Droghe, alcol e crisi creativa: Macklemore è un sopravvissuto

Ricorda quella notte che finì in ospedale “quasi in overdose”. Si domanda: “Quale frase sarà incisa sulla mia lapide?”. Ma poi tira fuori l’orgoglio e il carattere: “Questo è il mio momento: non possono strapparmi via il talento”. “Chant”, il singolo che la scorsa estate ha anticipato l’uscita del nuovo album di Macklemore, “Ben”, il primo in ben sei anni, è la colonna sonora perfetta della rinascita del rapper, che rialza la testa e punta a riprendersi il suo posto nella scena dopo essere ricaduto nella trappola delle dipendenze da alcol e droghe. Non è un caso che la canzone apra la tracklist dell’album, appena uscito. È un flusso di coscienza lungo cinque minuti, inframezzato dai ritornelli potenti di Tones and I, che canta: “Sono un combattente / non puoi togliermi la voce”. L’allusione è proprio agli stupefacenti. Gli scheletri nell’armadio sono tornati a tentare Benjamin Hammond Haggerty - che finì in rehab già nel 2008, a 24 anni, ancor prima del successo travolgente di “Can’t hold us” con Ryan Lewis - nel 2021, complice la depressione del lockdown: “La cosa più importante che ho imparato durante il periodo di rehab? Che sono impotente nei confronti delle droghe. La dipendenza è insidiosa. Ti dice costantemente bugie in modo che tu possa uscire e dire: ‘Sai una cosa? Penso che la cosa migliore per me ora sia uscire e sballarmi’. In ‘Chant’ volevo sfidare me stesso, superare i momenti di blocco dello scrittore e catturare lo spirito di cosa vuol dire superare qualcosa, superarlo e alzarmi il giorno dopo e farlo di nuovo”, racconta lui.
Nel modo in cui racconta i suoi demoni, “Ben” è forse il disco più personale di Macklemore, oltre 60 milioni di copie vendute a livello mondiale tra album e singoli. Non è un caso che il 39enne rapper abbia voluto intitolarlo come il nome con cui lo chiamano amici e familiari: “Ho sempre voluto fare un album intitolato ‘Ben’ - spiega - c’è qualcosa di speciale in un disco autointitolato. Sa di voyeurismo. Faccio entrare le persone, ma in modo in cui prima non mi sentivo a mio agio al 100%. Ora però lo sono”. “Chant” è la focus track di un album che ruota quasi tutto intorno alle battaglie di Macklemore per tornare ad essere padrone della propria vita e della propria carriera, a sei anni dall’uscita dell’ultimo album “Gemini”. Il 2020, complice il lockdown e le restrizioni legate alla pandemia, a guardare il bicchiere mezzo pieno sembrava essere l’anno giusto per prendersi un po’ di tempo per fare un lavoro di introspezione, chiuso in casa: “Ho sperimentato un livello di riflessione come mai ero riuscito a fare prima. Quella pausa forzata e il tempo hanno creato un livello di intimità che forse non ci sarebbe stato se il mondo avesse continuato a funzionare come prima”. È stato proprio in quel periodo, però, che il rapper è ricaduto nel tunnel delle dipendenze, quando gli incontri settimanali che faceva con psicologi ed esperti sono stati sostituiti da freddi collegamenti su Zoom: “La sobrietà non è una lotta quotidiana, ma uno sforzo quotidiano. Devo essere proattivo riguardo alla mia guarigione”, dice. Con coraggio, si è deciso a parlare pubblicamente dei suoi problemi con alcol e droghe l’anno scorso, quando ha inziiato a collaborare con Clean Cause, azienda che produce bevande analcoliche e la cui missione è quella di aiutare le persone che lottano con dipendenze da alcol e droghe: “Quando uso droghe e alcol, mi spengo. È come se avessio un velo sugli occhi. Non riesco più a vedere la verità. Mi siedo sul divano e gioco alla Playstation con i miei amici. Non riesco a creare. Invece quando sono sobrio, sono prolifico e produttivo”.
A tirarlo fuori dal tunnel ci ha pensato proprio la musica. Le sessioni di scrittura e di produzione con il gruppo affiatato di collaboratori composto da Budo, Tyler Dopps e Kid Culture lo hanno aiutato a esorcizzare i demoni: “Non avevo mai avuto l’opportunità di registrare senza una data di fine prevista. Eravamo lontani da tutte le distrazioni esterne. Tutto era fluito. L’idea era: ‘Facciamo arte perché possiamo, non perché dobbiamo. Catturiamo questa magia’”. E così uno dietro l’altro sono arrivati i singoli “Maniac” (in cui, a livello di scrittura, si ricompone il duo con Ryan Lewis), “Faithful”, fino a quando il rapper non ha capito che aveva tra le mani un album vero e proprio: “Penso che il dolore sia un catalizzatore per l’arte. Ma io non voglio più farmi del male, per creare. Non ho bisogno di auto-sabotarmi per creare, anche se riconosco che il dolore ha creato alcuni dei momenti più oscuri, onesti e vulnerabili di questo disco”.
Macklemore si è anche ricordato delle sue origini, ritrovando quell’ispirazione che forse gli mancava da un po’. In “Heroes”, incisa con DJ Premier, 56enne disc jockey, beatmaker e produttore discografico statunitense noto ai più per essere stato l’ideale metà del duo Gang Starr, oggi considerato una colonna della scena hip hop statunitense (negli anni ha lavorato con - tra gli altri - Notorious B.I.G., Jay-Z e Nas), Macklemore racconta la sua storia su un ritmo da far girare la testa intrecciato con campionamenti di fiati, una linea di basso, sirene della polizia e scratch: “Volevo una permanente come DJ Quik, mia madre mi disse: 'Ben, ti rendi conto che i tuoi capelli sono troppo sottili?’. Ma nella mia mente ero Iceberg Slim alle medie - racconta - sono cresciuto con l'hip-hop boom-bap degli Anni ’90. Mi ha ispirato più di qualsiasi altra epoca. È stato fondamentale per la mia maturità di quindicenne e per capire chi fossi. 'Heroes' è la storia della mia crescita alla fine degli anni Novanta, quando l'hip-hop era in voga, lo skateboard era in voga e la cultura dei graffiti era in voga. Ha avuto un impatto enorme sulla mia vita. Premier è anche uno dei miei produttori preferiti di sempre. Ha avuto un'enorme influenza su di me sia come artista che come persona. Si capisce subito che è lui”.
È stato così che Macklemore è uscito contemporaneamente da due tunnel. Quello delle dipendenze e quello del blocco creativo: “Il songwriting è il collante di tutta la mia carriera - dice oggi il rapper, che il 3 e il 4 maggio sarà in concerto all’Alcatraz di Milano - se non scrivi parole che risuonano, la musica non avrà profondità, peso o longevità. In questo album sono autentico: mi racconto per quello che sono. Sto riflettendo su dove mi trovo nella vita. Ho imparato molto".