Quando i Pinguini Tattici Nucleari cantavano di Berlusconi e marò

«Vorrei vedere Pasolini in prima serata su Italia Uno che insulta il capitalismo e la logica del consumo / vorrei vedere più gente al concerto di Vasco Brondi e magari qualcuno di meno al concerto di Vasco Rossi». I Pinguini Tattici Nucleari si presentavano così in “In vento”, la prima canzone del loro album d’esordio “Il re è nudo”. Era il 2014. Vasco Brondi non aveva ancora “spento” Le Luci della Centrale Elettrica: pochi mesi prima dell’uscita del disco d’esordio della band aveva pubblicato il suo “Costellazioni”, frutto dell’incontro con Federico Dragogna dei Ministri, che con canzoni come “Le ragazze stanno bene”, “I destini generali” e “Ti vendi bene” aveva consacrato il musicista di Ferrara come modello di riferimento per chiunque ambisse a entrare nel circuito del cantautorato alternativo e indipendente italiano. Come quel gruppo partito da Bergamo, che aveva scelto di chiamarsi come la traduzione in italiano della birra più alcolica del mondo, Tactical Nuclear Penguin, prodotta dal birrificio scozzese BrewDog. Non ancora integrati nel sistema del pop italiano, traguardo che avrebbero raggiunto nel 2020 con la partecipazione al Festival di Sanremo con “Ringo Starr”, prima di riempire gli stadi, Riccardo Zanotti e soci con “Il re è nudo” si presentavano come gli eredi degli Elio e le Storie Tese, di cui riprendevano l’attitudine iconoclasta e quel mix unico di virtuosismo musicale, testi satirici e surreali (tra nonsense, parodia e momenti di riflessione sorprendentemente lucidi) e una marcata componente teatrale. Il titolo dell’album, autoprodotto, si ispirava alla celebre fiaba di Andersen: una metafora della società contemporanea, nuda e disillusa. «Italia, Italia, che sei meno scontata di una condanna di Berlusconi / E che i tuoi figli sono così viziati / che non sognano altro di levarsi dai coglioni», cantavano i Pinguini Tattici Nucleari in “Italia, Italia”, altra canzone del disco, una sorta di rivisitazione de “La terra dei cachi” degli Elii. Undici anni dopo, gli esordi dei Pinguini riemergono da sotto hit come “Ridere”, “Pastello bianco”, “Giovani wannabe”, “Scrivile scemo”, “Rubami la notte”, “Ricordi”, “Scooby Doo” e la stessa “Ringo Starr”, che negli ultimi cinque anni hanno permesso al sestetto oggi composto, oltre che da Zanotti, dai chitarristi Nicola Buttafuoco e Lorenzo Pasini, dal bassista Simone Pagani, dal batterista Matteo Locati e dal tastierista Elio Biffi, di diventare un fenomeno da milioni di biglietti venduti. “Il re è nudo”, “Diamo un calcio all’aldilà” e “Gioventù brucata”, i primi tre dischi della band bergamasca, tornano nei negozi per la prima volta in vinile, ristampati da Sony Music (si possono acquistare sul sito ufficiale), per la felicità dei fan della prima ora che possono ampliare la loro collezione e per quelli che si sono iscritti al fanclub dei Pinguini Tattici Nucleari solo successivamente e che ora possono (ri)scoprire gli inizi discografici della formazione.



"Me want marò back"
C’è una canzone che meglio di tutte incarna lo spirito dei Pinguini Tattici Nucleari prima che diventassero il fenomeno pop che tutti conosciamo. Non fa parte de “Il re è nudo”, ma del disco successivo, il secondo inciso dai Pinguini Tattici Nucleari, “Diamo un calcio all’aldilà” del 2015. La formazione non era la stessa dell’exploit con “Ringo Starr”: ne facevano ancora parte l’ex bassista Cristiano Marchesi e l’ex chitarrista Claudio Cuter, i cui posti sarebbero stati occupati a partire dal disco successivo, “Gioventù brucata”, rispettivamente da Simone Pagani e da Nicola Buttafuoco. L’album uscì in un momento cruciale per l’indie italiano e per quello che la scena sarebbe diventata di lì a poco: Calcutta aveva appena pubblicato “Mainstream” e con “Cosa mi manchi a fare” aveva cominciato a spalancare le porte dei circoli Arci alle ragazzine, mentre i Thegiornalisti di Tommaso Paradiso con “Fuoricampo” avevano cominciato a prendere le distanze dall’estetica lo-fi di “Vol. 1” e “Vecchio”, pronti a portare l’indie nei palasport con “Completamente”. I Pinguini Tattici Nucleari rimanevano però ben ancorati allo stile e all’attitudine de “Il re è nudo” e nell’ultima canzone di “Diamo un calcio all’aldilà” si lanciavano in un’irriverente satira sulla vicenda dei due marò italiani arrestati in India e soprattutto su quella fazione politica che fece degli appelli per il ritorno in Italia dei due militari la propria battaglia. «Me want marò back / because when he was here, the trains were on time / me want marò back / bonifications of the Agro Pontino Pomino Pomino», recitava il testo della canzone. «“Me want marò back” non parla di politica, ma di ideologia, e probabilmente è proprio questo che porterà parecchia gente a prendersela con noi. La canzone è un inno al luogo comune, al cliché, allo stereotipo. E noi siamo buffoni provocatori teste di cazzo, non l'abbiamo mai nascosto se ci pensate», spiegarono, mettendo le mani avanti, Zanotti e compagni.
Da Montanelli (Intro) a Irene
A chiudere la trilogia pre-exploit ci penserà nel 2017 “Gioventù brucata”. I Pinguini Tattici Nucleari lo realizzarono con una raccolta fondi lanciata sulla piattaforma Music Raiser, alla quale si affidavano all’epoca musicisti emergenti indipendenti in cerca del supporto dei fan: «Ci piacerebbe realizzare il nostro prossimo disco, ma sfortunatamente abbiamo dilapidato le nostre finanze comprando un biglietto dei Coldplay. Ci serve il vostro aiuto - scrissero nel post Zanotti e compagni - l’album tratta diverse tematiche: esistono davvero le renne? Cosa fanno i bagnini d'inverno? Meglio soffrire o essere soffritti? ma soprattutto: Cosa c'è dall'altra parte di un capezzolo? Se volete una risposta a questi interrogativi, allora siete nel posto giusto”. «La “Gioventù brucata” siamo noi, siete voi, sono tutti. C’è chi sta in greggi di pecore bianche, chi in greggi di pecore nere, ma alla fine tutti cerchiamo di essere accettati dagli altri per le pecore che siamo. I nostri nonni erano gioventù bruciata, i nostri padri gioventù bucata e a noi non resta che essere gioventù brucata», spiegava la band nelle interviste. Ad aprire l’album era una traccia intitolata, provocatoriamente “Montanelli (Intro)”, con quell’”intro” a richiamare l’assonanza con Indro, il nome del noto giornalista. Ma “Gioventù brucata” rappresentò una sorta di anello di congiunzione tra gli esordi con “Il re è nudo” e “Diamo un calcio all’aldilà” e la consacrazione con “Fuori dall’hype”, che sarebbe arrivato solo due annio dopo. Per una “79”, che richiamava l’umore di “Italia, Italia” o “Me want marò back” («Così come San Valentino è un'invenzione dell'industria dei cioccolatini per i cuori afflitti / la maturità altro non è che una grande invenzione di Mr. Antonello Venditti») c’era infatti un pezzo come “Irene” («Il futuro che ti potevo dare / l’ho barattato per i vinili che ho in soffitta / te li regalerò quando avrai perso le speranze / e ti sentirai sconfitta»), anticipazione dello stile più maturo e pop di “Ricordi” o “Fede”.
La svolta pop
La carriera della band bergamasca sarebbe cambiata pochi mesi dopo l’uscita di “Fuori dall’hype”, il primo disco inciso per una multinazionale (Sony), quando Zanotti, Biffi, Buttafuoco, Pasini, Pagani e Locati si presentarono da assoluti outsider in gara al Festival di Sanremo. Con “Ringo Starr” misero definitivamente da parte lo stile degli esordi in favore di un’attitudine più pop. Fu una scommessa vinta. Non solo perché il brano, contro ogni pronostico, si piazzò al terzo posto all’Ariston, dietro a Diodato (vincitore con “Fai rumore”) e Francesco Gabbani (secondo con “Viceversa”), ma anche perché fu uno dei tormentoni di quell’edizione del Festival: «L’industria e i media ci snobbavano: non eravamo abbastanza cool. Ricordo ancora la conferenza stampa prima del Sanremo di “Ringo Starr”: c’erano dieci persone», avrebbe ricordato Zanotti. Una rivincita.