L’Italia ha ancora bisogno di un giullare come Rino Gaetano

Ogni momento è buono per ricordare Rino Gaetano. Soprattutto in questo 2025, a 50 anni da “Ma il cielo è sempre più blu” e a 75 dalla nascita della straordinaria voce di Crotone. Ieri sera, peraltro, Giorgio Verdelli ha presentato il suo “Rino Gaetano: sempre più blu” alla Festa del Cinema di Roma, per ripercorrere e rivivere la parabola umana e artistica di un cantautore in costante bilico tra satira e poesia.
Quando debutta negli anni Settanta, la tradizione cantautorale italiana è al suo apice. Difendere ideologia e valori è l’ordine del giorno, l’impegno politico un must imprescindibile per chiunque voglia definirsi cantautore. Il processo pubblico a Francesco De Gregori da parte dei giovani della Sinistra extraparlamentare rende abbastanza bene l’idea del clima che aleggia attorno ai palcoscenici. Il cantautore, in quanto “compagno” e portavoce degli ultimi, deve necessariamente essere schierato e politicamente attivo. L’esordio di Rino Gaetano con “Ingresso libero” è quasi un sacrilegio: relazioni sentimentali, testi nonsense, amicizie, droghe leggere, giochi di parole. Niente proletariato, se non per un accenno all’autunno caldo nell’ultima traccia, molto narrativa, “L'operaio della FIAT «la 1100»”. Un cortocircuito nel sistema.
Nel luglio del 1974, quando esce il primo disco, Gaetano ha solo 23 anni, ma ha già capito quale sarà la cifra stilistica del suo canzoniere: l’ironia. Come la leggerezza calviniana, ironia non significa né superficialità né gioco, anzi: è una forma di resistenza che, all’occorrenza, sa essere tagliente eccome. Dietro alla voce nasale, dentro a rime apparentemente assurde si nasconde uno sguardo spietato sul Paese, sui suoi compromessi, le ipocrisie, l’incapacità collettiva di guardarsi allo specchio. Nelle canzoni di Rino l’Italia ride per non piangere, danza sulle macerie e si diverte, nonostante i suoi mille contrasti. Ama e odia, si sposa e si lascia. Come se non conoscesse altro modo di vivere che il caos.
Come i giullari nelle corti, intellettuali travestiti da buffoni, liberi di dire ciò che volevano perché esclusi dalla lotta di classe e legittimati a smascherare il re con la parodia, Rino Gaetano sceglie la via del comico come atto politico, in un momento in cui la canzone d’autore si prende anche troppo sul serio. Nel suo teatro dell’assurdo, tutti sono sullo stesso piano, le maschere sociali cadono. E come ogni giullare che si rispetti, trasforma l’amaro in sorriso; dice la verità quando nessuno vuole sentirla.
La sua musica mescola quotidiano e surreale, satira e lirismo; una contaminazione coraggiosa e unica, tra leggerezza e disperazione. Non appartiene agli anni Settanta perché non è un autore del suo tempo: è interprete di un presente che è eterno. La sua penna non può invecchiare, perché la realtà avrà sempre quell’aspetto lì: una barzelletta uscita male, che ci ferisce, ma che alla fine, tutto sommato, ci fa anche un po’ sorridere.