascondere offuscando il sole. E quel battito del cuore finale, che è vita ma anche tutto il contrario della stessa, ti indica ritmicamente che la puntina sta per finire il suo percorso tra i solchi delle emozioni. “There's no dark side of the moon really. In matter of fact, it's all dark”. Era la frase dell'irlandese Gerry O'Driscoll che chiudeva “Dark Side”. Gerry era il portiere degli studi Abbey Road; così come per altri personaggi (tra i quali i coniugi McCartney), era stato chiamato da Waters (ancora lui!) per rispondere a una serie di domande che sarebbero state spalmate all'interno del disco per rendere universali i temi delle canzoni. Waters decide di chiudere la “sua” Dark Side rispondendo direttamente al buon Gerry, volato nei cieli da qualche anno, con queste parole: “Ti dirò una cosa, Gerry, vecchio mio. Non è tutto buio, vero?”.

Per quelli che si concentreranno solo sulla musica, senza fermarsi ai significati nascosti tra le parole vecchie e nuove composte da Waters, e che troveranno particolarmente fastidioso ed esasperante la Redux di Waters, lascio un ultimo pensiero. E se Roger, convinto del torpore non solo mentale di molti suoi fan, avesse voluto lanciare di proposito questa pietra nello stagno, per “vedere di nascosto l'effetto che fa”?
Vecchia volpe, come al solito hai sempre ragione...

Tracklist

01. Speak to Me (01:54)
02. Breathe (03:22)
03. On the Run (03:47)
04. Time (07:19)
05. Great Gig in the Sky (05:47)
06. Money (07:32)
07. Us and Them (07:36)
08. Any Colour You Like (03:18)
09. Brain Damage (04:55)
10. Eclipse (02:20)
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