Jacopo Volpe oggi suona con Post Malone: "Mai avuto un piano B"
La storia di Jacopo Volpe, batterista oggi al fianco di uno dei più grandi e importanti artisti contemporanei, dovrebbe diventare un pamphlet motivazionale per i musicisti italiani. E non solo. È una storia magica: “non ho mai avuto un piano B”, racconta in collegamento dall’America. Oggi il drummer romano classe 1990 è in pianta stabile nella band di Post Malone, attualmente in tour. Un traguardo che coincide con la parola “sogno”, ma anche con il binomio “orgoglio nazionale”: infatti dimostra, ancora una volta, come dall’Italia emergano musicisti capaci di arrivare a traguardi di altissimo profilo internazionale. Due le esperienze che gli hanno cambiato la vita, preparando il terreno per il grande salto: quella con Salmo e quella con The Bloody Beetroots. La sua non è stata una chiamata improvvisa con una benedizione dal cielo, ma un lavoro costante su se stesso e un intreccio di relazioni, alcune frutto di grande audacia, che l’hanno portato a non smettere mai di credere nell’obiettivo che si era posto cinque anni fa.
Quando hai conosciuto Post Malone?
“Era il 2018. Lo seguivo da un po’ di tempo. Stava per uscire ‘Beerbongs & Bentleys’. Una mattina mi sveglio e dico alla mia ragazza: io voglio suonare con questo ragazzo. Faccio mente locale e penso alle conoscenze e ai link che mi avrebbero potuto portare a incontrarlo. Ai tempi ero in tour con The Bloody Beetroots, che mi diede la spinta a credere in questo sogno e una risonanza internazionale. Sono a Los Angeles con Bob, tramite il mio drumtech Andrea Rastelli vengo a sapere che un ex fonico di Bloody Beetroots è in tour con Post Malone perché fa da fonico a 21 Savage, artista d’apertura delle sue date. E così, con questi giri di conoscenze, arrivo ad avere un pass per un live a Baltimora”.
Riesci a incontrarlo?
“Prendo un volo, dal giorno alla notte, e mi fiondo al concerto. Vado, mi guardo lo show, e alla fine mi avvicino a Post Malone. Mi faccio forza e mi presento. Appena gli dico che sono romano, lo vedo entusiasta perché mi spiega che Roma è una delle sue città preferite nel mondo. Lui, dì lì a poco, sarebbe venuto a suonare nella Capitale. Gli mostro un video sul telefono in cui suono ‘Over now’ e lo vedo bello preso. Mi dà anche qualche accorgimento tecnico. Alla fine del video, apre il tastierino numerico del cellulare e mi segna il suo numero. E mi dice: ‘sei un talento, dobbiamo jammare insieme’. Era il maggio 2018”.
Un scena da film.
“In un primo momento la questione muore lì. Ma io a quel punto ho il suo numero e conosco buona parte della sua crew, che si prende a cuore la mia storia, quella di un ragazzo italiano che parte dal suo Paese con un sogno in tasca. Una sorta di american dream. Rimanendo in contatto con la sua crew ho supporto e rimango nei radar, mi procurano pass e inviti. Torno in tour con The Bloody Beetroots e intanto inizio a pensare a che cosa potrei scrivere a Post Malone. A un certo punto gli mando una foto di un setup della batteria con una modifica grafica sulla striscia in cui inserisco del filo spinato, al tempo parte integrante del suo immaginario grafico. E lui mi risponde: ‘forte, è la tua?’. Io a mia volta rilancio: ‘Non ancora, ma se mi porti in tour la mia batteria sarà così’”.
Molto audace. Vi rivedete a Roma?
“Sì, ci rivediamo quando viene a Roma a suonare, è sempre il 2018. Vado in giro con la sua crew e con lui, che si affitta anche una Vespa. Andiamo insieme alla Terrazza dello Zodiaco perché vuole vedere Roma dall’alto. E a fine serata facciamo un video in cui lui mi dice: ‘quando suonerò con una band, tu sarai il mio batterista’. Fa una sorta di promessa. Poco tempo dopo ci rivediamo nel backstage di un festival in Spagna, io sono lì con The Bloody Beetroots e ci esibiamo nel main stage, lui in un palco secondario. Cosa ridicola e pazzesca se pensiamo al Post Malone di oggi. Però quel momento è fondamentale perché lui in quell’occasione capisce che sono un batterista professionista inquadrato e non solo un fan con un sogno”.
Il lieto fine quando arriva?
“Rimaniamo sempre in contatto. Ma in un primo momento, in tempi recenti, chi doveva occuparsi di comporre la band di Post Malone non mi sceglie perché io non sono nei loro archivi, non compaio fra i possibili nomi da testare. Lui, mi hanno raccontato, quando legge la proposta di band che gli viene consegnata, chiede un altro batterista e fa il mio nome. Alcuni pensavano fosse una sparata, che io fossi ‘il suo amichetto italiano’, poi dopo aver visto alcuni miei video e aver capito che sono un professionista, si sono ricreduti. Tutto quello che avevo seminato, è sbocciato. Ma è stato lui, anche memore di quella promessa, a cambiare le carte in gioco durante la partita. Questo fa capire moltissimo chi sia Post Malone”.
Quello in corso è il suo primo tour con la band. Come sono andate le prove?
“Abbiamo fatto due settimane di prove molto intense e adesso stiamo facendo le prime date. Ci sono tante persone che lavorano dietro questa produzione, ognuna con un ruolo preciso, nessuno entra nel campo dell’altro. Mi aspettavo di trovare un ambiente teso, vista la grandezza dell’artista e invece è totalmente il contrario. Si lavora tantissimo, ma con serenità. Il suo staff cerca di mettere al primo posto ‘lo stare bene come essere umano’. Lo ripetono spesso. In più occasioni a me e agli altri componenti della band ci hanno detto: ‘se avete problemi parlatecene e se avete bisogno di momenti di stacco chiedeteceli’. Questo approccio è fondamentale”.
Post Malone che cosa vi ha chiesto nello specifico? Che cosa cerca in una band?
“Appena siamo arrivati alle prove con la band, i due direttori ci hanno spiegato che cosa volesse e le sue idee musicali. Lui non vuole ‘turnisti con la maglietta nera’ che stanno un passo indietro, ma una vera band capace di affiancare un frontman. E così è: c’è tanto confronto musicale con lui, mi incita a prendere spazio negli outro più pestati e spinge a dare il massimo. Non ha paura di perdere centralità, lascia campo. Il primo giorno di prove ha ascoltato buona parte della scaletta eseguita da noi, lui non cantava. Poi ha attaccato la chitarra e abbiamo fatto tre ore e mezza di jam session. Amore totale per la musica e grande rispetto per l’individualità, questo è Post Malone”.
Caratterialmente come si pone?
“È di una genuinità e di una semplicità pazzesca…è uno di noi. È uno che si assicura che tutti abbiano una birra da stappare al momento del brindisi. E se non ce l’hai, te la porta lui”.
Quali sono le canzoni che beneficiano di più dell’apporto della band?
“Lui ha un background di musica suonata e si sente anche nel suo songwriting. Tante canzoni ne beneficiano, fra queste in particolare ci sono ‘Over now’, che originariamente aveva la batteria suonata da Tommy Lee, e ‘Take what you want’. Tutti i pezzi del nuovo album sono più suonati, sono più organici e vanno verso quella direzione”.
Riusciremo a rivedere Post Malone in Italia?
“Ama il nostro Paese, io me lo auguro”.
Hai suonato con The Bloody Beetroots, Salmo, Marracash, Blanco e altri. Quali sono le esperienze che maggiormente hanno preparato il terreno al grande salto?
“Con Maurizio (Salmo, ndr) c’è un’intesa speciale, siamo fatti l’uno per l’altro. Lavorare sui live con lui a livello di direzione musicale, suonare a San Siro, nei palazzetti: tutto è stato costruttivo e centrale per la mia carriera. Gli devo tantissimo, mi ha permesso di esprimermi oltre il 100%. E poi non posso non sottolineare il lavoro con Bloody Beetroots, un artista straordinario, che mi ha aperto a panorami internazionali. Un’esperienza top. Bob mi ha insegnato la disciplina, quella che dalla vita si riflette nella musica e porta a essere un performer e una persona migliore”.
A fronte di storie come la tua e quella di Davide Rossi (leggi qui la nostra intervista), possiamo dire che dall’Italia è possibile arrivare a suonare con grandi icone internazionali?
“Assolutamente sì. Noi italiani abbiamo tutte le qualità per giocarcela. Quello che ci aiuta a poter realizzare qualche cosa di simile alla mia storia e a quella di Davide, è la capacità di adattamento a fare di più. In Italia capita di doversi prendere la responsabilità di fare altro oltre al proprio ruolo, bisogna essere in grado di adattarsi di più. Questo, in un mondo come quello americano, è un plus. In America è tutto strutturato, ognuno si occupa di una cosa sola e lo fa al massimo. In Italia quel ‘fare di più’ diventa un bagaglio d’esperienza utilissimo”.
Hai mai smesso di crederci?
“No, dentro di me non c’è mai stato un piano B. Volevo arrivare a lavorare con Post Malone e dovevo farcela per forza. Detta così sembra naif (sorride, ndr), ma è la verità. Ho costruito tutto strada facendo, passo dopo passo”.
E poi c’è la tecnica che hai dimostrato.
“Non basta. In America ci sono file di batteristi formidabili, probabilmente anche tecnicamente superiori a me. Ma non basta solo la tecnica, ci deve essere dell’altro, qualche cosa che ha a che fare con l’empatia, il sentimento, la tenacia e il legame con l’artista con cui si suona. Io sono conscio di non essere il miglior batterista in assoluto, ma sono cresciuto con la convinzione e ho la convinzione di essere il miglior batterista per Post Malone, per questo mi ha scelto”.