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Gazzelle: vorrei mangiare una pizza e scrivere con Rino Gaetano

Esce il nuovo album e il cantautore romano si prepara al live dell’Olimpico. Lo abbiamo intervistato
Gazzelle: vorrei mangiare una pizza e scrivere con Rino Gaetano

È uscito oggi “Dentro”, il nuovo album di Gazzelle. Lo abbiamo incontrato per parlare del disco e del suo unico concerto all’Olimpico di Roma del 9 giugno. Da una lunga chiacchierata è uscito un interessante profilo.

Come raccontare questo nuovo disco?
Quello che dovevo dire l'ho detto nel disco. “Dentro” è un album di cui sono molto orgoglioso, un lavoro ponderato, che mi racconta al 100%. Dentro ci sono tutte le mie diverse personalità, artistiche e umane. Ci ho messo due anni a farlo e questo tempo c’è tutto dentro, cioè ci sono due anni di vita per un disco pieno di tempo, di giornate, pieno di eventi che sono successi, pieno di sensazioni. È un disco ricco di cose. Ogni canzone che c'è, sta lì perché ci deve stare, cioè ho scritto più canzoni di quelle che sono dentro, queste alla fine si sono imposte, mi hanno detto, noi stiamo qua, non c'è ne andiamo.

Hai detto anni di vita che sono stati anni particolari. Tu come li hai vissuti?
Sono stati anni decisivi in qualche modo perché sono successe tante cose a parte tutto ciò che è accaduto al mondo intero. Sono stati anni che ci hanno un po’ riposizionato, ci hanno preso per i capelli e in cui ho avuto modo di fermarmi un attimo. Venivo da un periodo in cui andavo a 100 all'ora, mi sono fermato, ho sistemato la mia vita privata, ho chiuso dei rapporti umani, ne ho aperti degli altri, quindi sono stato travolto da queste cose. Ho avuto per la prima volta dei problemi mentali, ho dovuto affrontare dei demoni che non avevo mai visto, li ho dovuti gestire. Aggiungi che sto crescendo, ho chiuso l'adolescenza in qualche modo ho affrontato il lutto dell'adolescenza che se n'è andata. E mentre facevo tutto questo, fuori c'era pure il COVID. Ho chiuso una storia d'amore, per fortuna ne ho aperta un'altra, che mi da tanta forza. Insomma, è stato un bel minestrone di roba e ho cercato di scriverci delle canzoni sopra, come faccio sempre alla fine.

Come spieghi questa scelta di far uscire un po’ a sorpresa sei brani, cioè mezzo disco, prima della pubblicazione globale?.
L'ho fatto per due motivi. Uno è che mi annoia il solito percorso, il solito iter discografico, alla fine ripetitivo e frustrante. Lavori a un disco, poi lo fai uscire e in quest'epoca in mezz'ora è finito, è già andato. La gente lo fagocita, tu hai lavorato due anni e poi si riduce tutto a un post da fare a mezzanotte. Quindi volevo intanto allungare il brodo, volevo godermelo e che il disco avesse una vita più lunga, quindi dividere le uscite in due in un mese questo già lo allunga. E poi, seconda cosa, volevo sorprendere i fan e anche me stesso. Per non annoiarmi devo fare qualcosa di diverso dagli altri, dal prevedibile.

Tu sei definito un malinconico per vocazione. È vero? E da dove arriva questa malinconia?
Fondamentalmente credo di essere molto sensibile, cioè le cose mi toccano, non solo quelle che capitano a me, sento una malinconia fissa nell'aria. Mi faccio tante domande, come penso alla fine tutti gli esseri umani, mi chiedo perché, perché succedono le cose, perché siamo qui. Cerco sempre di capire qual è il senso, anche se poi non lo capisci. Con la malinconia, non so, ci son nato, la sento per vocazione e alla fine per fortuna sono riuscito a veicolarla dentro l'arte, dentro la musica. Cioè ho trovato una forma di espressione e così riesco a tirarla fuori a non reprimerla, mi ci appoggio, ho imparato a volerle bene. E lei comunque mi ha restituito tanto perché mi ha dato il modo di realizzare i miei sogni alla fine e quindi gli voglio bene.

 

Qual è il tuo rapporto con la canzone d’autore tradizionale? Quali sono i cantautori che ti ricordi?
Quelli che mi hanno dato di più sicuramente sono Lucio Dalla, Battiato, Vasco Rossi, Battisti, ma anche De Andrè. Però se ne devo dire uno ti direi Rino Gaetano. Rino Gaetano e Vasco Rossi sono quelli che mi hanno formato di più, non solo a livello artistico. Avrei voluto essere loro amico, vorrei uscire con Rino Gaetano farmici una pizza o stare in un posto con la chitarra, scrivere una canzone a chiacchierare con lui. Mi trovo, insieme a Vasco Rossi, molto vicino a quel modo di fare, di scrivere canzoni, di mettersi a nudo, di essere ironico, ma allo stesso tempo malinconico. Pure loro, secondo me avevano questa cosa. Peccato che Rino non abbia avuto troppo tempo

 

Ma anche per te c'è tutta la narrazione: li ascoltavo con i miei quando ero in macchina oppure hanno una storia diversa?.
Sì, sì. Fortunatamente i miei hanno ascoltato sempre buona musica e questo è stato un grande privilegio, perché mi ricordo dei viaggi in macchina dove si sentiva tanto anche De Gregori, perché mamma é super fan di De Gregori, papà anche tanto di Ivano Fossati. Questa cosa mi ha proprio sequestrato il cervello e sono cresciuto con loro e poi quando da adolescente ho iniziato ad ascoltare la musica per i cavoli miei, lì ho scoperto Rino Gaetano e anche la musica straniera, ovviamente.

Come sono arrivati gli ospiti di questo disco?.
Inizialmente non sapevo se avrei voluto fare un disco con qualcuno dentro. Ormai gli album sono pieni di feat, è proprio una prassi e si vanno a cercare solo per fare numeri. Però poi li trovo un po’ fini a se stessi, cioè io penso che se devo fare una collaborazione deve essere una collaborazione vera, artistica in primis e poi pure umana. Quindi in questo disco, dopo qualche perplessità ho iniziato a pensare con chi veramente mi andava e alla fine ho tirato fuori questi nomi. Thasup penso sia uno dei più talentuosi della sua generazione, una botta d'aria fresca, un artista in continua crescita, a cui non interessa del successo, non si fa neanche vedere. Ha un talento musicale incredibile è un produttore veramente forte. Avevamo già fatto qualcosa insieme e volevo lavorare con lui di nuovo per capire cosa potessimo fare ancora. E poi Filippo Fulminacci. Lì tutto nasce proprio da un rapporto umano, perché siamo amici e negli ultimi anni ci siamo conosciuti ancora di più e lo stimo molto come artista perché è abbastanza unico, cioè non assomiglia a niente di attuale, ha delle caratteristiche che lo avvicinano ai “vecchi” cantautori tra virgolette, con un'attitudine diversa rispetto all'età, che ha. È stata una collaborazione vecchio stile: ci siamo messi in studio, abbiamo suonato, è stato molto bello e anche divertente, una bella esperienza. E poi invece con Noyz c’è stato un ragionamento diverso perché volevo scrivere una canzone su Roma e volevo farlo con un simbolo della città e in un modo underground, però credibile. Se parliamo di rap con Noyz parliamo di un'icona, un gigante. Poi mi piaceva creare un cortocircuito, cioè mettere me che fondamentalmente sono uno che scrive canzoni d'amore vicino a lui che è tutto un altro mondo, completamente diverso. Volevo includerlo in una canzone su Roma anche per il fatto che lui è così romano, ma è andato via da Roma, che vive a Milano da tantissimi anni e quindi mi piaceva andare a cogliere il punto di vista di una persona che Roma la vede da lontano e che aveva i suoi motivi per andarsene da una città, che pure lui sicuramente ama e odia come me.

Tu hai appena detto, scrivo canzoni d'amore eppure qua includi la tua prima canzone d'amore...
Esatto sì, questa è la prima canzone d'amore, perché è d'amore incondizionato, cioè io che amo te e scrivo per te, quindi è una canzone d'amore più classica, diciamo, non è una canzone d'amore finito o dove c'è il rammarico, rimpianti, eccetera. È una canzone d'amore scritta da una persona innamorata.

Quindi non c'è malinconia?
Forse no, forse è una canzone dolce e basta. Però ci stava. Non l'ho mai fatta, ne sentivo l'esigenza.

Quindi è figlia di quello che mi dicevi all’inizio, di un nuovo amore?
Esatto

E Michelino invece chi è?
È una persona che non esiste però esiste. Volevo raccontare attraverso un personaggio alcune sfumature negative delle persone. Michelino per me rappresenta una persona negativa, che non crede in te, che non è mai felice per partito preso, non è felice della felicità altrui, una persona invidiosa, a ostile e che ti rema contro. Volevo usare una figura proprio per dire che io non voglio essere così. È un esempio negativo.

E Flavio invece?
Flavio invece sono io, la contrapposizione di Michelino. Nasce dall'esigenza di volermi raccontare un po’, cioè di aprire le tende sulla mia vita, anche privata, più personale, raccontare a chi non mi conosce quello che faccio, anche in termini lavorativi. È una canzone comunque ironica e polemica sul fatto che la gente mi dice: non ridi mai oppure fai solo canzoni tristi oppure tipo non ti va di fare le cose, datti una mossa dai Flavio, dai Flavio, dai, cioè sbrigati. L’ho intitolata Flavio perché Flavio e Gazzelle sono la stessa cosa.

Il 9 giugno fai un live all'Olimpico di Roma, un bel traguardo. Però tu arrivi da tutta una gavetta nei locali romani da quelli piccoli, fino ad arrivare al più grande che ci sia. Com'è stato questo percorso dal vivo?
Un passaggio naturale devo dire comunque rapido perché alla fine parliamo di sei anni anche se sei anni ora sono tantissimi. È stato un percorso naturale propedeutico, cioè ogni data che ho fatto a Roma mi ha portato a fare quella successiva, perché c’è stata sempre un po’ più di gente che voleva venire. Penso di arrivarci con le spalle larghe, perché ho fatto una gavetta. A Roma ho suonato in tutti i posti che esistono e quindi a un certo punto ho detto, allora adesso voglio suonare allo stadio, sia per me, perché è un sogno che si realizza, ma sia anche per i fan, per offrire loro uno spettacolo diverso per vedermi cantare in un altro posto. Ho sempre lavorato senza fare cose più grosse di me, per questa cosa dello stadio un pochino mi sono anche allargato, ho avuto un po’ di coraggio, mi sono preso dei rischi però alla fine sta pagando.

Un live in uno stadio ha un suo linguaggio, ha una sua dinamica, un protocollo unico. Come lo gestirai? Anche perché sinora la tua musica ha sempre richiesto ambienti più intimi
Farò di tutto per cercare di trasformare quello stadio in un club grande, voglio che l'atmosfera sia intima. Il mio obiettivo è proprio questo, cercare di far diventare lo stadio un posto più piccolo, una piccola casa. Non posso fare lo stadio come I Guns n Roses, voglio farlo a modo mio, senza fuochi d'artificio, balletti, non voglio strafare, voglio mettere un microfono e cantare davanti alle persone con un enorme coro dall'inizio alla fine, siamo lì tutti e cantiamo insieme. Cioè deve essere un falò sulla spiaggia, però gigante... e senza spiaggia. È un approccio opposto a quello consueto ma che mi consentirà di domare lo stadio.

Cosa dire sulla scaletta dell'Olimpico?
Sarà molto ricca, perché comunque sono al quarto disco. Alla fine, ho fatto il conto in sei anni ho fatto uscire 54 canzoni, non sono poche, però ovviamente non le farò tutte. Sto lavorando a una scaletta molto ricca, densa, dove ci saranno comunque tante canzoni. Sarà uno show lungo ma non lunghissimo, almeno due ore di concerto, anche di più, durante il quale ci saranno diversi momenti. Sarà uno show diviso in tre blocchi, con momenti più intimi, acustici e con degli ospiti, che ora non dico. Sarà un crescendo per arrivare all'apice dell'emozione. Ci sarà la band, più degli archi dei cori. Alla fine saremo una decina sul palco.

Sei anni di vita penso che entrino anche nella tua composizione, nel tuo modo di vedere le cose e anche nel tuo modo di scrivere. Com'è cambiato Gazzelle in sei anni?
Tantissimo, anche se tutto mi è successo quando non avevo più 19 anni e avevo già una maturità, non stavo più crescendo. Conoscendomi, fosse successo prima, probabilmente sarei stato travolto da tutto, non avrei controllato le cose così bene come sto facendo ora. Avrei potuto entrare nel “club 27”. Comunque mi è cambiata la vita, almeno negli ultimi anni. Ti ritrovi in un'altra vita, un altro film ed è molto veloce. Nella mia testa io l'avevo idealizzato così tanto e desiderato.

Ed era così quello che ti immaginavi?
No, in realtà immaginavo un po’ di più, ma ora posso e voglio divertirmi. È una vita con molta intermittenza, cioè alternare momenti di grande pace, serenità e normalità a momenti di grande stress e di vivere cose che le persone normali non fanno, come cantare in uno stadio. Col tempo mi sono consapevolizzato tanto, cioè adesso so chi sono a livello artistico, a livello umano ancora no. So dove voglio andare a parare, so come voglio che suoni la mia musica e so fare selezione.

Esiste uno “stile Gazzelle”?
Penso di essere abbastanza unico come artista, nella scrittura, nell’attitudine e nel modo di pormi. Penso però di aver fatto anche molto tendenza. Mio malgrado credo di aver ispirato tanti ragazzi che adesso fanno questo mestiere e che ascoltavano la mia musica, quando avevano 16 anni. No, non ho creato comunque un modo, un linguaggio

 

 

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