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Sarebbe tempo che Donald Fagen pubblicasse un nuovo album

Il sodale di Walter Becker negli Steely Dan non pubblica un album solista da oltre dieci anni
Sarebbe tempo che Donald Fagen pubblicasse un nuovo album

Donald Jay Fagen nasce il 10 gennaio del 1948 a Passaic, in New Jersey. Fagen passerà alla storia della musica per aver fondato nei primi anni Settanta, insieme a Walter Becker, gli Steely Dan, gruppo sofisticato e capace di creazioni in studio impeccabili e tecnicamente quasi perfette.

Gli Steely Dan (nome ispirato a un personaggio del romanzo “Il pasto nudo” di William Burroughs) raggiungono l’apice del successo durante gli anni Settanta pubblicando album divenuti veri e propri simboli della musica rock statunitense (e non solo). Il disco d’esordio “Can't Buy a Thrill” contiene due dei brani più famosi della band: “Do It Again” e “Reelin' in the Years”, il secondo album “Countdown to Ecstasy” del 1973 non ha raggiunto la fama del precedente ma contiene altri due classici indimenticabili degli Steely Dan: “My Old School” e “Bodhisattva”. Il gruppo guidato da Fagen e Becker continua negli anni successivi a pubblicare dischi egregi: “Pretzel Logic” del 1974, “Katy Lied” del 1975, “The Royal Scam” del 1976 e “Aja” del 1977. Con l’arrivo degli anni Ottanta inizia la parabola discendente del gruppo che si conclude con lo scioglimento del 1981, un anno dopo aver dato alla luce, nel 1980, l’album “Gaucho”.

Dopo la rottura con gli Steely Dan, Donald Fagen inizia la carriera solista e pubblica l'album “The Nightfly”, nell'ottobre 1982. Il disco ebbe un successo enorme vendendo oltre un milione di copie negli Stati Uniti e raggiungendo la posizione numero 11 nella classifica statunitense. Il secondo album solista di Fagen, “Kamakiriad” (1993), è prodotto dallo storico compagno negli Steely Dan Walter Becker. Dopo venti lunghi anni gli Steely Dan tornano in sala d'incisione e danno alla luce ben due dischi: l’acclamato “Two Against Nature” (leggi qui la recensione) del 2000 e “Everything Must Go” del 2003. Sia Fagen che Becker continuano in parallelo la carriera solista, ma la band va in tour con regolarità fino al 2017, anche se gli ultimi concerti del gruppo vengono mancati da Becker, malato da tempo. Walter Becker muore all’età di 67 anni, il 3 settembre del 2017.

Il ritorno alle scene della storica band non frena l’estro creativo di Fagen che nel marzo del 2006 pubblica il suo terzo album da solista “Morph the Cat” (leggi qui la recensione), che vede Wayne Krantz e Jon Herington alla chitarra, Keith Carlock alla batteria, Freddie Washington al basso, Ted Baker al pianoforte e Walt Weiskopf al sax. Il quarto album di Donald Fagen, “Sunken Condos”, è stato pubblicato nell'ottobre del 2012. Per celebrare i 75 anni di Donald Fagen, uno dei più originali esponenti della scena rock americana, vi riproponiamo la recensione di quello che rimane – ancora oggi, oltre dieci anni più tardi – il suo ultimo disco. La scrisse Michele Boroni.

Prima di iniziare la recensione, è necessaria una breve premessa. Nella musica pop-rock ci sono artisti che riescono a creare intorno a loro una sorta di riserva indiana di appassionati (tra cui, incidentalmente, anche chi scrive di musica). I nomi sono sempre quelli: brucespringsteen, bobdylan, neilyoung, petergabriel. Non artisti ma totem, icone. Santini. Perciò quando esce un loro nuovo disco è sempre difficile farne una recensione senza cadere nella trappola dell'esegesi dell'artista, a maggior ragione quando si tratta di uno che, da solista, è riuscito a fare solo quattro dischi in trent'anni. Ecco, chi vi scrive è un fageniano doc che questa volta proverà a uscire dalla riserva indiana per tentare di vedere le cose dalla giusta distanza (tzè).

Seconda, e ultima, premessa. Se la reazione al nome donaldfagen è stata “Donald chi?” allora leggete le prossime due righe, per non perdere troppo tempo: se amate la musica lo-fi, quella tutto sudore-lacrime-sangue o vi appassionano le sperimentazioni di ogni tipo, ecco, allora risparmiatevi le prossime righe, ché donaldfagen non fa per voi (…e questo è servizio al lettore, poche storie!). Veniamo quindi al disco. "Sunken condos" (“Condomini affondati”) viene dopo la trilogia terminata con "Morph the cat" del 2006 (a proposito che ne dite di una bella moratoria alla diabolica pratica di trilogizzare qualsiasi terna di dischi, film, romanzi, evitando a tutti così di trovare forzatissimi fili rossi?) e la prima impressione è che il vecchio Donald sia molto più divertito e libero di scrivere ciò che vuole, anche se, diciamocelo, Fagen è sempre uguale a se stesso. E' inutile che la diligente redattrice del comunicato stampa scriva che il nuovo disco “segna una nuova fase nell'evoluzione creativa di questo innovativo artista”, perché evoluzione e innovazione non sono proprio le primissime parole che ti vengono in mente ascoltando il disco (“per fortuna” urlano da lontano quelli dalla riserva indiana).

Prendete le prime note di “Slinky thing” che aprono il disco: groove serpeggiante su una linea di basso acustico, piano elettrico vintage, chitarra wha-wha e poi quei preziosi tocchi di vibrafono. Roba da acquolina in bocca, puro Fagen trademark. Il disco è, come i suoi precedenti lavori - ancor più dei dischi dei riformati Steely Dan, di cui donaldfagen rimane leader indiscusso - una raccolta di elegante e raffinato mix di funk, jazz, R'n'B e blues. Però qualche differenza c'è. La presenza del co-produttore Michael Leinhart - trombettista in tour con gli Steelys, polistrumentista da studio e autore di un disco misconosciuto e notevole (“Seahorse And The Storyteller” del 2010 da recuperare) – rende il disco se possibile ancora più sofisticato e preciso dei precedenti, con una particolare attenzione al groove. Ascoltate il singolo che ha anticipato il disco, “I'm not the same without you”: scanalature funk, sinuosi accordi di piano, gli ispirati gorgheggi adenoidali di Fagen e che si conclude con un solo di armonica affiancato da un magistrale fraseggio di ottoni.

Gli amanti degli Steely Dan più blues (quelli di “Pretzel logic”, per intenderci) potranno gioire ascoltando “Wheater in my head”, e quelli del funk per la coraggiosa rilettura di “Out of the ghetto” di Isaac Hayes, unica cover del disco. Anche i pezzi più facili come “Memorabilia” o quelli che hanno l'impressione di essere degli outtakes di “The Nightfly” come “Miss Marlene” rivelano una chimica raffinata e perfetta tra i musicisti (i migliori session men sulla piazza, ovviamente).

Mancanza di anima, dite? Troppa perfezione? Ok, rileggete le premesse e poi decidete cosa fare.
Ultima nota sui testi. Le liriche di Fagen sono da sempre tra il criptico e ironico; qui l'umorismo e il sarcasmo sono ancora più evidenti e servono a mascherare il dolore o l'età avanzata. Nella già citata “Weather in my head” Fagen canta "They may fix the weather in the world, but what can be done about the weather in my head?" (“Loro possono decidere le condizioni meteorologiche nel mondo, ma cosa possono fare per il tempo nella mia testa?), in “The new breed” - per chi scrive, il miglior pezzo del disco – Fagen è alle prese con un giovane geek presentatogli da una sua vecchia fiamma che ora si è invaghita di lui, mentre il singolo di cui sopra è un'ironica storia di abbandono e di rinascita, una sorta di “I Will Survive” al maschile.

Insomma, se "The nightfly" (1982) rappresenta il modello inarrivabile, questo “Sunken Condos” è quello che più gli si avvicina. Detto questo, torno nella riserva indiana a godermi questo capolavoro.

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