L’umanità di Lucinda Williams

Il primo concerto milanese dell’anno ha un inizio che definire traballante è un eufemismo.
Lucinda Williams fa partire il tour europeo da Milano, dal Teatro Lirico di via Larga, luogo storico dello spettacolo cittadino ora intitolato a Giorgio Gaber e da poco tornato in attività. Sale sul palco accompagnata dal tour manager, zoppicante - di fronte al microfono si regge spesso ad una sedia a lato: due anni fa ha avuto un ictus che ha lasciato dei segni. Dietro di lei la band attacca “Blessed” e Lucinda sbaglia l’attacco, i tempi, l’intonazione e non riesce a riprendere la canzone. Sembra completamente fuori giri. "I need protection from the enemy of love”, canta nella canzone successiva: va un po’ meglio, ma viene spesso interrotta da colpi di tosse, deve bere, mentre la band la sostiene: lei chiede scusa e si dice imbarazzata.
La serata del 10 gennaio era iniziata con LA Edwards, band californiana di fratelli che ha appena pubblicato il terzo album (“Out of the Heart of Darkness”), un buon country-rock fortemente radicato nel suono dello stato (soprattutto in canzoni come “Leaving Los Angeles”, molto alla Jackson Browne), con una bella cover finale di “If I needed you” di Townes Van Zandt.
Poi arriva lei, 70 anni tra qualche giorno, una delle cantautrici rock più amate e rispettate.
Dopo le prime canzoni, dopo quell’inizio traballante, la serata poteva prendere una piega ancora peggiore: mi è tornato alla mente il famoso concerto degli Who a Verona nel 2007: Daltrey che perde la voce, sbatte il microfono e se ne va arrabbiato, Townshend che regge la baracca mettendosi a cantare, anche lui visibilmente indispettito.
Qua c’è però Lucinda Williams: donna dalla forza e dall’umanità gigantesche. Non molla, continua a cantare, la voce poco a poco torna, e canzone dopo canzone riesce a riprendere il filo della matassa. A fianco ci sono i Buick 6 (Butch Norton, Stuart Mathis, David Sutton e Doug Pettibone), che la sostengono: un suono che è la quintessenza del rock americano, una band di professionisti che la segue senza fare una piega. Lei infila pezzi, e qualche storia: da “Stolen Moments”, dedicata all’amico Tom Petty dopo la sua scomparsa a “Big Black Train”, ringraziando Springsteen per avere parlato apertamente di un tema che fino a qualche tempo fa era tabù come quello della depressione. Si illumina quando arriva in scaletta “Born to be loved”: “oh, that’s a good one”, contenta di cantare un brano con più speranza ("You weren't born to be mistreated/And you weren't born to misguided/You were born to be loved").
Ma soprattutto c’è il pubblico milanese, che la incita, la applaude, la sostiene con un gran calore: è uno degli aspetti più emozionanti di una serata ricca di musica e sensazioni. Il finale è un 1-2 da brividi: la sua “Righteously” (con quel verso meraviglioso: “Don't cause me pain/Be my lover don't play no game/Just play me John Coltrane”) e la cover finale e liberatoria di “Rockin’ in the free world”.
Confesso che ho dovuto lasciar decantare un po’ le emozioni contrastanti di questa serata, prima di scriverne, in barba alla regola che i concerti vanno raccontati subito. Nel frattempo, sui social si è discusso parecchio di questa serata, nella bolla degli appassionati: molta empatia, qualche giudizio un po’ tranchant (anche e soprattutto da parte di chi non c’era). Una serata che ha lasciato il segno, nel bene e nel male: da un lato una cantante che ha fatto la storia del rock, che si mostra anche nella sua fragilità, che ha la forza di riprendersi dopo un inizio disastroso. Dall’altro il tempo che passa, inesorabilmente, anche per il rock.
Al centro lei, rocker dalla sensibilità e dall’umanità enorme, con una band e un pubblico meraviglioso. Umano, troppo umano, come diceva il filosofo.
SETLIST
Blessed
Protection
Right in Time
Stolen Moments
Drunken Angel
Lake Charles
Big Black Train
Born to Be Loved
Copenhagen
Are You Down
Let's Get the Band Back Together
You Can't Rule Me - Cover di Memphis Minnie
Essence
Pray the Devil Back to Hell
Honey Bee
Joy
BIS #1
Hot Blood
Righteously
Rockin' in the Free World - Cover di Neil Young