"Sandinista!", il “White Album” dei Clash

Il 12 dicembre del 1980, 363 giorni dopo un doppio album leggendario, i Clash pubblicavano un altro album storico, "Sandinista!", per di più triplo. “London Calling” (leggi qui la recensione) era infatti uscito il 14 dicembre del 1979. E rimane non solo il capolavoro dei Clash, ma un vero disco spartiacque, tra decenni e tra ere musicali. L’album con cui il punk diventava adulto. La band inglese recupera il rock ’n’ roll, il reggae, senza perdere l’iconoclastia. “Sandinista!” porta avanti questa scelta in maniera ancora più decisa e coraggiosa. Qui sotto la recensione del disco scritta da Andrea Valentini.
“The only band that matters”, disse di loro il compianto e venerato (forse anche troppo da chi poco lo comprende) Lester Bangs. E, che piaccia o no la musica dei Clash, è innegabile che hanno lasciato un segno – uno sfregio, che è più punk dai – nella storia del rock degli ultimi 40 anni. Uno sfregio importante, appunto.
È il 12 dicembre del 1980, si respira l’aria natalizia dunque, quando questo triplo album giunge sul mercato. I fan sono spiazzati dall’ambiziosità dell’operazione, ma il disorientamento dura poco: i 36 pezzi spalmati in sei facciate, venduti a un prezzo speciale e molto basso (grazie all’idea della band di rinunciare a parte delle royalties per contenere il prezzo di vendita – diversamente la CBS non avrebbe ceduto e concesso il benestare all’operazione), mostrano un gruppo in preda a una sorta di furore creativo che tutto include, rielabora e plasma. Il risultato è di quelli che lasciano a bocca aperta.
Per citare un’altra leggenda alle prese con "Sandinista!", ci rivolgiamo a Robert Christgau (all’epoca penna del “Village Voice”) che recensendolo scrisse: “Se questo è il loro lavoro peggiore – e, in effetti, io penso che lo sia – i Clash devono essere la miglior rock’n’roll band del mondo”. Ipse dixit. E chi siamo noi per sostenere il contrario?
Se nel precedente, fortunatissimo ed esaltante, “London Calling” Strummer e i suoi si erano riavvicinati a quel rock’n’roll delle radici (un po’ ammeregano e roots) che dicevano di voler rifuggire agli esordi, con “Sandinista!” mollano il freno – anzi lo strappano dalla pedaliera e lo buttano fuori dal finestrino. Punk e rock’n’roll restano suggestioni attitudinali, mentre l’impeto e l’idea di fondo sembrano essere guidati dalla scoperta del fatto che là fuori c’è una Babele di suoni vastissima. È come se Strummer, Jones, Simonon e Headon dicessero: fanculo allo stile alla Clash, ora c’è un mondo da scoprire.
E allora si apre la diga: gospel, calypso, reggae, dub, dance, rhythm & blues, rock, jazz, disco… dopo il recupero del rock’n’roll la band vuole di più. Tantissimo di più: desidera ritagliarsi una sorta di posizione super partes includendo tutte o quasi le tradizioni musicali/culturali del globo. La produzione di Mickey Dread (ossia il compianto Michael George Campbell, vero guru e innovatore in campo reggae, scomparso nel 2008) è il classico asso nella manica, per non parlare della sperimentazione con strumenti inusuali per una formazione tipicamente rock come i Clash. Anche i testi dimostrano un desiderio di apertura, con riferimenti chiarissimi che trascendono la dimensione anglo-americana, per varcare i confini di Unione Sovietica, Europa, Asia, Africa, America centrale e del sud, Caraibi.
C’è chi ha definito “Sandinista!” il “White Album” dei Clash. Per molti è un manifesto di musica politicizzata e attivismo. Per altri un ottimo album singolo con due dischi bonus in omaggio: comunque sia, è impossibile ignorarlo. E ritrovarlo in versione su vinile è un po’ come reincontrare un vecchio amico con cui non si parlava da tempo. Una bella sensazione, che trascende definizioni, etichette e incasellamenti.