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Paolo Benvegnù: "l’amore è rivoluzione, ma oggi vedo più finanza"

In “Solo fiori” il cantautore canta dell’amore come elemento salvifico. Intervista
Paolo Benvegnù: "l’amore è rivoluzione, ma oggi vedo più finanza"

Ha senso cantare ancora d’amore? Secondo Paolo Benvegnù sì, perché l’amore è alternativa, è rivoluzione è “un altro mondo possibile”. Questo è il concetto che sta alla base di “Solo fiori”, il suo nuovo EP, cinque brani (di cui uno con la presenza di Malika Ayane in “Non esiste altro”).
Come al solito lo sguardo con cui Benvegnù osserva le “cose” è sempre attento, particolare, arguto e figlio di profonde riflessioni, tanto che lo si può considerare un “cantautore intellettuale” (lui non lo ammetterà mai), figura abbastanza atipica e anomala nell’attuale panorama musicale.
Lontano dal grande successo popolare Paolo arriva dalla ormai lontana e bellissima esperienza degli Scisma, band di grande spessore nel fermento del panorama rock italiano degli anni ’90. Finita quell’esperienza (e lui stesso ci ha raccontato il come e il perché) ha iniziato una carriera solista, lontana dai riflettori ma capace di regalare piccole perle di cantautorato pensante, sempre accompagnato da una band a supportare musicalmente le sue parole. 
Abbiamo parlato con Paolo Benvegnù di questo disco in una lunga chiacchierata (quella che trovate è una sintesi) in cui la sua anima ironica è stata una costante e continua presenza. “Solo fiori” ha visto il suo battesimo live sul palco del concertone del 1° maggio. Dopo quell’assaggio sono in programma altri due concerti (Roma e Milano), in attesa di successive date estive.

Come nasce questo nuovo EP?
L'idea era di continuare l’excursus intorno all’uomo, iniziato con “Hermann” (2011) che è la storia dell'uomo eretto fotografato in quell'istante cioè condensato nel tempo e nello spazio. Seguito da “H 3+” (2017) in cui c’è sempre lo stesso uomo ma nello spazio, nel cosmo. Nel nuovo “Solo fiori” l’uomo ritorna sulla terra e guarda il mondo e ne percepisce il percepibile. Questo vuole essere un disco che stigmatizza il percepito. Guardo la realtà e non mi ci trovo bene, perché sono un uomo del ‘900 in un mondo che è in metamorfosi e tu delle volte vuoi rimanere nel tuo senso di appartenenza. Perciò avevo pensato di scrivere un disco così. Poi mentre scrivevo tutto mi sembrava troppo: troppa critica, troppe differenze tra me e il mondo e non capivo a chi mi rivolgevo. Allora mi sono chiesto: ma Omero come avrebbe pensato? Shakespeare, Dante, Torquato Tasso, Ludovico Ariosto, come avrebbero trattato questi temi? L’avrebbero fatto attraverso l'amore, perché nel momento in cui tutto è razionale, realtà, pragmatismo, funzione, funzionalità, tutto ciò che non lo è obbedisce alla regola dell’amore. Perché è completamente irrazionale, perché non ha alcuna ragione. Beh, allora, a quel punto l'amore veramente è una rivoluzione rispetto a una cosa che a me non andava bene. Certo, l'amore, e non sto parlando solo di quello di coppia, per come lo sento io, alle volte è violentemente uragano, alle volte semplicemente immaginazione di sfioramento, alle volte inseguimento assoluto, anzi sempre lo è. Per me l'unica soluzione rispetto alla presenza dell'uomo nel mondo sta proprio nell'amore.

Quindi l’amore può essere anche positivo, salvifico….
Lo è, lo è sempre, almeno l'amore totalizzante, perché nel momento in cui cominci a fare calcoli, non è più amore è partnership. Allora siamo un'azienda, ce lo diciamo, abbiamo degli obiettivi, dei target annuali, dei target decennali. E perciò questo non è l’amore salvifico, l'amore come vita, come non morte. Questa società è post, post tutto, è iper finanziaria, dove ogni cosa è definita, incasellata e razionale. Allora l'amore è irrazionalità, diversità. Quindi, ribadisco, rivoluzione.

Ma così l’amore è fuga o soluzione?
Ambedue. Dobbiamo smettere di pensare per categorie. Perché una soluzione risolve una mancanza cercando e quindi il trovare l’amore, nella concezione che dicevo, è la risoluzione alla sua stessa mancanza. Amore è anche fuga se questa è la realtà. In sostanza l’amore è follia. Sino a qualche tempo fa c’era troppo io in me, poi ho capito che l’amore è donarsi ma anche prendere.

Tornando a ciò che dicevi prima, intorno a te vedi più amore o finanza?
Finanza! Perchè è quello che dà la misura nella tua posizione nel mondo. Ed è sempre così, cambiano gli scenari, che siano tecnologici, legati alle guerre o ad altro, ma questo concetto resta sempre uguale. Quello che succede in questo momento e che per trovare una posizione devi avere una posizione. Ragionando, in questi termini, sulla trasformazione del mondo mi viene in mente l’esempio dell’evoluzione dell’hip hop da musica di strada e di protesta degli inizi a ostentazione della propria ricchezza. Sono stati 40 anni di transizione epocale non solo dal rap alla trap ma dal punto di vista sociologico. Un movimento che nato contro il potere, adesso, senza generalizzare e categorizzare, è ostentazione, è il potere e lo celebra, questo è reazionario.

Si dice però che è la rivincita dei secondi della classe, degli emarginati.....
L’esempio perfetto è quello di “Una poltrona per due”. Lì il vero potere prende Eddy Murphy e lo mette al posto di un altro. È questo il concetto.
Tornando al rapporto amore finanza, noto che oggi c’è più tecnica e finanza e l’amore non sottende a queste regole. L’amore deve partire dalla libertà, non è un burocrate che fa calcolo. L’umanità deve essere pronta a tutto per l’amore.

Si può “costruire un amore”? Come si fa?
Occorre sacrificare tutto. Non esiste più un io o un te, ma una terza via, ci siamo noi. Non è facile. Per cui l’amore per come lo scrivo in questo disco è inimmaginabile. Perché non ci sei più tu, non sei più te stesso.

A proposito di diventare altro. Cosa c’è oggi del Benvegnù degli Scisma?
Sono tornato ad avere fantasia e non solo perché negli ultimi 3/4 anni ho la capacità d’inventare dei giochi grazie allo stimolo di avere una figlia di sei anni. Penso di essermi slacciato da una geometria di pensiero; finalmente non esisto più, sono un ponte tra generazioni, ora faccio parte di qualcosa, un ponte tra argini. All’epoca cercavo di essere così in maniera forzata, ora lo sono con più fantasia. come allora ma senza finalizzazioni. Ora sono così: vado in giro e rido non perché sono stupido, ma perché immagino ciò che non è successo, le sliding doors. Non vedo più una realtà, sì certo la percepisco, la conosco e la vivo, però nella mia realtà ce ne sono altre e nessuna è diversa dall’altra e mi piace interpretare tutte le possibilità.

Lo guardi con tenerezza il Benvegnù degli Scisma?
No, lo odio. Ho fatto tutta la vita a smarcarmi da lui. Ero un arrogante, stupido e presuntuoso. Avevo le mie motivazioni: ero incazzato con tutti perché avevo perso mio padre a 16 anni e da quello ne sono venuto fuori 30 anni dopo. Ho rincorso il mondo con ansia e voglia di uccidere tutti, dimostrare di essere il migliore. Odio quel giovane uomo perché ha dimostrato il peggio di sé. Non avevo nessuno che mi desse consolazione. Hai una ferita profonda arrivata da un giorno all’altro, hai una rabbia addosso e una volontà di conquista per cui faresti qualsiasi cosa.

Per questo si sono sciolti gli Scisma?
Sì. Eravamo arrivati a un punto in cui avevo capito. All’inizio dettavo ogni nostro passaggio, artistico, discografico e ne facevo battaglia con i compagni e con l’etichetta (la Catapulta un marchio Emi). Però dopo “Rosmary Plexiglass” (1997) abbiamo visto di più il mondo, scoperto l’estero con cose bellissime e ho capito che in questa maniera tirannica non potevo più andare avanti. E li ho detto ai miei compagni di fare le cose insieme. Vorrei averlo detto per altruismo ma l’ho detto perché ero conscio di non poter fare tutto da solo e allora li ho usati per i miei scopi. E me ne sono dispiaciuto e infatti non è durata molto.

È servita la successiva riunion?
Quando ci siamo ritrovati nel 2015 era perché tutti avevano capito tutto e volevamo chiuderci in una stanza per ringraziare tutti, anche quelli che ci hanno seguito dopo la separazione. Era un senso di riconciliazione. Loro sono stati generosi ad accettarmi perché come essere umano ero stato veramente subdolo. In quella nuova occasione volevamo suggellare nella creazione ciò che avevamo già superato. Loro ribadisco sono stati molto generosi. Dal punto di vista formale non ho mai commesso omicidio, però adesso, che sono più presente alle cose, devo dire che, per com’ero allora, avrei fatto di tutto, venduto l’anima al demonio per fare qualcosa e diventare uno grosso. Non è bello. Venivo da un’esperienze di riscatto ma non dovevo farlo a discapito di altri. Sono stato ignobile, ho usato gli altri per i miei scopi a livello inconscio e anche quando ne ero conscio stavo zitto e li usavo. Dopo la fine della band nel 2000 ho imparato a fidarmi meno di me e più degli altri. Ora sono diverso, scrivo e poi chi lavora con me completa il mio lavoro, mi abbandono a loro.

Questo è un Ep. Poi arriverà un disco?
Nei miei desideri c’era la volontà di far uscire subito un disco ma l’etichetta mi ha fatto pensare a una diversa soluzione: un EP e poi il disco. Sono come due appuntamenti diversi, il primo è un cortometraggio e dopo arriva l’interezza dell’”opera”. Mi raccomando con la “o” minuscola. In questo Ep c’è l’ironia, però c’è anche il perdersi nell’impossibile dell’amore. C’è la speranza che qualcuno, in senso di ascolti, m’intercetti, che si rompa il muro di diffidenza nei miei confronti.

Questi brani saranno anche nel nuovo disco?
Un paio sì, forse tre. Comunque sto scrivendo molto.

Dopo la tua presenza al primo maggio di Roma seguiranno dei live?
Ci saranno i live a Roma (6 maggio) e Milano (12 maggio) in cui presentare questo EP. Negli ultimi 15 anni di scrittura ho fatto cose diverse in contesti diversi, però con una sequenzialità di intuizioni che hanno seguito una precisa narrazione. Questo aspetto, questo racconto, lo riporto anche durante i concerti, magari non in maniera esplicita per il pubblico. Da “Armstrong” (ultimo album degli Scisma del 1999) in poi c’è una narrazione contigua sequenziale, una sorta di piccolo breviario di sopravvivenza importante per me e dal quale magari mia figlia in futuro potrebbe cogliere alcune intuizioni per poter soffrire di meno. Senza però, sia chiaro, considerarmi “er più figo der bigoncio”.

 

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