Diaframma: i 40 anni di “Siberia”

Un panorama freddo, sconfinato, lunare, con case in lontananza. Sembra un esilio e, invece, forse, oggi più che mai, dopo quarant'anni, è pace, è libertà. Quella di fare esattamente quello che si vuole e si sente dentro. “Siberia” dei Diaframma, una gemma del rock italiano, compie quattro decenni. È un disco figlio di un preciso periodo storico, fu il primo squillo della band fiorentina e viene ancora oggi considerato come un punto di riferimento per la scena new wave italiana, e non solo. La musica risulta ovviamente influenzata dai gruppi post-punk inglesi, primi tra tutti i Joy Division, con atmosfere tipicamente dark e testi simbolisti che esprimono un forte disagio interiore e allo stesso tempo una catarsi liberatoria.
“Siberia”, come ha ricordato Ernesto Razzano su L’indipendente, inaugurò una stagione di rock cantato in italiano che avrà un grosso impatto su tutta la scena nazionale. Nell’anno seguente, il 1985, arriverà anche il debutto sulla lunga distanza dei Litfiba (presenti nella traccia “Amsterdam” del disco dei Diaframma) con “Desaparecido” che ancora di più abbatterà questa porta. “Il post-punk e la new wave, al pari del punk, avevano rappresentato un’occasione per poter ripartire da zero – ha ricordato Federico Fiumani, anima della band - senza sentire nessun obbligo nei confronti del passato e trovando, in questo nuovo spazio, il terreno favorevole per creare qualcosa di buono senza doversi vergognare di nulla, neanche di fare musica a volte estremamente scarna dal punto di vista tecnico. Ma se il punk in fondo riprendeva e proponeva, seppur snaturandoli, elementi della tradizione, con il post-punk e la wave si suonava qualcosa di nuovo e diverso rispetto a tutto quello che era stato fatto fino ad allora. E lo si faceva con una volontà e un’arroganza che solo i giovani sanno avere”.
È importante, per comprenderlo, anche ricordare il periodo storico in cui questo album uscì. “Il primo, il più importante, riguarda il fatto che nell’Italia di allora potesse uscire un disco così meravigliosamente alieno quale fu l’esordio dei Diaframma – ha scritto l’autore Nicola Lagioia su Minima&moralia – il paese non lo meritava, eppure accadde. Erano gli anni, per intenderci, in cui a Sanremo trionfavano i Ricchi e Poveri quando non lo facevano Al Bano e Romina Power. Il riflusso viaggiava a pieno ritmo, l’estetica ne era contagiata. A un certo punto sembrava che l’unico occhio di bue sotto il quale valesse la pena spendersi fosse quello che vedeva broker e pubblicitari afflitti da buone trovate rifriggere ovvietà alle feste degli stilisti, mentre i loro fratelli minori con le Timberland ai piedi rodavano l’analfabetismo di ritorno che sarebbe diventato una slavina. Il demenziale involontario era spacciato per oro, e le magnifiche presenze che avrebbero potuto spezzare le catene dello strapaesano in salsa glamour (quei libri, dischi e film che facevano della bellezza la propria ragion d’essere) venivano temporaneamente messe fuori scena per far posto ai lustrini, ai grugniti, a quell’immane carrozzone di stupidità che furono gli anni Ottanta in Italia”. Federico Fiumani è una delle migliori penne musicali che abbiamo mai avuto nel nostro Paese. E “Siberia” lo dimostrò sin da subito.
Ascoltare oggi il disco, come già scrivevamo anni fa in occasione dell’uscita reloaded, fa uno strano effetto: perché la poetica di Fiumani conserva tutta la sua forza, ma il suono è inscindibilmente legato a quell’era, a quella new wave fatta di bassi melodici, chitarre con l’eco e voci profonde. Un suono che allora era potentissimo, rispetto alla musica del tempo, “un album che poteva giocarsela con i migliori dischi post-punk oltre confine”, come ha ribadito giustamente sempre Lagioia. La tracklist, come sottolineato sempre da Razzano su L'indipendente, non ha punti deboli: grazie a tutte le canzoni si entra in un mondo spesso claustrofobico che vive di cortocircuiti come quelli tra il buio e la luce, il freddo e il caldo, la notte e il giorno, l’amore e la solitudine, il rumore e il silenzio. Federico Guglielmi, importante firma del giornalismo italiano, su il Mucchio Selvaggio n.82 del novembre 1984 scrisse, recensendo l’album e capendone subito l’importanza nell’evoluzione del rock italiano, scrisse una frase profetica: “‘Siberia’ è il primo piccolo ma grande passo per uscire all’aperto, sperando – anzi, essendo convinti – di non incontrare “solo ghiaccio e silenzio’”.