Led Zeppelin, U2, Talking Heads: l’epoca d’oro del rock al cinema

C’erano una volta i concerti rock al cinema. E ci sono ancora, anche se in un contesto completamente diverso. Oggi siamo circondati, quasi sopraffatti dalle immagini live, che ci raggiungono da ogni parte: appena c’è un concerto possiamo vedere sui social media cosa è successo e gli stessi artisti si preoccupano di distribuire clip o di produrre documentari e film da distribuire alle piattaforme. Ogni tanto in sala (e sono dei blockbuster, come il recente caso di "The eras tour di Taylor Swift").
Qualche decennio fa andare ad un concerto era l’unico modo per vedere una band o un/una artista dal vivo. Poi c’era il cinema: si giravano film-concerti, che servivano a creare o consolidare dei miti. Gli artisti preferivano il cinema alla TV, sia per la qualità sonora, sia perché lo ritenevano più “artistico”: gli anni ’70 e ’80 sono stati la golden age del rockfilm. Recentemente è tornato in sala “The song remains the same” dei Led Zeppelin, ma non fu certo l’unico (e per certi versi neanche il migliore) caso di rock e cinema dell’età dell’ora. Ne abbiamo scelti 5.
Woodstock
Il rapporto tra cinema e rock inizia dalle origini, da Elvis, dai film in cui recitava come attore - un fenomeno per certi versi analogo ai "musicarelli" italiani di qualche tempo dopo. Ma già negli anni ’60 si iniziano a girare film in cui i cantantI non sono attori, ma vengono ripresi in concerto. La svolta è “Woodstock” (Michael Wadleigh, 1970), che rese celebre a livello globale il festival musicale dell’anno prima, trasformandolo in un mito anche per chi ne aveva solo sentito parlare dall’altra parte del mondo. Una tecnica per il tempo innovativa, lo split-screen, per raccontare sia quello che succede sul palco, sia tra il pubblico. Vince l’Oscar per il miglior documentario ed è un successo al botteghino in tutto il mondo.
In questo periodo si iniziano a produrre concerti pensando anche al cinema, come il "Concert for Bangladesh" (Saul Swimmer, 1972, che documenta il primo grande evento di beneficenza della storia del rock, organizzato nel 1971 da George Harrison a New York), o come Pink Floyd: Live at Pompeii di Adrian Maben, 1972. Che però è girato apposta per le telecamere, senza pubblico: uno dei più iconici della storia.
The last waltz
Al montaggio di “Woodstock” collabora un certo Martin Scorsese: se dovessi scegliere il climax di questa fase, sceglierei il suo “The Last Waltz" (1978). Scorsese nella sua lunga carriera ha lavorato tantissimo con la musica e con gli artisti, dirigendo documentari e film concerto su e con Dylan, George Harrison, Rolling Stones. Ma “The Last Waltz” è un (il?) capolavoro del genere: documenta l’ultimo concerto di The Band al Winterland di San Francisco, nel 1976, con Bob Dylan e Neil Young, Van Morrison, Joni Mitchell, Eric Clapton. Scorsese trasformò il concerto in un racconto cinematografico che è la celebrazione di un’era, alternando performance a interviste - stabilendo di fatto il paradigma del film concerto.
The song remains the same
Recentemente rimasterizzato per la sala (l’ultimo remaster audio è invece del 2018, parte delle ristampe del catalogo del gruppo per i 50 anni), “The song remains the same” è un classico, ma è anche un film "divisivo", come si direbbe oggi. Amatissimo dai fan, testimonia la band al massimo della sua popolarità, con tre concerti al Madison Square Garden nel 1973. Proprio per le dimensioni degli Zeppelin in quel periodo, la lavorazione fu complessa e faticosa, tanto che uscì solo 3 anni dopo, nel ’76, dopo il licenziamento del primo regista e dopo che alcune sequenze vennero ricreate in studio successivamente e montate con le riprese originali dal vivo - con un curioso effetto di fuori sincrono in alcune sequenze.
Il film contiene anche una parte più psichedelica che vista oggi fa un certo effetto, fatta di sequenze non musicali surreali: dal manager Peter Grant trasformato in un gangster che apre il film con una sparatoria, a John Paul Jones che si divide tra bravo padre di famiglia e cattivo del villaggio, Robert Plant con gli occhi viola e Jimmy Page che scala una montagna e incontra se stesso da vecchio (li ha raccolti Paolo Madeddu in questo brillante articolo).
Stop making sense
Un altro capolavoro del genere è “Stop Making Sense” dei Talking Heads (1984), diretto da Jonathan Demme, altro regista legatissimo alla musica, e anche questo tornato da poco nei cinema (solo quelli anglosassoni, però) - tanto che la band si è pure riunita per promuoverlo. Demme e i Talking Heads sfidano le convenzioni del film concerto, ormai diventate dei cliché: mettono in scena non solo le performance, ma il dietro le quinte. Il palco viene costruito pezzo a pezzo, ad ogni canzone, con la band che si aggiunge a David Byrne, che inizia da solo. Un’idea geniale.
Rattle and hum
Se vogliamo trovare il momento della fine di questa epoca d’oro è probabilmente tra il 1988, l’anno di “Rattle and Hum” degli U2, e il il 1989. La band irlandese nella sua carriera ha realizzato ben dodici film-concerto, a partire da "Live at Red Rocks" (Gavin Taylor, 1984), diffuso in formato VHS assieme all’album dal vivo “Under a Red Blood Sky”. Alla fine degli anni ’80 era all’apice del successo, dopo “The Joshua tree”, e decide di fare un’operazione complessa: un film e un album con performance dal vivo e nuove canzoni, legate al loro tour americano e al suo racconto degli Stati Uniti. La band voleva coinvolgere Scorsese o Demme, ma poi se occupò Phil Joanou, che aveva ideato “U2 in the Americas” (questo il titolo originale).
L'album arrivò al 1° posto in America, Inghilterra e in una decina di paesi, ma il film ricevette critiche tutt’altro che positive e non andò altrettanto bene al botteghino: in America, secondo le cifre riportate al tempo da Rolling Stone, incassò solo 8 milioni di dollari nonostante la distribuzione in 1400 sale - da cui venne presto ritirato. Curiosamente, gli U2 non hanno mai ristampato in versione espansa né l'album né il film, nonostante circolino sotto forma di bootleg diversi materiali inediti, sia audio che video.
I concerti audiovisivi si stavano però spostando da altre parti: meglio pubblicarli direttamente in videocassetta (e poi in DVD), con meno rischi. Nel 1989 anno nasceva Unplugged. MTV aveva cambiato la percezione della televisione per la musica e negli anni ’90 una partecipazione sarebbe diventata ambitissima e un successo anche discografico: Eric Clapton avrebbe venduto oltre 20 milioni del disco tratto dal suo show per la rete televisiva.