K-pop mania: come le band sudcoreane conquistano anche l’Italia

Cercando “K-pop in Italia” sui motori di ricerca, ci si imbatte in una rete di siti, pagine e canali social che riflettono l’attività di una comunità in crescita, capace di trasformare l’interesse per la musica e la cultura sudcoreana in iniziative concrete. Il K-pop ha ormai radici solide anche in Italia, non solo come genere musicale ma come fenomeno culturale che coinvolge diverse sfere della società. Non è più una tendenza confinata, e la popolarità della serie Netflix "KPop Demon Hunters", che segue le avventure delle Huntr/x, girl band k-pop con una doppia vita da cacciatrici di demoni, con una colonna sonora che ha superato miliardi di stream, ne conferma la penetrazione nella cultura popolare. Si è quindi verificato un passaggio che lega l’intrattenimento audiovisivo alla diffusione globale di un linguaggio musicale dove idol, coreografie e narrazione visiva formano un’unica struttura.
Cosa significa K-pop: origini, sistema degli idol e linguaggi
Il K-pop (abbreviazione di "Korean popular music") definisce una forma di musica popolare originaria della Corea del Sud e il genere musicale a cui il termine fa riferimento in senso colloquiale è emerso negli anni Novanta come sottocultura giovanile, quando l’hip-hop, l’R&B e la dance occidentale incontrarono la tradizione musicale locale. Un punto di svolta è legato a Seo Taiji and Boys, pionieri di una fusione che combinava rap, techno e rock in un linguaggio nuovo, capace di intercettare l’energia degli adolescenti sudcoreani. La loro popolarità spinse l’industria a guardare a un pubblico giovane e a sperimentare con nuovi modelli di produzione. Fu in quel contesto che Lee Soo-man, fondatore di SM Entertainment, elaborò alla fine degli anni ’90 il "sistema degli idol”, con programmi di addestramento intensivo, destinato a plasmare intere generazioni di artisti, cantanti, ballerini e performer formati fin da giovanissimi per diventare star complete. Gruppi come H.O.T. e S.E.S. inaugurarono la cosiddetta prima generazione del K-pop, seguiti negli anni 2000 da TVXQ e BoA, che portarono il genere in Giappone aprendo la strada a una diffusione internazionale.
Sembra che il termine "K-pop" venne usato per la prima volta alla fine degli anni ’90 in un articolo della rivista statunitense "Billboard" firmato da Cho Hyun-jin, e si impose a livello internazionale negli anni 2000, mentre in Corea il termine più diffuso resta "gayo", utilizzato per indicare la musica pop nazionale. Dal punto di vista estetico e musicale, il K-pop è un sistema ibrido che unisce elementi melodici occidentali e influenze afroamericane – hip-hop, R&B, soul, funk, house, Afrobeats – con una componente performativa basata su coreografie complesse, formazioni sincronizzate e passi-chiave ripetuti. La formazione degli idol è appunto parte integrante del processo: aspiranti adolescenti entrano nelle agenzie come trainee, spesso attraverso audizioni, e trascorrono anni di addestramento in cui imparano canto, danza, lingue straniere e tecniche di comunicazione. Un modello altamente regolamentato, criticato per i suoi costi e la rigidità, ma allo stesso tempo centrale per costruire un prodotto culturale che non è soltanto musica, ma anche immagine, linguaggio visivo, valori e identità collettive.
Band e gruppi simbolo: storia, carriera e ascesa
Se la prima generazione ha posto le basi, il salto globale è arrivato con i gruppi della terza e quarta ondata. I BTS hanno incarnato il passaggio da fenomeno locale a caso planetario, diventando la prima realtà musicale sudcoreana a raggiungere sia la vetta della Billboard 200 nel 2018 con l'album "Love Yourself: Tear", che della Billboard Hot 100 grazie al singolo "Dynamite" del 2020, e a riempire poi stadi interi negli Stati Uniti ed Europa. Il loro modello, basato su testi autobiografici, presenza costante sui social e un rapporto simbiotico con la fanbase nota come "ARMY", ha dimostrato la capacità del K-pop di superare barriere linguistiche e culturali. Il gruppo - formato da RM, Jin, SUGA, j-hope, Jimin, V e Jung Kook - sta ora preparando il proprio ritorno, dopo che i sette i membri hanno completato il servizio militare obbligatorio. Lo scorso luglio la band ha annunciato che il prossimo anno tornerà ufficialmente in attività con un nuovo progetto discografico e un'importante serie di concerti.
Parallelamente, le Blackpink hanno imposto un nuovo paradigma per le girl band: quattro personalità complementari, collaborazioni con star occidentali e un’influenza nella moda che le ha rese muse di brand di lusso e volti di campagne globali. Nato sotto l’ala di YG Entertainment, il quartetto formato da Jisoo, Jennie, Rosé, Lisa, ha accumulato record, miliardi di ascolti, riconoscimenti e prime posizioni nelle classifiche globali, fissando nuovi parametri per l’intero settore. A partire dalla pubblicazione dell'album d'esordio "The album" del 2020, che è stato il primo disco di un gruppo femminile in Corea del Sud a vendere un milione di copie, mentre il successivo "Born pink" del 2022 è stato il primo a superare i due milioni di copie, il primo di una girl band a raggiungere il numero uno della Billboard 200 statunitense dai tempi delle Danity Kane nel 2008, e il primo di un gruppo femminile coreano a conquistare sia la vetta della Billboard 200 sia quella della UK Albums Chart. Oltre ad agire come gruppo compatto conquistando anche i palchi di tutto il mondo, arrivando a esibirsi in concerto anche in Italia per il loro primo passaggio tricolore lo scorso 6 agosto all'Ippodromo Snai La Maura di Milano, oggi Jennie, Lisa e Rosé spingono quell’esperienza oltre, scegliendo percorsi individuali che sfidano i modelli tradizionali dell’industria e aprono spazi a nuove forme di espressione. Ognuna di loro, a proprio modo, è un'icona: basti pensare che grazie a Lisa, il mondo intero è venuto a conoscenza dei pupazzi Labubu e degli altri prodotti Pop Mart.
Stray Kids e Seventeen portano avanti la stessa eredità, puntando su strategie differenti: i primi con produzioni musicali autogestite e sonorità potenti che hanno trovato terreno fertile in Europa e America Latina, i secondi con performance corali e un sistema di sub-unit che ha permesso di esplorare stili diversi mantenendo un’identità unica.
Composto da otto membri - Bang Chan, Lee Know, Changbin, Hyunjin, Han, Felix, Seungmin e I.N, dopo che Woojin ha lasciato la formazione nel 2019 - il gruppo degli Stray Kids si è formato a Seul nel 2018 tramite il reality show che ha poi dato il nome alla band. Hanno debuttato dal vivo in Italia lo scorso anno all'Ippodromo Snai La Maura di Milano il 12 luglio, freschi del successo del loro terzo album in studio in lingua coreana, "5-Star" del 2023, che ha raggiunto la vetta della Billboard 200. La band è poi tornata dalle nostre parti per uno show andato in scena lo scorso 30 luglio a Roma, anticipando l'uscita del nuovo album "Karma", che ha debuttato alla prima posizione della classifica degli album statunitense.
La particolarità dei Seventeen sta nelle declinazioni dei propri componenti. Il gruppo è composto da 13 membri - S.Coups, Jeonghan, Joshua, Jun, Hoshi, Wonwoo, Woozi, DK, Mingyu, The8, Seungkwan, Vernon e Dino - e si esibisce come un unico gruppo, mentre alle volte i musicisti sono divisi in tre sotto unità, ognuna con una diversa area di specializzazione: 'Hip-Hop Team', 'Vocal Team' e 'Performance Team'. I fan italiani sono ancora in attesa di vedere i Seventeen dal vivo nel nostro Paese, mentre il loro quinto album in studio, "Happy Burstday" uscito lo scorso maggio, ha sfiorato i piani alti della Billboard 200 piazzandosi al secondo posto.
Attorno a questi nomi si muovono altre realtà come EXO, TWICE, ATEEZ - già passati in Italia due volte per i concerti del 2019 ai Magazzini Generali di Milano e lo scorso gennaio al Forum di Assago - e le NewJeans, che ampliano il raggio d’azione e garantiscono la continua rinnovabilità di un settore che nel 2020 ha registrato una crescita record del 44,8% nel mercato musicale sudcoreano, posizionando il Paese al sesto posto al mondo.
Una scena che conquista Europa e Stati Uniti
Gli Stati Uniti e l'Europa sono diventati tappe imprescindibili per i tour delle grandi band coreane. Solo nel Vecchio Continente, Parigi, Londra, Berlino, Madrid hanno registrato il tutto esaurito nelle grandi arene, testimoniando un seguito che non ha nulla da invidiare ai mercati asiatici. Negli Stati Uniti, BTS hanno fatto da apripista, con vittorie e performance ai Grammy, oltre che collaborazioni con artisti pop e hip-hop di primo piano. Anche le Blackpink, dal canto loro, hanno fatto la storia, esibendosi al Coachella nel 2019 diventando il primo gruppo K-pop femminile a salire sul palco del festival, e poi nel 2023 come primo gruppo coreano a esibirsi come headliner.
L’Italia stessa è diventata progressivamente parte di questa espansione. Le stelle attualmente di punta del K-pop si sono guadagnate ognuna il proprio posto nelle classifiche di album e singoli italiane. Con il loro ultimo album "Karma", per esempio, gli Stray Kids hanno raggiunto la terza posizione della classifica stilata da FIMI degli album, e lo scorso 30 luglio hanno radunato quasi 70.000 spettatori allo Stadio Olimpico di Roma per il concerto più grande e affollato del loro "Dominate Tour".
Nel nostro Paese, pur con numeri più contenuti rispetto a mercati più grandi, i segnali sono inequivocabili: l’entusiasmo dei fan, la crescita delle community digitali, la presenza nelle classifiche e i raduni nelle piazze delineano un fenomeno radicato che dialoga con la scena internazionale.
Moda, danza e nuovi simboli culturali
Il K-pop è anche un linguaggio visivo. A partire dagli anni 2000, lo stile degli idol ha iniziato a dettare tendenze che mescolano elementi occidentali e asiatici. Le principali correnti possono essere ricondotte a cinque matrici: lo street style, con colori vivaci, mix di brand sportivi e stampe grafiche; il retro, che recupera la nostalgia degli anni ’60-’80 con giacche di jeans, pantaloni ampi e accessori vintage; il sexy, che esplora la femminilità e la mascolinità con corsetti, pizzi e tessuti trasparenti; il black & white, simbolo di eleganza minimalista legata alle performance formali; il futurism, che accompagna l’elettronica e l’hip-hop con dettagli metallici e colori fluorescenti. Idoli come G-Dragon dei BigBang o CL hanno consolidato uno status di icone fashion, influenzando designer internazionali e generazioni di giovani che replicano i loro outfit.
La moda si intreccia con la danza: le coreografie sono parte essenziale del prodotto K-pop, con movimenti sincronizzati e la cosiddetta "point choreography", un passo chiave facilmente imitabile che diventa virale sui social. Questo ha rafforzato l’aspetto partecipativo, trasformando il pubblico in protagonista. Da qui si sviluppa anche l’economia parallela dei gadget: light stick personalizzati, merchandise ufficiale, collezioni esclusive. In questo contesto si inserisce il fenomeno Labubu, mascotte Popmart diventata virale grazie all’associazione con Lisa delle BLACKPINK. Pupazzi e collezionabili hanno invaso il mercato, unendo consumo culturale e fandom in un rituale condiviso che amplifica l’identità del K-pop come ecosistema estetico e non solo musicale.
La comunità dei fan e il radicamento in Italia
Il cuore pulsante del K-pop resta però il fandom. In Italia, associazioni come "Kpop Italia" e "Idol Stage" organizzano festival, contest di danza e raduni che trasformano piazze e fiere in spazi di condivisione culturale. I fan imparano le coreografie, acquistano album fisici, partecipano ai flashmob e mantengono vivo il contatto attraverso i social. A livello globale, l’impatto è ancora più evidente: nel 2011 oltre 7.000 fan giapponesi volarono a Seul per incontrare i JYJ, mentre in occasione di un loro concerto a Barcellona fan da tutta Europa si accamparono fuori dal palazzetto. Un sondaggio del Korean Culture and Information Service parlava già allora di oltre tre milioni di membri attivi in fan club Hallyu.
La particolarità di questi fan club è la dimensione identitaria: ogni gruppo ha un nome collettivo e un colore simbolico, da “Cassiopeia” dei TVXQ al rosso perla che li rappresenta, fino ai light stick personalizzati che illuminano i concerti come un oceano luminoso. Le fanbase sostengono i loro idol con iniziative concrete: donazioni di riso, attività benefiche, persino pranzi inviati sul set durante le riprese. Una forma di partecipazione che spesso si estende oltre la musica e abbraccia cause sociali e politiche. Non manca il rovescio della medaglia, con i cosiddetti sasaeng fan, ossessivi e invasivi, riconosciuti come problema sociale in Corea. Ma nel complesso il fandom K-pop ha trasformato la passione in un vero motore economico e culturale.
In Italia, questo si traduce in community attivissime online, scuole di danza dedicate, festival di fumetti che aprono sezioni al K-pop, e un lessico che entra nel linguaggio quotidiano delle nuove generazioni. Il fenomeno non è più confinato a una nicchia adolescenziale, ma investe musica, moda, intrattenimento e linguaggi digitali. E continua a crescere, mostrando che la conquista del K-pop non si limita a Seul o a New York: passa anche da Milano, Roma, Bologna, e dalle voci dei fan che hanno fatto del genere una presenza stabile nel panorama culturale italiano.