A 5 metri d’altezza con i Subsonica
Un palco diviso in cinque pedane, una per ogni membro della band, che si alzano e si abbassano, superando i 5 metri di altezza. “E io soffro pure di vertigini”, scherza Max Casacci. Dopo 5 anni, i Subsonica sono tornati nei palazzetti: dopo la data zero di Mantova, ieri sono passati a Milano, al Forum: domani sera, Conegliano, poi Roma, Firenze Bologna e chiusura nella loro Torino il 13 aprile.
Dietro la band, gli schermi con i visual che rappresentano le idee della “Realtà aumentata” che dà il titolo all’album uscito ad inizio 2024. Tranquilli, niente telefonini o applicazioni per il pubblico per inquadrare il palco e “aumentare” digitalmente quello che si vede. Il concept del tour, spiega Casacci a Rockol è “finalizzato all'accorciamento della distanza tra il palco e il pubblico: il nostro sforzo progettuale, tecnologico e spettacolare, non è assolutamente presentato come una sorta di giostra, o struttura per effetti speciali”.
La lavorazione del tour in realtà virtuale
Una parte della pre-produzione del tour (la fase di ideazione e preparazione tecnico e artistica) ha a che fare con la realtà virtuale, più che con la realtà aumentata, spiega Casacci: “Ormai da più di 15 anni abbiamo un rapporto consolidato con un gruppo di persone che condivide il nostro approccio dal punto di vista tecnico-tecnologico-scenico-spettacolare. Mentre noi ancora eravamo alle prese con filosofie di gruppo su dove andare nel mondo dell'universo, della vita, dell'arte, della musica c'era chi già aveva inventato un palco capace di alzarsi e abbassarsi, diviso in cinque segmenti, uno per ogni singolo musicista” racconta.
E la band lo ha visto e provato per la prima volta usando un Oculus, un visore digitale: “Prima di passare proprio alla costruzione fattiva di quello che era solo un progetto, hanno voluto essere sicuri che non avessimo niente in contrario al fatto di poter salire su un palco capace di raggiungere quelle altezze. Con un Oculus abbiamo provato la sensazione di quello che sarebbe stato salire su questo palco, con tanto di pubblico”. Ma l’idea rimane comunque quella di un live show, non tanto in realtà virtuale o aumentata: “Non vogliamo che le persone stiano con il cellulare in mano durante il concerto inquadrandoci per scoprire cose sullo schermo. Il concept della realtà aumentata è sottolineato dalle immagini, con l'idea proprio di aumentare determinati passaggi, determinati sottotesti di singoli brani, espandendoli”.
L’idea, spiega Casacci, è quello di trasformare il palazzetto in un club “dove le distanze sono fisicamente più strette, più ristrette, e cercare di avvolgere sensorialmente un spettatore che è fisicamente più distante o più in alto. Questo è il motivo per cui il palco potrà essere molto più vicino alle tribune rispetto ai palchi tradizionali”.
La band è in fila orizzontale - volutamente, per scardinare la rappresentazione in cui c’è un frontman davanti un batterista dietro, e gli altri a lato. “Noi sul palco siamo un organismo”, continua Casacci “Siamo esattamente tutti quanti nella stessa misura coinvolti in quello che succede. Il palco sottolinea questo aspetto, nel suo muoversi”.
Il palco è di 20m per 4 metri di profondità (10 metri considerando il fondale), trasportato attraverso 8 bilici: ci lavorano 60 persone fisse, più un centinaio di persone locali per ogni data. La direzione è di Jordan Babev, collaboratore storico della band (ma che dopo avere iniziato con i Subsonica ha lavorato con Kooks, Editors, Jean Michel Jarre). Il light e sound design è curato da MISTER X, i visual sono del collettivo torinese HIGH FILES e il tour è prodotto da Live Nation. Ad accompagnare la band nelle date nei palazzetti di Milano, Bologna e Torino ci saranno anche Ensi e Willie Peyote.
Il concetto, spiega Casacci, non è la iperspettacolarizzazione che spesso si vede negli show odierni: “Non sono un grande fan di spettacoli grandi: in genere, quando i gruppi arrivano a show di quelle dimensioni forse non mi interessano più così tanto musicalmente”.

Casacci, però, riconosce il diverso panorama: la sola presenza di show iperspettacolari pone delle sfide. “Negli anni ’90 e Zero noi competevamo tendenzialmente con gli artisti della musica leggera e del rock più classico: eravamo automaticamente più cool perché ci ispiravamo a produzioni internazionali. Oggi invece il mainstream è fatto di artisti che accorciano molto le distanze fra la scena internazionale e quello che succede in Italia: basta pensare a quello che fanno sul palco Salmo e Marracash”.
Casacci spiega che la band si può permettere show di questo tipo perché lavora con aziende che puntano sull’innovazione: “Molte delle forniture che noi utilizziamo ci vengono offerte a delle condizioni economiche vantaggiosi e soprattutto per quanto riguarda le tecnologie più nuove, sapendo che noi le utilizziamo in un certo modo. Sui palchi di artisti che sono abituati a fare spettacoli più grandi tendenzialmente si accende la giostra e rischiano di perdersi. Siamo sempre stati un po' un vivaio”. Per esempio su Instagram c’è un bel video dove un ingegnere di 85 anni racconta a Ninja come la sua azienda ha costruito la struttura portante delle pedane che si alzano.
La scaletta e i visual: “Ragioniamo come DJ”
Un palco del genere quanto spazio lascia all’improvvisazione musicale e quanto costringe ad uno show scritto? “Tendenzialmente la nostra scaletta è abbastanza rigida, ma non tanto per la questione legata a questioni scenografiche, quanto per il racconto”, spiega Casacci. Lo spettacolo supera le due ore e nell’idea della band il tempo deve essere volato: effetto che si ottiene lavorando sulla concatenazione dei brani “come se stessi lavorando ad una selezione di dance floor, ragioniamo come dei DJ fondamentalmente. Lo stesso brano suonato, messo in scaletta prima o dopo può essere faticoso, può essere meno fluido, meno impattante. Ragioniamo in termini di flusso, cercando di far coesistere i brani nuovi con pezzi che suoniamo da più di vent’anni. Non siamo come Frank Zappa che sorteggia le canzoni prima dei concerti”.
Poi ci sono ovviamente i visual, creati appositamente per le canzoni: “Noi siamo sempre stati molto rigorosi nel cercare di utilizzare tutto l’apparato tecnologico per espandere il senso delle singole canzoni, e non per stupire con effetti speciali, non per sparaflashare”, spiega Casacci.
La band, prima di andare a Mantova per testare il palco nel weekend di Pasqua, ha passato settimane in studio a suonare le canzoni della scaletta: “Abbiamo suonato già almeno tre date zero per testare al meglio la parte musicale, siamo in grado di suonare questa scaletta come se fosse quella di un tour consolidato, prima ancora mettere piede su questo palco”.
Dopo il tour
Questo palco finirà con questo tour, tra una settimana: “Non potrà avere una vita successiva perché quando tu vai a fare tour all'aperto vai in casa di altri”, spiega Casacci. “Nel tour dei palazzetti viene testata tutta la macchina, è quando la progettualità viene espressa al meglio. Nei festival non puoi far smontare il palco per far montare il tuo”, conclude.
Per questo si va nei palazzetti, prima di suonare all’aperto: “L’ambizione e la volontà erano di fare qualche cosa di grande, di impattante, di avvolgente, di immersivo, lì puoi costruire l'espressione massima dell'immaginario di un album. Uno sforzo di un anno e mezzo di lavoro che dura due settimane: anche per questo stiamo documentando tutto”.