R.E.M.: "In una lunga carriera non puoi continuare a ripeterti"

Nel giro di poco tempo, una delle band più importanti del decennio perse uno dei suoi membri fondatori e pubblicò un disco lontano mille miglia dal suono che era il suo marchio di fabbrica. Erano gli anni ’90: un periodo che i R.E.M. iniziarono con il successo multimilionario di “Losing my religion” e “Out of time” e terminarono con lo strano “Up”, che iniziava con “Airportman”, brano elettronico ed ambient. Nel disco batteria e chitarre erano quasi del tutto assenti.
L’album, uscito nell’autunno 1998, viene ora ristampato per i 25 anni in una versione espansa, con un secondo CD con un concerto inedito registrato per la TV: inizialmente la band scelse di non andare in tour, ma di suonare solo per fan e media (in Italia fu protagonista di un memorabile show per “Night express” di Italia 1, al Propaganda di Milano, un locale storico che oggi è diventato un supermercato). Nel 1997 Bill Berry, che nel tour precedente aveva rischiato di morire sul palco per un aneurisma, aveva deciso di lasciare il gruppo, alla precisa condizione che i R.E.M. però non si sciogliessero. Michael Stipe, Peter Buck e Mike Mills dovettero ricominciare da capo.
Il cambiamento della band era cominciato da prima di quella separazione, racconta Mike Mills a Rockol via zoom dalla East Coast: con quel nuovo suono, i R.E.M. avrebbero iniziato la seconda fase della storia del gruppo, che sarebbe durata fino al 2011, fino allo scioglimento da amici.
Sì, glielo chiediamo ogni volta, ben sapendo quale sarà la risposta: non hanno cambiato idea...
Partiamo da quello che successe prima di “Up”: Bill Berry decise di lasciare i R.E.M., che dovettero reinventarsi come trio.
In realtà avevamo deciso di cambiare la direzione della band anche prima dell’uscita di Bill. Peter aveva comprato un mucchio di drum machine e di vecchie tastiere, stavamo già pensando di rendere il suono un po' più meccanico. Poi, quando Bill se n'è andato, abbiamo dovuto immergerci fino in fondo in quell'approccio. Fu difficile, abbiamo avuto momenti complicati, ma ne uscì un gran disco.
Recentemente gli U2 hanno dovuto rinunciare alla presenza sul palco di Larry Mullen: molti fan si sono arrabbiati sapendo che la band si sarebbe esibita senza il batterista originale. Cosa ricordi della reazioni all'uscita di Bill dalla band? Sei felice che al tempo non ci fossero i social media?
Non riesco a capire come i fan si siano arrabbiati per il fatto che una band cambia uno dei suoi membri. Capisco essere delusi, sì, ma non arrabbiati. Nel nostro caso, Bill se ne andò perché non voleva più suonare: un ottimo motivo per smettere, non ricordo molte reazioni negative da parte del nostro pubblico.
Ognuno ha la propria opinione su cosa dovrebbero fare le band, ma le uniche persone che contano davvero sono i membri stessi della band: qualunque decisione prendano è una decisione che dipende interamente da loro.
Potrebbe esserci una risposta diversa per ogni band: i Rolling Stones stanno insieme ormai da 60 anni e per loro va bene così.
Pensi che oggigiorno l'ambiente sia più difficile per le band, rispetto agli anni '90?
Beh, sicuramente a me sembra più difficile, ma è perché so come erano le cose una volta. Se avessi 17 anni adesso e fondassi una band sarebbe normale: forse non è difficile per i giovani di oggi.
Tornando ad “Up”, fu decisione piuttosto coraggiosa mettere da parte le chitarre. Cosa vi spinse ad abbandonare il marchio di fabbrica dei R.E.M.?
Penso che qualsiasi persona creativa con una lunga carriera voglia fare cose diverse, non puoi continuare a ripeterti. Noi non abbiamo mai voluto suonare allo stesso modo e credo che Peter fosse un po' stanco di suonare la chitarre.
“Lotus” per esempio venne scritta da Peter alle tastiere: è salutare per qualsiasi band provare cose diverse, era sicuramente qualcosa che noi eravamo pronti a fare. È una bella sfida per i musicisti vedere cosa riescono a creare in un ambiente leggermente diverso.
Quanto influì sul disco l'ambiente circostante? La casa discografica, i media che passavano meno musica rock...
Non stavamo davvero pensando a cosa stava succedendo nel mondo, stavamo pensando a cosa stava succedendo nel nostro mondo. Non eravamo preoccupati per la fine delle rock band. Penso che le band siano una cosa bellissima, che siano rock o pop band o qualsiasi altra etichetta. Quanto alla nostra casa discografica, chi ci aveva messo sotto contratto sapeva che avremmo preso autonomamente tutte le decisioni creative e che avrebbe avuto solo ciò che volevamo dare noi. Nella maggior parte dei casi abbiamo avuto ragione, quindi non ci sono state molte discussioni al riguardo.
Ho avuto la fortuna di vedere la band dal vivo parecchie volte in quel periodo. A differenza del disco, i R.E.M. in concerto erano piuttosto rock.
Beh, gli spettacoli dal vivo per me sono sempre una questione di energia, di scambio tra la band e il pubblico. Nel disco c’è una canzone come "Walk Unafraid", che non è proprio un pezzo rock, ma dal vivo si trasformava.
Con i R.E.M., al centro di ogni canzone c'è solitamente qualcosa che puoi suonare alla chitarra o al piano, perché è così che le canzoni sono state scritte. In studio si trasformano, ma al centro di tutto c'è sempre una canzone normale.
Pensi che una canzone, per essere buona, debba essere suonabile al pianoforte e alla chitarra? È questa l'essenza di una canzone?
Penso che per la maggior parte sia così. Non sempre, ovviamente: guarda Brian Eno. Puoi suonare le sue musiche alla chitarra? Probabilmente no... Ma per noi era così: il cuore di una grande canzone era sedersi e suonare con una tastiera, una chitarra o un basso.
“Up”, in un certo senso, è il disco “alla Brian Eno” dei R.E.M. Vi è mancato non lavorare mai con lui?
Non abbiamo mai avuto la possibilità di lavorare con Eno e non so se sarebbe stata una buona cosa oppure no. Sono un suo grande fan e so che ha fatto un ottimo lavoro con gli U2, ma questo non significa che avrebbe funzionato per noi.
Una storia interessante e strana è quella che riguarda “Hope”, co-accreditata a Leonard Cohen.
Beh, fu abbastanza ovvio che Michael si riferisse a “Suzanne” quando ha scritto la canzone: sappiamo cosa succede quando non ottieni l'autorizzazione da un altro artista per aver preso in prestito il suo lavoro. Quindi abbiamo chiamato chi lavorava con Leonard Cohen e abbiamo detto “guardate, questa canzone è ispirata da 'Suzanne': come possiamo regolarci?”.
Sono sicuro che Michael sapesse da dove veniva l'ispirazione, ma non so se abbia pensato fino in fondo alla condivisione del crediti. Non è qualcosa che vorrei ripetere, ma se proprio devi prendere in prestito qualcosa da qualcuno, Leonard Cohen non è una brutta scelta…
“At My Most Beautiful”, invece, è ispirata dai Beach Boys, giusto?
Quando l’ho scritta al piano non volevo che suonasse così alla Brian Wilson, poi registrandola abbiamo deciso di renderla un omaggio. In linea con l'idea di questo disco che tutte le regole andavano infrante, Michael ha voluto scrivere una canzone d'amore diretta, cosa che non aveva mai fatto.
Qual è stata la regola più difficile da infrangere durante quel disco, l'abitudine più difficile da cambiare?
Bella domanda, ma è difficile sceglierne una perché quando Bill se n'è andato è cambiato letteralmente tutto nella band. Abbiamo dovuto ricominciare da capo. Eravamo liberi di fare qualsiasi cosa, persino stampare i testi nel CD, cosa che non avevamo mai fatto.
Con la ristampa di questo disco pubblicherete un secondo CD: un concerto registrato in uno studio televisvo, mentre eravate ospiti di una serie TV, “Party of five”. In quel periodo avete fatto molti concerti per la TV: come mai avete scelto quello in particolare?
Siamo sempre stati interessati all'intersezione di diverse forme d’arte, e dal vedere una band in uno show televisivo non musicale. Partecipammo a quella serie perché era un modo per raggiungere nuovi fan, ma invece di suonare solo una canzone come previsto, abbiamo fatto un concerto intero: è quello che facciamo, eravamo una live band. Non volevamo ristampare questo disco solo con demo, volevamo renderlo un po' diverso. Quindi abbiamo scelto un concerto davvero insolito.
Non avete pubblicato demo o canzoni inedite, come avete fatto in alcune delle ristampe passate. Come mai?
Ci pensiamo semplicemente di volta in volta. Forse era giunto il momento di fare qualcosa di diverso visto che questo disco era diverso.
A proposito di intersezione tra musica e media: i R.E.M. sono molto presenti in “The Bear”, una delle serie più belle degli ultimi tempi. Pensi che abbia aiutato alcune persone a riscoprire la band 12 anni dopo lo scioglimento?
Sono sicuro che ci ha portato alcuni nuovi fan, e che ha ricordato ad alcuni vecchi fan quanto eravamo bravi. È uno show televisivo meraviglioso. Siamo in circolazione abbastanza a lungo da far sì che alcuni nostri fan siano in posizioni importanti: i produttori di “The Bear” erano fan dei R.E.M. quindi hanno deciso di mettere un po' della nostra musica. Non ho ancora visto la seconda stagione, ma sono molto, molto felice che lo abbiano fatto.
I R.E.M. sono stati una delle band più rilevanti e di maggior successo degli anni ’90, ma spesso mi sembra che oggi non siano considerati così importanti come altri gruppi dello stesso periodo. Cosa ne pensi?
Oh, penso che abbiamo il giusto riconoscimento, ma allo stesso tempo non mi interessa molto perché non posso controllare quello che dicono o fanno i media. Per esempio, i Nirvana sono stati una band fantastica ed estremamente influente, ma hanno una storia tragica, a differenza nostra. Il fatto che siamo tutti amici e ancora in giro forse ci rende un po’ meno interessanti, dà ai giornalisti meno spunti per scrivere su di noi. Ci vedo menzionati ogni tanto e va bene: non ho bisogno di essere di attualità ogni giorno.
Una band che si scioglie senza drammi, con i membri che rimangono amici è una storia meno attraente, quindi?
Si, non è una storia così emozionante.
Recentemente hai fatto un album con i Baseball Project assieme Peter, a Scott McCaughey, che ha suonato a lungo con la band. C'era anche Mitch Easter che ha prodotto i primi album dei R.E.M.: è stata la cosa più vicina a una reunion che mai vedremo?
Oh, probabilmente è quanto di più simile si possa ottenere. Sai, siamo tutti buoni amici e ovviamente anche Steve Wynn e Linda Pittmon sono cari amici: abbiamo fatto quel disco perché ci piace stare insieme ed è stato davvero fantastico riportare Mitch in questo progetto. C’è un po' di storia dei R.E.M., lì dentro: sì, potrebbe essere la cosa più simile ad una reunion.
Recentemente hai raccontato che presto andrai in studio per fare alcuni demo, per un possibile album solista. Come mai non è mai successo prima?
In realtà c’è poco da dire a riguardo: ho buttato giù idee per molti anni, ma non ho mai preso seriamente in considerazione l'idea di fare un disco da solista. Farò solo qualche demo per vedere cosa ne viene fuori: voglio dire, non sto facendo promesse, potrebbe anche venire fuori qualcosa che non vale la pena.
Mi ritengo di più un collaboratore; lavoro bene con le idee degli altri e mi piace quando posso lavorare alle mie cose con altri musicisti: fare qualcosa da solo non mi sembra così entusiasmante. Ovviamente coinvolgerò gli amici e lo renderò un progetto collaborativo, ma non mi è mai piaciuto lavorare da solo.
Peter ha pubblicato tre dischi, Michael diverse canzoni. Cosa pensi del lavoro solista degli altri membri della band?
Li adoro. Beh, questa è una delle ragioni per cui ci siamo lasciati: perché ognuno potesse fare le sue cose. Eravamo ancora abbastanza giovani per andare in giro e creare nuova musica, siamo tutti dei musicisti bravi, quindi non sono sorpreso che abbiamo continuato tutti in un'altra direzione.
Sei sempre convinto della decisione dei R.E.M. di sciogliersi?
Sì, sono molto a mio agio con quella decisione. Ovviamente ci sono cose che mi mancano, ma siamo ancora amici e possiamo uscire e cenare insieme. Peter e io ovviamente facciamo musica insieme, quindi ci sono ancora un sacco di bei momenti da trascorrere.