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I Counting Crows sono un po' più funky di Bob Dylan

La band chiude il tour italiano con un emozionante concerto a Milano
I Counting Crows sono un po' più funky di Bob Dylan

"Dopo tutto questo tempo, dopo questa pandemia, non sai se c'è ancora gente che verrà ad ascoltarti. E noi non sappiamo fare un altro lavoro", dice in uno dei suoi monologhi Adam Duritz, quasi stupito di trovarsi di fronte un teatro sold out e adorante. È valsa la pena aspettare il ritorno dei Counting Crows dopo 6 anni, i concerti di aprile spostati perché non si era ancora pronti. Varrà la pena aspettarli un'altra volta dopo il concerto milanese al teatro Dal Verme che ha chiuso il mini-tour di 4 date. Una lezione di stile e di passione.

"I wanna be Bob Dylan/Mr. Jones wishes he was someone just a little more funky", diceva quella canzone: la band entra e, dopo una caotica "Mrs. Potter's Lullaby", suona quasi subito la sua hit. Una parte del teatro si alza in piedi: i Counting Crows sono ancora un po' freddi ma è già una festa. La band ha fatto pace da tempo con il successo travolgente di inizio anni '90: oggi i Counting Crows non hanno più bisogno di essere Bob Dylan, sono sia funky che emozionanti, uniscono esperienza e passione.

Subito dopo, una struggente versione di "Colorblind", piano e voce. Alla fine Duritz è visibilmente commosso: è uno che entra completamente nelle canzoni, non le canta semplicemente, le vive. Tant'è che più avanti racconterà la sua difficoltà nel riprendere dopo anni "Butterfly in reverse", su richiesta della sua compagna: "Non riuscivo a cantarla, mi costava troppo", spiega. "Poi mi ha detto che ero una 'pussy'", scherza.

Da qui in poi il concerto decolla, con momenti corali come "Omaha" ("Get right to the heart of the matters/It's the heart that matters more" è la frase simbolo del neo-romanticismo della band) e altri più teatrali: "Anna begins" è il capolavoro della serata, recitata tanto con la voce quanto con la mimica facciale e la prossemica. Duritz si aggira per il palco come stesse rivivendo in diretta quella storia di amore e indecisione di 30 anni fa. 

La scaletta unisce brani storici ad altri più recenti: l'esecuzione integrale della mini-suite "Butter miracle" è da manuale, la band gira che è un piacere: David Immergluck (Immy, per gli amici) è il jolly che passa da chitarre a mandolini a basso, David Bryson e Dan Vickrey sono l'anima elettrica del gruppo, sostenuto dalle tastiere di Charles Gillingham. 

Finale con "Rain king" che fa alzare in piedi il teatro, poi "A long dicember", sempre commovente. Nei bis arriva "Round here", forse la loro canzone più simbolica, una sorta  di "Thunder road" degli anni '90, anche se il pathos dell'introduzione viene parzialmente spezzato da Duritz che trova il microfono spento quando deve attaccare a cantare. Si finisce con "Hanginaround" e la riflessività di "Holiday in Spain": in tre canzoni c'è il mondo dei Counting Crows: rock festoso, pathos, epicità.

Una serata pressoché perfetta: non ci sono molte band intense quanto i Counting Crows. Teniamoceli stretti come quei momenti di cui Duritz canta in "A long december".

SETLIST

Mrs. Potter's Lullaby
If I Could Give All My Love -or- Richard Manuel Is Dead
Mr. Jones
Colorblind
Butterfly in Reverse
Omaha
St. Robinson in His Cadillac Dream
Anna Begins
Miami
Blues Run the Game - Cover di Jackson C. Frank
God of Ocean Tides
The Tall Grass
Elevator Boots
Angel of 14th Street
Bobby and the Rat-Kings
Rain King
A Long December

BIS #1

Round Here
Hanginaround
Holiday in Spain

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