Gordon Gano e Brian Ritchie sono sempre una garanzia

Benché al grande pubblico il suo nome non dica molto, Gordon Gano ha lasciato la sua impronta ben impressa nella storia del rock alternativo americano a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta: con il suo gruppo – i Violent Femmes – lo schivo figlio di un pastore battista del Wisconsin è stato uno dei più autentici trait d’union tra il sound punk che nei Settanta era fiorito a New York e la gloriosa tradizione folk e country della provincia profonda, dando vita a uno stile unico che praticamente nessuno sarebbe riuscito a imitare. Oggi Gordon Gano da Milwaukee compie 60 anni, per festeggiarlo e con lui la sua band riproponiamo la lettura della recensione scritta per noi da Ugo Maltese di "Hotel last resort", ultimo album pubblicato dai Violent Femmes nel luglio del 2019.
Gordon Gano e Brian Ritchie, alla fine dei conti, sono sempre una garanzia. Come diceva una famosa pubblicità degli anni Settanta, si possono prendere “a scatola chiusa”. Questo perché anche se il tempo non è affatto galantuomo, nonostante la supposta saggezza popolare gli attribuisca questa virtù, è innegabile che la loro personalità e la loro classe continuino a manifestarsi. Magari con qualche appannamento, con un filo di fatica e qualche palese segnale di stanchezza… tutte faccende fisiologiche, che a una band come questa si possono – anzi si devono – perdonare.
Quindi, per dirla tutta, i Violent Femmes, a diversi decenni dalla loro nascita, sono ancora perfettamente in grado di concepire e registrare un album più che dignitoso. Nessuno urlerà “al miracolo”, ma in queste situazioni la cosa fondamentale è rimanere fedeli alla propria fama, alla legacy lasciata e alla valenza storica del brand. E i nostri due menestrelli punk folk lo fanno senza dubbio alcuno. Certo, la dichiarazione di Gano secondo cui questo forse è “l’album migliore che abbiamo realizzato dai tempi di ‘Hallowed Ground’” suona un filino azzardata, ma le esigenze di marketing e promozione a volte trascendono il dato reale e piegano l’evidenza a logiche che esulano dal dato oggettivo.
Quindi come suona questo “Hotel Last Resort”? Come un disco dei Violent Femmes che cercano di “rifare i se stessi” della prima metà anni Ottanta. Ci provano davvero tanto e in più di un episodio riescono a rievocare quelle atmosfere – anche se la fantastica magia ragliante da busker punkettoni senza macchia e senza paura di una volta sembra essersi affievolita. Complice (e non in senso buono) una produzione davvero patinata, che non rende giustizia alla rozzezza dell’anima della band.
Il sound è un mix nevrotico di folk, post-punk, jazz, blues, country, improvvisazione, lo-fi e rock‘n’roll classico – peccato, come si accennava, per l’eccessiva pulizia dei suoni, che penalizza l’impatto e rende troppo facilmente digeribili le intemperanze della band. Gli episodi più centrati ci sono: l’auto-cover "I’m Nothing" (l’originale è di un quarto di secolo fa) e la title track, un pezzo epico che vede la collaborazione di Tom Verlaine (chitarra dei leggendari Television). Come si suol dire: “bene ma non benissimo”. Ma noi ci accontentiamo volentieri, in nome dei bei tempi andati.