Marzo 1993: i Pearl Jam sono nella merda fino al collo, ma poi...

Dopo avere fatto centro con il loro primo album, "Ten", pubblicato nel 1991, i Pearl Jam si trovano a dover dare seguito alla loro carriera. Il 19 ottobre 1993 esce "Vs.". A seguire la storia del secondo disco della band di Seattle raccontata per noi da Andrea Valentini.
È il mese di marzo del 1993 e i Pearl Jam sono nella proverbiale merda fino al collo. Già, perché dopo che hai venduto milioni di copie del tuo album di debutto e hai alle calcagna la tua etichetta che ti chiede di bissare – anzi, meglio, di superare – quel primo successo planetario, la pressione che senti è decisamente troppa. Eppure the show must go on. E anche il buon Vedder, nonostante il disagio e le minacce di mollare tutto (troppo hype, troppi avvoltoi, troppo business…) capisce che è comunque un’occasione da non perdere.
Stringono i denti, mordono nel ferro, è si ritrovano al Site, uno studio super-pettinato a Nicasio (California), con tanto di resident chef, campo da basket e da golf, più sauna. Roba concepita per megastar molto esigenti, che mette ulteriormente a disagio i Pearl Jam – i quali desiderano, in realtà, solo fuggire dalle luci della ribalta. Eppure quando arrivi a quei livelli non puoi pensare di giocare a fare i Fugazi o i Black Flag. Il compromesso è inevitabile, anche perché è già stato fatto; il DIY estremo diviene un’aspirazione pericolosa, che attira sguardi sospettosi – soprattutto da parte di chi sta investendo molto nella tua musica.
Nonostante i dilemmi etici, le canzoni che la band si porta dietro funzionano: sono solide e lo si sente fin dai demo. I testi nascono tutti dai tormenti di Vedder, che spesso si assenta dallo studio per scomparire (talvolta per giorni interi) alla guida del suo pickup scassato, in cerca di ispirazione e di pace: venire a patti con il meccanismo del successo e con la nuova vita da rockstar in cui sembra tutto lo voglia risucchiare è un passo troppo doloroso, a cui non è pronto, evidentemente.
Il risultato delle session è quindi un album teso, che prende una forma definitiva anche per merito del produttore Brendan O'Brien, un trentaduenne chiamato dopo aver sentito il lavoro fatto con i Black Crowes nel 1990, per “Shake Your Money Maker”.
“Vs” è, in effetti, una raccolta di brani che oscillano fra la rabbia furiosa stile “Go”, “Rearviewmirror”, “Leash” e “Animal”, momenti più e riflessivi (“Daughter”) e atmosfere bizzarre (“Rats”). Un disco dal mood compatto, ma al contempo variegato, specchio di un travaglio e una dicotomia interiore di cui l’intera band era preda. Un lavoro che, paradossalmente, una volta completato dà ai Pearl Jam anche la forza per tornare sulla propria idea di evitare i meccanismi mainstream… ed è così che il gruppo, istigato da Vedder, decide di non impegnarsi in alcuna attività di promozione: niente video, niente interviste (o quasi). L’idea è di evitare la sovraesposizione mediatica, di non cavalcare troppo la tigre del grunge, che si sarebbe comunque sgonfiata rischiando – come di fatto è accaduto a molte altre band – di trovarsi con un pugno di mosche quando la moda avesse esaurito il proprio appeal. Una mossa vincente, a onor del vero… e lo confermano le oltre 950.000 copie vendute nei soli Stati Uniti in 5 giorni, a ridosso dell’uscita, oltre a una carriera lunga e ricca di grandi album.