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Il pop schizofrenico e di successo dei Twenty One Pilots

Sei anni fa il duo statunitense pubblicò l'album "Trench"
Il pop schizofrenico e di successo dei Twenty One Pilots

I Twenty One Pilots sono più in pista che mai, la scorsa primavera hanno infatti pubblicato il loro settimo album, "Clancy" (leggi qui la recensione). Però il picco del duo statunitense, uno degli album più premiati del 2018, venne raggiunto con "Trench", il quinto disco uscito il 5 ottobre di quell'anno. Qui lo ricordiamo proponendovi la lettura della nostra recensione del quinto capitolo della discografia di Tyler Joseph e Josh Dun.

Nel 2015, i Twenty One Pilots hanno iniziato a macinare numeri da capogiro. “Blurryface" ha totalizzato 6.5 milioni di copie vendute. Il singolo “Stressed out” ha un miliardo e mezzo di visualizzazioni in video e quasi un miliardo di stream sulle piattaforme digitali. Nel 2017 vinto un Grammy per "Best Pop Duo/Group Performance", e i concerti sono andati sold-out, ovunque. E il tutto si sta ripetendo: la data di Bologna del prossimo 19 febbraio 2019, annunciata a luglio, è andata esaurita in un niente. “Trench” è, di fatto, uno dei dischi più attesi della stagione. Non male, per una band che prima in pochi avevano sentito nominare. Un gruppo atipico fin dalla formazione, un duo: il polistrumentista Tyler Joseph e il batterista Josh Dun. Incidono per la Fueled By Ramen, etichetta del gruppo Warner che già in passato ha lanciato nel mainstream gruppi che una volta avremmo definito “Alternative” (Paramore e Fall Out Boy).

Già, ma cosa sono e come suonano i Twenty One Pilots? Sono alternativi o “indie” o “mainstream”? Da tempo, ormai la musica ci mostra che queste etichette si sono dissolte e hanno sempre meno senso: si può avere successo con musiche e stili una volta considerati di nicchia, e i grandi artisti inseguono sempre più modi e suoni lontani dal pop o dal mainstream. I Twenty One Pilots sono forse la dimostrazione più lampante della dissoluzione di generi ed etichette. Fanno numeri non solo da mainstream, ma d’altri tempi. Eppure piacciono per la loro diversità musicale, perché fanno canzoni contemporaneamente accessibili ma “strane", mostrando uno spirito incazzato e controcorrente. Insomma, si raccontano come diversi e fuori dagli schemi del mainstream. “Trench” prosegue su questa strada: se siete tra quelli che hanno amato il disco precedente, troverete tutto quello che ha reso popolare la band. Se faticate a capire il loro successo, forse siete fuori target o siete abituati ai vecchi schemi della musica.

“Trench” è un disco in cui il duo, come ha fatto in passato, mischia di tutto: il pop, il rock, il rap, il reggae, l’hip-hop, l’elettronica con gli strumenti acustici. Così può succedere che una canzone come “Cut my lip” si basi su un ritmo in levare tenuto dal piano, e spazi da inserti dub a tastieroni sintetici e aperture quasi tecno. E’ solo un esempio tra i tanti: il basso distorto che apre il disco, quello di “Jumpsuit” è decisamente rock, e anche il tema: il disagio, la rabbia, la voglia di fuga : “I can't believe how much I hate/Pressures of a new place roll my way/ Jumpsuit, jumpsuit, cover me”. Ma non si fa in tempo ad abituarsi alla carica, che nella canzone successiva, “Levitate”, si passa al rap, e si precisa il tema del disco: “I am a vulture who feeds on pain”, canta Tyler Joseph - spiegando la copertina e usando il punto di vista ricorrente dei brani, quello di un personaggio chiamato Clancy, impegnato nella fuga da una città di nome Dema, che dovrebbe rappresentare il disagio e la malattia mentale.

Non è un caso che la musica del duo venga definita dai fan “schizoid pop”, pop schizofrenico. E’ una non-definizione, come spesso capita alle etichette di genere musicale - ma funziona: perché anche in “Trench” i Twenty One Pilots si rifiutano di scegliere una strada precisa, e continuano a percorrerne decine in contemporanea. L’assenza di un genere musicale, alla fine, è proprio il genere stesso del gruppo. E’ il loro pregio - ciò che li rende “alternativi” - e talvolta il loro limite.

Un disco ed una band che si inseriscono perfettamente in un contesto, come quello odierno dove ogni ascoltatore in pochi secondi può passare da un suono e da un genere all’altro in niente. Qua succede spesso all'interno di una singola canzone: “Trench” funziona perché l’assolto sonoro del due non si basa solo sulla quantità di stimoli, ma anche sulla qualità: alla fine, riesce ad essere un disco omogeneo nella sua disomogeneità.

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