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Four Tet e il remix come pensiero laterale

L’ultimo è “Alone” dei Cure: in senso cronologico, ma anche letterale?
Four Tet e il remix come pensiero laterale

“Per un po’ ho pensato che probabilmente avevo fatto troppi remix e che era tempo di smettere. Poi è arrivato questo e non potevo perdermelo”. Così Kieran Hebden – alias Four Tet – ha introdotto su Instagram il suo remix di “Alone” dei Cure, pubblicato su vinile per il Record Store Day e sulle piattaforme come lancio di “Mixes of the Lost World”. Non un vero addio, ma una sorta di confessione.
Una grossa parte del lavoro di un dj/producer, anche di uno davvero “indipendente” e fuori dagli schemi come Hebden, viene passato a smontare e ricomporre la musica altrui più che a farne di propria. Per Four Tet, complice la visibilità mainstream degli ultimi anni, forse era arrivato il momento di fermarsi. Poi arriva una canzone - e che canzone, una dei Cure. E allora rimetti mano alla digital audio workstation e ricominci.

Da Aphex Twin ai Cure

Il remix di “Alone” è ciò che ci si aspetta da Hebden: un bel groove, gran cura nella scelta dei suoni, mai sopra le righe. Aggiunge pochissimo – una batteria, qualche feedback di chitarra e suono campionato – ma trasforma la traccia in qualcos’altro. La guarda da un’altra prospettiva, smussando la cupezza della versione originale. È il suo marchio di fabbrica: intervento minimo, ma riconoscibilissimo.
Dopo una prima carriera nel post-rock con i Fridge, Kieran Hebden ha avuto il suo primo lampo di notorietà come Four Tet alla fine degli anni ’90 proprio con un remix, uno di Aphex Twin, il padre di tutta la musica elettronica “intelligente”. Poi non si è più fermato: la sua playlist ufficiale su Spotify ne contiene 94, ma non è aggiornata da tempo e ce ne sono molti altri assenti dalle piattaforme.

Il remix è un passaggio obbligato, un modo rapido per guadagnare visibilità (e soldi), soprattutto se hai uno status di culto ma non sei una star. Hebden ha sempre usato questo formato come un’estensione del suo linguaggio. Anche quando ha messo mano a brani mainstream, è rimasto fedele a se stesso: mai un drop urlato, mai un tastierone, ma una formula da festival - anzi, in uno dei suoi remix più amati, “Opus” del DJ svedese Eric Prydz, si è divertito a togliere il drop, con effetti spiazzanti sul pubblico.

Pensiero laterale (e remix bootleg)

Alcuni dei suoi lavori più memorabili arrivano proprio da questa filosofia di “pensiero laterale”. La sua versione di “Nothing Left to Lose” degli Everything But The Girl è un esempio perfetto: rispetta la malinconia dell’originale ma la sospende in un loop ritmico ipnotico. Oppure il remix di “Is It True” dei Tame Impala, trasformato in un brano chill-out. Il remix di “Opal” dei Bicep è diventato un cult, finendo per diventare uno dei brani più noti e ascoltati del duo di dj/producer.
Hebden sa anche entrare nel pop senza a modo e la sua collaborazione con Ellie Goulding lo dimostra: recentemente ha remixato “Easy lover”, certo, ma ha anche scritto con lei alcuni brani originali, come “Baby” e la recente “In My Dreams”. Ha remixato brani di Coldplay, Rihanna, Sia e - in maniera non ufficiale - Mariah Carey, Beyoncé, Taylor Swift.
I remix che non esistono ufficialmente sono un’altra storia ancora, quelli fatti per gioco, per un’idea che funziona, ma che si ascoltano solo nei suoi DJ set. A partire da “Fade Into You” dei Mazzy Star, che Four Tet suona da un paio d’anni ai suoi show: una traccia già di per sé nostalgica, che nelle sue mani diventa una sorta di mantra. E c’è anche il remix non ufficiale di “Love Story” di Taylor Swift, creato – a quanto pare – per un gioco con sua figlia Swiftie.

Un approccio eclettico

Per comprendere questo approccio eclettico, basta sfogliare la sua mega playlist su Spotify da 2399 canzoni e 185 ore, diventata un caso qualche anno fa: jazz spirituale, ambient giapponese, grime, techno berlinese, psych-rock, Bollywood, folk dal mondo, cantautori. Un’enciclopedia sonora in continuo aggiornamento.

Forse davvero questo remix per i Cure sarà l’ultimo. O forse no - nel suo ultimo post lascia intendere che quello dei Mazzy Star potrebbe arrivare presto. Forse è solo una pausa, una riflessione su un formato che diventa facilmente abusato e stereotipato. Ma che nelle mani del dj/producer giusti diventa un esercizio di stile che ci ricorda che la creatività non risiede solo nell’ideale romantico dell’originalità assoluta, ma si esprime anche nella rielaborazione. Purché fatta con stile.

 

 

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