Renato Zero: “Alla fine dei '60 aprii anche per Jimi Hendrix”

Dal 23 settembre all’1 ottobre prossimi Renato Zero sarà protagonista per la prima volta al Circo Massimo della sua Roma per sei sere con lo spettacolo “Zerosettanta”. In vista dei prossimi eventi, il musicista capitolino ha ripercorso la propria storia in una nuova intervista rilasciata a Sandra Cesarale per il “Corriere della Sera”. Nel corso della chiacchierata, Renato Zero è tornato con la memoria addirittura alla fine degli anni Sessanta.
“Alla fine dei Sessanta ho anche aperto il concerto di Jimi Hendrix al Brancaccio”, ha ricordato l’artista: “Ballavo insieme ad altri sette. Abbiamo allargato le braccia verso il fondo della scena ed è entrato questo riccioluto che mordeva le corde della chitarra senza prendere la scossa, non capivo come fosse possibile”. A quel tempo Renato Fiacchini - questo il nome all’anagrafe dell’artista, solito ricordare l’esperienza -, faceva parte del corpo di ballo del balletto di Franco Estilli, chiamato a esibirsi in apertura ai concerti del leggendario chitarrista statunitense nel maggio del 1968 al Teatro Brancaccio di Roma.
Alla domanda su come ricordi quegli anni, Renato Zero ha quindi spiegato: “Più stavi in giro e più accadevano cose. Avevamo questa attitudine all’aggressione del marciapiede, della porta di un impresario, rispondevamo alla chiamata alle armi di musicisti che una volta cercavano un batterista, una volta un bassista. Le idee si mescolavano. Poi sono arrivati i computer e si è stravolto tutto. Qualcuno è convinto che mettersi davanti a un Pro Tools sia una vittoria. Io credo sia una sconfitta perché ti allontani dall’umano, dalla stanchezza fisica, mentale, dall’andare a cercare l’ispirazione”.
Per tornare con la mente al presente in vista dei suoi spettacoli al Circo Massimo, il musicista ha poi riflettuto su come affronta il palcoscenico e ha narrato: “Fisicamente non seguo regole. Ma per uno come me che gioca a scopone scientifico, scopa, tresette almeno i polpastrelli sono esercitati (ride)”. E ancora: “La concentrazione è un’altra cosa. Quando stai lì il distacco dall’emozione è sempre complicato. Ogni volta che canti un brano ricordi il vecchio furgone che ti portava in giro, quando da solo caricavi gli strumenti. E poi ti chiedi se sei piaciuto, se il disco vende”.