Bono & The Edge: raccontare gli U2 sì, ma a chi?
C’è una scena in “Bono & The Edge: A Sort of Homecoming with Dave Letterman” che mi ha lasciata francamente confusa.
Il documentario diretto dal premio Oscar Morgan Neville (”20 Feet From Stardom”) è già ben avviato. Siamo in una Dublino luminosa, soleggiata e idilliaca mentre metà degli U2 si prepara a presentare una versione rivista e aggiornata del proprio repertorio all’Ambassador Theatre. Pubblico contenuto, luci calde e un accompagnamento intimista fatto di poche voci e strumenti orchestrali: quel tipo di live. Le canzoni rock degli U2, spogliate del rock e degli orpelli.
Ad accompagnarci nel dietro le quinte dell’evento è David Letterman, arzillo 75enne che sbarca per la prima volta a Dublino. Il conduttore statunitense un po’ fa il fan degli U2, intervistandoli e facendosi raccontare gli inizi della band e la sua connessione con la città, un po’ fa il turista per caso. Non mancano le solite tragiche uscite da americano non di mondo tipo vorrei un cappello per una testa più o meno grande così mimando con le mani la misura o vorrei acquistare un’intera forma di formaggio, perché è la prima volta che lo faccio in vita mia.
I disegnini di Bono su tablet: gli U2 spiegati ai giovani?
Il soggetto stesso del documentario (una band con svariati decenni d’attività alle spalle) e il mediatore del discorso (un conduttore che ha raggiunto il picco di popolarità negli anni ‘90) suggeriscono un pubblico maturo.
Eppure Disney le sue operazioni documentaristico-musicali è solita rivolgerle a un pubblico di giovanissimi. Giusto un esempio. L’ultima uscita “musicale” sulla piattaforma Disney+ in ordine di tempo è stata Miley Cyrus - Endless Summer Vacation (Backyard Sessions), tutta dedicata a Miley Cirus e al suo ultimo album (qui la recensione di Endless Summer Vacation). Il documentario sugli U2 sembra puntare a un altro tipo di pubblico, anagraficamente parlando.
Ecco che invece dal nulla Bono Vox si mette ad estrarre un tablet e a disegnare un’Irlanda stilizzata e un po’ sbilenca, spiegando in maniera sommaria la delicata questione relativa al confine tra Irlanda del Nord e resto dell’Isola, IRA e via dicendo. Cui prodest? La risposta più ovvia sarebbe il distratto pubblico statunitense, a cui un bel ripasso sulla storia al di fuori dei propri confini non fa mai male.
Tuttavia la storia musicale e la biografia degli U2 è così intrinsecamente legata a Dublino, all’Irlanda, alla domenica insanguinata di "Sunday Bloody Sunday" che risulta difficile credere che serva un disegnino di Bono. Su un tablet poi, che era già lì a portata di mano.
Più il documentario si srotolava davanti ai miei occhi più il sospetto che si tenti di spiegare gli U2 a chi non ha che una vaghissima idea di chi siano si fa strada in me. Senza perdersi i fan storici per strada, ovviamente.
Dio, Dublino e l’attivismo: un agile prontuario degli U2
È questo il limite principale di “Bono & The Edge: A Sort of Homecoming with Dave Letterman”: essere un documentario che non prende una decisione chiara su cosa raccontare e a chi farlo. Non è un’impresa facile, considerando la mole d’argomenti che fornisce una band come gli U2. Proprio per questo motivo però era essenziale farlo. Invece l’effetto “mescolone” purtroppo non è stato evitato.
In avvio di pellicola il taglio sembra preciso: raccontare gli inizi degli U2 e il loro rapporto con Dublino. Salvo poi seguire Letterman che fa il turista per caso, per poi tornare agli U2 che provano le loro canzoni riviste e corrette.
Anzi, solo la metà più cool degli U2. I protagonisti infatti sono Bono e The Edge, la parte più celebre del quartetto. Gli altri due U2 sono assenti più o meno giustificati: Larry Mullen Jr. è infortunato, Adam Clayton è impegnato nelle riprese di un film d’autore, spiega Bono sbrigativamente. Con una punta di cattiveria, bisogna ammettere che la loro assenza passa inosservata. Così abbiamo la metà degli U2 a raccontare l’intera storia del quartetto. La metà più rappresentativa, in tutta onestà.
In questo quadro s’inserisce David Letterman, il cui ruolo giova più a lui personalmente che al documentario. Il conduttore è da tempo immemore un fan della band ed è noto come intervistatore capace di cavare ammissioni scomode dai suoi soggetti d’indagine. Un po’ in quanto fan un po’ in quanto ospite d’onore, Letterman ci va con piedi di piombo e con i guanti di velluto.
Sembra più che altro essere lo stesso Bono in vena di ammissioni ed espiazioni. Tra i momenti più incisivi degli 85 minuti del doc c’è quello in cui ammette che gli altri membri della band hanno dovuto sopportare il suo attivismo, talvolta subirlo, quando associava l’immagine degli U2 a personaggi non troppo graditi. Spiega Bono:
"Io ero intenzionato a scambiare la moneta corrente che la fama del gruppo mi dava per le mie cause e loro hanno sopportato il mio attivismo démodé".
Più tardi, sul palco di un’esibizione in pieno stile MTV Unplugged, Bono spiega che il lato che proprio non sopporta di The Edge è che "potrebbe fare tutto da solo: scrivere, suonare, esibirsi. Eppure non lo fa" e The Edge chiosa: "è molto più divertente così".
I primi piani del pubblico più giovane emozionato dalle nuove versioni di "Bad", "One", "Vertigo", "Invisible" e altre hit degli U2, unito a un’attenzione marcata nel raccontare gli inizi dublinesi della band sembrano guardare a un pubblico che ha bisogno di un’infarinatura generale sulla band.
Indicativo in questo senso è come ci si premuri di raccogliere, tra le tante, la testimonianza dell’attivista e drag queen Panti Bliss, la cui storia posiziona Bono e gli altri dalla parte giusta della storia queer, dando modo di raccontare il cambiamento sociale in corso nell’ex cattolicissima Irlanda.
A tratti però il doc sembra parlare solo ai fan, affrontando questioni non da poco. Molta parte dei dialoghi con Letterman si focalizzano sull’influenza che il conflitto religioso irlandese ha giocato negli inizi della band che quella realtà l’ha cantata dall’altra parte dell’Atlantico. Non solo: Bono esplora anche la sua di spiritualità, spiegando cosa l’abbia portato a cambiare il testo di canzoni iconiche come "Sunday Bloody Sunday". Un pezzo per cui il termine “storico” è appropriato, eppure per Bono era necessario "strappar via […] l’artificiosità che inevitabilmente emerge dopo che sei sulla scena da così tanto".
Quest’operazione di nuda sincerità negli intenti è difficile riscontrarla nel risultato, il montato di “Bono & The Edge: A Sort of Homecoming with Dave Letterman”. Eppure il documentario non è privo di un certo candore, talvolta spiazzante. Non siamo dalle parti di documentari musicali epocali, ma una produzione sopraffina, una grande disponibilità di mezzi e un recappone dublinese sugli inizi degli U2 intervallato da ottime performance dal vivo valgono la visione.
Peccato che “Bono & The Edge: A Sort of Homecoming with Dave Letterman” non abbia saputo scegliere con più cura che storia degli U2 raccontare e a chi. Alla fine a uscirne vincitore è David Letterman, la cui presenza stessa nel documentario suscita più di una perplessità. A fine pellicola se ne torna a casa in Stati Uniti persino con una canzone inedita degli U2 che Bono e The Edge hanno scritto apposta per lui. Forse l’esperienza VIP definitiva a un concerto.
Dove vedere "Bono & The Edge: A Sort of Homecoming"? Disney+
Quanto dura "Bono & The Edge: A Sort of Homecoming"? 85 minuti
Quando è uscito "Bono & The Edge: A Sort of Homecoming"? 17 marzo 2023
foto: Disney+