La leggerezza di John Legend

John Roger Stephens compie oggi 45 anni. Se il suo nome vi suona sconosciuto è solamente perché per esprimersi in musica e parole ha scelto lo pseudonimo John Legend. In quasi venti anni di carriera si è guadagnato premi di ogni genere – Oscar e Grammy compresi – ed ha venduto milioni di copie dei suoi dischi. Ad oggi ha pubblicato nove album, l'ultimo di questi, "Legend", ha visto la luce nel settembre del 2022. Michele Boroni ne scrisse per noi la recensione che vi riproponiamo nelle righe più sotto.
E' piuttosto evidente a tutti di come John Legend abbia un'alta considerazione di sé stesso, avendo deciso di adottare questo nome (all'anagrafe John Roger Stephens) fin dal suo album di debutto del 2004 - forse il fatto che all'epoca frequentasse assiduamente Kanye West spiega molte cose. Arrivato al suo ottavo album e avendo vinto tutto il vincibile – un Oscar per la miglior canzone, un Tony Award per il teatro, un Emmy per la tv e ben undici Grammy – è evidente che l'autostima abbia raggiunto livelli altissimi, al punto da intitolare questo ultimo disco “LEGEND” (tutto maiuscolo) e accompagnandolo a dichiarazioni un po' altisonanti come "Questo sono io che dico che sono orgoglioso di quello che sono, sono fiducioso nel lavoro che ho fatto e lo dichiaro".
Peccato che tutto questo accada nel suo disco più debole, seppur imponente: è un disco doppio, diviso in due “atti”, con 24 canzoni, per 80 minuti di musica, infiniti in certi tratti. LEGEND è appunto diviso in due ACTS tematici: il primo racconta un sabato sera frizzantino, tutto piacere, ballo, lussuria, un po' di additivi e tanto sesso. Non si era mai sentito un Legend così spinto, e per questo si fa accompagnare da qualche rapper godurioso come Rick Ross o Ty Dolla $ign.
Ma ci sono anche altre partecipazioni dalla sensuale Amber Mark (“Fate”) alla morbida Jazmine Sullivan (“Love”). In questo disco si trovano i singoli che sono usciti durante l'estate come “Dope” (con JID) e la leggerina “All she wanna do” insieme a Saweetie. Qui c'è la co-produzione da Ryan Tedder di OneRepublic insieme ad altri più moderni come Tone e Some Randoms e in un pezzo ci sono anche i The Free Nationals. Insomma, tanta carne al fuoco, dove si mescola neo-soul, bossanova, r&b e pezzi più uptempo. Tutto però molto leggero ed evanescente, ed è un peccato, conoscendo le potenzialità di Legend sia come voce (e l'ultimo concerto visto quest'estate al Lucca Summer Festival lo testimonia) sia come capacità di scrittura (il suo disco “Darkness and Light” del 2016 rimane eccellente, come pure “Wake up!” insieme ai The Roots sulle canzoni di protesta afroamericane).
Ma la parte ancora più debole del disco è quella del secondo atto, in cui prevale il Legend più riflessivo e intimo che rispecchia i propri moti dell'anima. Qui una serie di ballad tutte di devozione e amore per la moglie Chrissy Teigen - sempre molto presente nella narrazione social che fa costantemente su Instagram (54 milioni di follower) – e dove in un brano (“Pieces”) si fa anche riferimento al figlio perduto nel 2020 dopo il parto.
Non solo brani slow qui, c'è anche un reggae molto pop (“I Want You to Know”) o l'r&b un po' jazz di “Honey”. Qui i feat sono tutti femminili visto che è il tema dominante, e che culmina con “Wonder Woman” dedicato a tutte le donne della sua vita, accompagnato dalla soul band dei Dap Kings. Purtroppo però in questa parte la noia prevale, e sinceramente non si capisce perché John Legend abbia voluto fare un disco così lungo e piuttosto monocorde.