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Valeria Rossi: “Sole, cuore, amore? Andai in terapia”

La cantante di “Tre parole” sarà ad Arena Suzuki: “Ma quale tormentone: era un testo taoista”.
Valeria Rossi: “Sole, cuore, amore? Andai in terapia”

“Dammi tre parole / sole, cuore, amore / dammi un bacio che non fa parlare”: chi non ha mai cantato il ritornello di “Tre parole” di Valeria Rossi? Era l’estate del 2001, quella del G8 di Genova, l’ultima prima dell’ingresso dell’euro e prima che gli attentati terroristici dell’11 settembre da parte di Al Qaida cambiassero il corso della storia, e la cantautrice romana conquistava le classifiche a suon di record con un singolo destinato a diventare uno dei più grossi successi pop del Duemila, anche grazie a quel ritornello irresistibile, nel quale aveva messo in fila con disarmante semplicità le rime più ovvie della canzone italiana. Pochi sanno però che la versione originale di “Tre parole” suonava in maniera decisamente diversa. Provate a canticchiare la melodia del ritornello con questi versi: “Sono il guaritore / sono il tuo dolore / sono la notte che deve passare”. Tutto vero: “Cambiai il testo su richiesta dei discografici, che mi chiesero di alleggerirlo un po’”, racconta a distanza di oltre vent’anni Valeria Rossi, la cui parabola si consumò fin troppo rapidamente, nel giro di un’estate. “Tre parole” trascorse sette settimane consecutive al primo posto della classifica dei più venduti in Italia e fu il secondo singolo di maggiore successo in Italia nel 2001, dietro solo a “Can’t get out of my head” di Kylie Minogue, con oltre 500 mila copie vendute: “Il successo fu uno shock, ad un certo punto. E andai in terapia”. Mercoledì 20 settembre Valeria Rossi, che oggi ha 54 anni e dopo essere fuggita dal successo ha lavorato per anni all’ufficio anagrafe di Monza (dove vive), prima di impegnarsi in un curioso progetto presso una delle serre più note del comune lombardo, tornerà a cantare in pubblico “Tre parole” in occasione di una delle tre serate di “Arena Suzuki dai 60 ai 2000” con Amadeus a Verona, che andranno poi in tv sabato 23, mercoledì 27 settembre e mercoledì 4 ottobre.

“C’è solo una cura / io so che lo sai / è una stanza vuota / io mi fiderei”: cosa volevi dire esattamente?
“La stanza vuota era un simbolo che rimandava al coraggio, all’idea di lasciarsi andare al di là di stereotipi e schemi. È un testo taoista”.

Scusa?
“Io ho fatto la stessa scuola che ha fatto Franco Battiato, che ha abbinato l’ascesi alla materia. Nel periodo in cui scrissi ‘Tre parole’ frequentavo la scuola di Gurdjieff, che insegna a sviluppare la coscienza di sé. Quella ricerca interiore finì in qualche modo nel testo della canzone. Non era un tormentone come gli altri, etichetta che rigetto perché trovo fortemente riduttiva: era una canzone piena di connotazioni simboliche, con un sottotesto tutto da decifrare. Che però riuscì a conquistare tutti”.

È vero che quel successo non se l’aspettava nessuno, a partire dai discografici?
“Già. Poi si ricredettero talmente tanto da puntare pure a un lancio internazionale: andai a registrare a Miami con il produttore di Jennifer Lopez. La versione in lingua spagnola, ‘Tres palabras’, spopolò nel mercato latino”.

E che fu scartata dai “giovani” di Sanremo 2001?
“Vero anche questo. Mi presentai alle selezioni, ma non andò bene. Non mi demoralizzai. Sentivo che il pezzo avrebbe comunque funzionato”.

La svolta come arrivò?
“Grazie al videoclip. I due registi, Dario Cioni e Chico De Luigi, ebbero l’intuizione di trovare questa chiave tra l’ironico e il surreale. Il video era in realtà una sorta di ‘prova’ del video, con operatori e truccatrici che entravano continuamente in scena, insieme a un uomo vestito da ape (interpretato dall’attore Edoardo Gabbriellini, ndr). Colsero lo spirito dell’operazione. Sulla carta poteva sembrare una cazzata colossale. Invece fu un successo. Mtv lo cominciò a trasmettere in alta rotazione e da lì, poi, arrivò anche alle radio”.

Cosa c’era stato prima di “Tre parole”?
“Tante porte sbattute in faccia. Mentre studiavo giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma registravo provini e bussavo alle etichette discografiche, ma nessuna sembrava interessata al mio progetto. Poi la Bmg si convinse. Mi fecero fare anche due dischi, dopo l’exploit di ‘Tre parole’: ‘Ricordatevi dei fiori’, che uscì nello stesso anno del singolo, e ‘Osservi l’aria’ del 2004”.

“Tre parole” è stata più croce o più delizia?
“Non provo né amore né odio per quella canzone. Negli anni ho imparato a guardare le cose con più distacco. Oggi la considero una parentesi, all’interno del mio percorso di lavoro. E quando mi chiedono di ricantarla, a distanza di anni, come ha fatto Amadeus in occasione di Arena Suzuki, cerco di astrarmi in qualche modo dalla canzone e di diventare solo un mezzo: io non sono ‘Tre parole’”.

La parodia di “Boris”, “Dammi tre parole: occhi del cuore”, ha in qualche modo contribuito al revival di “Tre parole”?
“Sicuramente sì. E dopo ‘Boris’ l’hanno omaggiata anche Daniele Vicari nel suo film ‘Sole cuore amore’ del 2016 e Massimiliano Bruno in ‘Non ci resta che il crimine’ del 2019. Oggi ‘Tre parole’ conta 4 milioni e mezzo di ascolti su Spotify e 6 milioni di visualizzazioni su YouTube”.

Tra vent’anni ascolteremo ancora “Italodisco” dei Kolors e “Mon amour” di Annalisa?
“Presto per dirlo: non so chi, tra i protagonisti di oggi, resisterà alla dura lex del tempo”.

“Ricordo che la notte che vinsi il Festivalbar all’Arena di Verona ero talmente estraniata che è come se ci fosse stata un’altra persona al posto mio che intanto ero rintanata in un angolo. Non riuscivo a distinguere cosa volessi io da cosa volessero gli altri”, hai raccontato. Non hai chiesto aiuto?
“Sì. Fu uno shock. Mi resi conto che quei sintomi non erano da non sottovalutare: può succedere quando vivi un’emozione troppo forte e non sei pronto a gestirla. Andai in terapia. Oggi sono una counselor: lavoro in contesti educativi”.

Cioè?
“Sono tra i promotori a Monza del progetto ‘VoicePlant’, un format che coniuga i suoni emessi dalle piante con quelli dell’interazione umana: raccolgo il suono delle piante”.

Come?
“Con un dispositivo che traduce le pulsazioni elettriche emanate dagli alberi in suono, sul quale si scrivono canzoni. Con un gruppo di studenti coinvolti dall’associazione Elianto abbiamo composto un vero e proprio brano, ‘Sconosciuti adesso’, uscito sulle piattaforme. A distanza di vent’anni ho trovato una stabilità, una sicurezza, un radicamento. E oggi posso ripresentarmi in certi contesti senza esserne plagiata”.

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