Il giorno in cui Elton John smise di essere solo una promessa
Nel 1971 Elton John aveva ventiquattro anni, un talento già riconosciuto ma ancora in bilico tra la promessa e la consacrazione. Quando, il 5 novembre di quell’anno, pubblicò "Madman across the water", nessuno poteva sapere che quel disco avrebbe segnato il punto di svolta, il momento in cui la sua identità artistica avrebbe smesso di cercare forma per trovarla definitivamente. Come spesso accade con le opere più complesse, il tempo ha rivelato il peso specifico di quello che non fu un successo immediato, ma un tassello decisivo nella costruzione della leggenda.
"Madman across the water" fu il quarto album in studio pubblicato da Elton John, e arrivava dopo un anno che raccontava più di qualsiasi aggettivo la furia creativa di quell’epoca. Nell'aprile del 1970 era stato pubblicato il secondo eponimo album del musicista di Pinner, che tra le altre cose includeva "Your song", sua prima hit e tutt'ora tra i suoi classici più amati. Pochi mesi dopo era già la volta di "Tumbleweed connection", giunto come terza prova della forza del sodalizio tra Elton John e Bernie Taupin. Sulla scia del fervore creativo di quel periodo, tra febbraio e agosto di 54 anni fa, ai Trident Studios di Londra venne registrato un lavoro più introverso, più orchestrale, più ambizioso, per cui furono coinvolti un gran numero di turnisti, mentre Paul Buckmaster orchestrò gli arrangiamenti degli archi. In quel tempo e in quello spazio trovarono la propria ragione d'essere nove canzoni, nessuna superflua, tutte dilatate nel tempo e nella struttura, lontane dalla forma del singolo immediato e radiofonico.
Pur non essendosi imposto come successo clamoroso all'epoca della sua uscita - fermandosi al quarantunesimo posto nella classifica britannica, e salendo solo fino all'ottavo posto in quella statunitense - l’album conteneva alcune delle canzoni diventate poi tra i brani più duraturi del repertorio di Elton John. "Tiny dancer", traccia d’apertura, sarebbe diventata un classico assoluto e uno dei cavalli di battaglia nei concerti, destinata a entrare nel canone della musica pop, mentre il successivo pezzo "Levon" consolidò la fama del musicista come compositore di prima grandezza. In conclusione, è posta "Goodbye", un commiato sobrio e malinconico che sembra sigillare un capitolo. Nonostante il risultato artistico fosse notevole, al tempo Elton non sembrava troppo entusiasta del risultato: "Direi che mi sono liberato di tre anni di schifezze", dichiarò John in un'intervista per Sounds concessa all’inizio del 1972: "Può sembrare un’affermazione dura, ma ci sono tre anni di canzoni e di vecchio materiale che finalmente ci siamo lasciati alle spalle. Avrei voluto fare un album più essenziale quando abbiamo inciso Madman, ma alla fine lo abbiamo registrato perché dovevamo farlo. È stato un processo doloroso, portato avanti sotto pressione, e trovo straordinario che sia venuto davvero bene". Per inquadrare meglio il pensiero di allora espresso dal musicista di Pinner, va ricordato che nei soli diciannove mesi trascorsi dall’inizio delle session per il suo album eponimo fino all’avvio dei lavori su "Madman across the water", Elton aveva portato a termine tre tour negli Stati Uniti e altrettanti nel Regno Unito, ritrovandosi a incastrare le lavorazioni ai Trident Studios del 1971 tra 61 concerti in America, Giappone, Australia e Inghilterra.
L’intensa attività dal vivo finì per prosciugare il tempo e le energie dedicate alla scrittura, tanto che Elton John e Bernie Taupin avevano ormai esaurito quasi del tutto il bagaglio di canzoni accumulate nei primi tre album, e quell’anno riuscirono a comporre appena otto nuovi brani, lavorando per la prima volta separatamente. Due pezzi già incisi, "Honey roll" e "Can I put you on", vennero dirottati sulla colonna sonora del film "Friends", mentre i viaggi e le esperienze oltreoceano iniziarono a filtrare nei testi di Taupin, che tradusse in musica le suggestioni assorbite accompagnando in tournée il fido collaboratore. "Tiny dancer" diventò quindi una sorta di lettera d’amore al clima, all’atmosfera e, soprattutto, alle donne della California, mentre "Indian Sunset" indagava una comprensione più profonda della condizione dei nativi americani.
Seppur la scrittura e la registrazione dell’album furono influenzate dal caos di quel periodo, non si può dire che "Madman across the water" non colpì comunque nel segno. E nel corso del mezzo secolo successivo, il disco si è consolidato nel cuore dei fan di ogni età e dello stesso Elton John. Oltre a includere nel "Farewell yellow brick road tour" (qui il nostro racconto della data allo Stadio San Siro di Milano del 2022) ben tre brani tratti dall'album del 1971, nella sua autobiografia "Me" del 2019, Sir Elton ha scritto: "Io adoro 'Madman across the water'. All’epoca ebbe molto più successo in America che in Gran Bretagna: entrò nella Top Ten là, ma arrivò solo al numero 41 in patria. Non è un disco particolarmente commerciale; non c’erano grandi singoli di successo, e le canzoni erano molto più lunghe e complesse di quelle che avevo scritto in precedenza. Alcuni dei testi di Bernie somigliavano a un diario dell’anno appena trascorso. Una canzone, 'All the nasties', parlava di me, mentre mi chiedevo ad alta voce cosa sarebbe successo se mi fossi dichiarato pubblicamente: 'Se dovesse accadere che me lo chiedano – cosa risponderei? Mi criticherebbero alle spalle? Forse dovrei lasciarli fare'. Nessuno, letteralmente nessuno, sembrò accorgersi di cosa stessi cantando".
Il titolo, "Madman across the water", restituisce tuttora lo spirito di un periodo in cui Elton John non temeva di sperimentare. Era un musicista che scriveva con il pianoforte come se fosse un’orchestra e che cercava nella collaborazione con Taupin un linguaggio capace di unire teatro, introspezione e rock. Quell’audacia, che a molti apparve un azzardo, fu in realtà il primo segno della piena maturità di John, segnando il passaggio da promessa della canzone inglese a figura capace di espandere i confini del pop. È qui che nasce il suo vero sé artistico, non ancora il personaggio scintillante che riempirà gli stadi, ma l’autore che sa fondere forma e visione, intimità e grandiosità. Dopo questo disco, arrivò nel maggio del 1972 "Honky Château", l'album di "Rocket man", il progetto di studio che portò finalmente Elton John al vertice delle classifiche, piazzandosi al secondo posto della chart britannica e conquistando la vetta Oltreoceano. Successivamente, il 26 gennaio 1973, uscì "Don't shoot me I'm only the piano player" e nell'ambito della promozione del disco, nell'agosto di quell'anno Elton John e Bernie Taupin sentirono rivolgersi dall'edizione statunitense di "Rolling Stone", "La risposta generale della critica a 'Don't shoot me I'm only the piano player' è stata che rappresentava la fine del triennio di ascesa, caduta e rinascita di Elton John. Ti sembra un giudizio equo?". I due musicisti tornarono quindi a "Madman across the water" nella risposta. La voce di "Tiny dancer" spiegò: "Tutti si sono inventati questo mito della 'caduta'. Forse si riferiscono a 'Madman across the water'. Non arrivò nella Top Ten o nella Top 20 in Inghilterra, ma vendette comunque 65.000 copie, che non è affatto male. Credo che, siccome non pubblicammo singoli per un anno e mezzo, la gente pensò che fossimo finiti, ma l’album in realtà andò benissimo ovunque nel mondo. Quella, se vogliamo, fu la nostra 'caduta'".