L'inimitabile (ma per davvero) chitarra di Johnny Marr

Sono 59 gli anni che oggi compie Johnny Marr, per l'anagrafe di Manchester John Martin Maher. Di lui si potrebbe dire 'un grande avvenire dietro le spalle', e si commetterebbe un errore. Certo, la sua chitarra è leggenda, come è abbastanza leggendario anche il gruppo in cui militò, gli Smiths. Ma siamo sicuri che anche il futuro di Johnny potrà riservare buone soddisfazioni. C'è una carriera solista da mandare avanti che lo scorso mese di febbraio ha accolto il quarto album: “Fever dreams parts 1-4” (leggi qui la recensione). Una carriera solista, quella di Marr, che ha preso il via piuttosto di recente, nel 2013, con "The messenger". Ed è invitandovi a leggere la nostra recensione di quel disco che gli facciamo i migliori auguri di buon compleanno.
Fa impressione pensare che questo sia il primo disco solista di Johnny Marr. Perché l'ex chitarrista degli Smiths non si è mai fermato, negli anni. Ha suonato con tutti, o quasi: Electronic (con Bernard Sumner dei New Order), The The, Modest Mouse, Cribs, tanto per citare qualche nome di gruppi di cui ha fatto parte in pianta stabile. Poi ci sono gli Healers, con cui pubblicò un album a suo nome qualche anno fa - oggi parzialmente disconosciuto. Era il leader di una band. Oggi è solo Johnny Marr.
Se siete cresciuti negli anni ’80, potete partire da “Generate! Generate!”. Avrete un tuffo al cuore. Ma anche la prima canzone di “The right thing” va bene. Quel riff, quel suono. Johnny Marr.
Quasi nessuno ha segnato il rock inglese come lui, con la sua chitarra, ovunque la portasse: che fossero gli Smiths o qualche altra band. E’ come Peter Buck (altro chitarrista che ha segnato un’era): ovunque suona lo riconosci, riconosci il suo tocco. Solo che Marr è un nomade vero, e forse questa volta ha trovato casa.
Scrive, e bene. Canta, dignitosamente (meglio di Peter Buck, comunque). “The messenger” è un vero e proprio clinic di chitarra rock, da far studiare a generazioni di musicisti, sia quando evoca gli Smiths (“European me”, con chitarre elettriche ed acustiche che si sovrappongono), sia quando gioca con i ritmi in controtempo di “The messenger”, dove dà lezioni a Strokes, Interpol e compagnia suonante.
Non dice nulla di nuovo, beninteso: non c’è nulla di sconvolgente in queste canzoni. C’è stile e ce n’è tanto. C’è il concentrato di una carriera luminosa, e c’è Johnny Marr che finalmente si prende i meriti in prima persona, senza prestare la sua opera al bene altrui. Quanto basta, è certo.