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Sanremo 2022, Sangiovanni: “Sfido me stesso e chi mi odia”

Il giovane artista presenta “Farfalle”, un brano pop lucente dal testo dark: “È figlio di una ferita, quella di vivere nel caos delle persone che mi giudicano”.
Sanremo 2022, Sangiovanni: “Sfido me stesso e chi mi odia”
Credits: Alessandro Treves

Nei momenti in cui ci si sente condannati alla pesantezza, correre e tentare di volare è un modo per ritrovarsi in un altro spazio, cambiando approccio, guardando il mondo da un’altra ottica senza ascoltare chi dell’odio fa una bandiera. Sangiovanni lascia che i sentimenti più puri respirino: lo fa con “Farfalle”, brano che presenta al Festival di Sanremo e che anticipa il disco “Cadere Volare” in uscita l’8 aprile. Classe 2003, faccia da santo e cuore più tormentato, dopo la palestra della scuola di Amici e collaborazioni importanti come quella con Madame, va a Sanremo per sfidare se stesso e chi non capisce “la sua leggerezza”.

La canzone ha un sound più spensierato rispetto al testo.
“È un gioco che fa la maggior dei pezzi dance contemporanei del pianeta. Penso a un brano di Topic, ‘Breaking me’ in cui l’artista racconta di avere il cuore distrutto, eppure lo fa su un ritmo allegro. Mi piace l’idea che qualche cosa che mi ha fatto stare male non venga comunicato con dispiacere, ma con gioia. Perché in quella gioia c’è il primo seme del superamento del dolore. La musica ha questo potere”.

La “boccata d’aria” di cui parli è il superamento del malessere?
“Quello che racconto nel brano non ha nulla di positivo, ma sì, in effetti quando evoco ‘la boccata d’aria’ è come se già stessi guardando oltre quel malessere. E lo faccio grazie a qualcuno che mi sta vicino. ‘Farfalle’ non è un pezzo felice come in molti credono. Il beat è allegro, ma ha anche suoni dark e deep. Mi fa sorridere l’idea che le persone potrebbero ballare e divertirsi su una canzone che in realtà parla di una ferita”.

Che cosa ti fa stare male?
“La ferità è vivere in un mondo che forse non mi appartiene fino in fondo. Vivere nel caos di persone che mi giudicano. Nel caos di una mancanza di comprensione. Io ho iniziato a scrivere per cercare di essere più compreso. E adesso che lo faccio, mi sento più incompreso di prima. È evidente che ci sia un problema. La ferità è rappresentata anche da un’industria che intacca la purezza con cui i miei occhi vedono la musica. Il business forse non è ciò che mi riguarda. Io e i miei 19 anni vediamo la musica in modo ancora troppo candido. E poi c’è un problema ancora più grande: il tempo. Io ho speso tanto tempo per gli altri, ma poco per me. E a un certo punto non respiravo più”.

Quando sei sul palco, però, sei convinto e vitale. È lì che riesci a respirare senza affanni?
“Quando nella canzone dico ‘sei una boccata d’aria’ è un po’ come se lo dicessi alla canzone stessa. Il palco, in effetti, mi permette di respirare e di oscurare tutto quello che ho intorno. Quando interpreto questo brano mi viene voglia di correre e di andare ovunque. Ma non è per il ritmo. È proprio per la necessità di espressione che custodisce. Sul palco si percepisce”.

Sei alla ricerca di una “leggerezza profonda”. Perché non verresti capito?
“La leggerezza che porto sul palco è amata, ma è anche la fonte più grande da cui si abbevera chi mi odia. Il commento hating che mi fanno spesso è: ‘scrivi per i bambini’. Io penso che esprimere con leggerezza, come tento di fare io, non sia per nulla semplice. Paradossalmente è più difficile far ridere le persone che farle piangere”.

“A muso duro” di Pierangelo Bertoli, cover che hai scelto di cantare con Fiorella Mannoia, in che cosa ti rappresenta?
“Il collegamento fra il mio brano e ‘A muso duro’ di Bertoli è artistico. Il pezzo che presento in gara è una hit pop con bpm alti, mentre nella serata delle cover volevo qualche cosa di profondo e potente. Questo per far vedere che c’è anche un altro altro lato di me, è l’altra faccia della medaglia. E poi quel pezzo di Bertoli, incredibilmente, sembra parlare proprio di me: anche in quel testo si affronta il tema della musica e dell’industria. Sento una forte empatia: in quel brano Bertoli sembra dirci che l’unica cosa che gli interessa è cantare. Il resto non conta. Non ho voluto aggiungere nulla a livello testuale, quelle parole dicono tutto”.

Il tuo nuovo album, “Cadere Volare” uscirà l’8 aprile.
“Nell’album ho sperimentato tanto. È un disco pop, ma non è un pop canonico. C’è tanta elettronica e c’è anche un pezzo latino. Ho sempre pensato che nella musica si possano seguire due strade: la prima è scrivere di getto, la seconda è scrivere dopo aver riflettuto. Questo disco è un progetto realizzato di getto. Dentro ci sono pensieri diretti che mi galleggiavano nello stomaco. E lo faccio senza mediazioni o particolari riflessioni aggiuntive o pesanti. È un progetto istintivo in cui credo ci sia un’identità riconoscibile”.

Sanremo è una sfida con te stesso o una rivincita verso chi ti critica?
“Prendo questo Sanremo come una sfida con me stesso. Non vado sul palco per arrivare primo, terzo o quarto. Non lo faccio neppure per promuovere l’album. Mi interessa affrontare alcuni miei problemi”.

Uno scacco matto agli haters però c’è.
“Quando ero al centro dell’attenzione sono stato sommerso da giudizi, purtroppo anche negativi. Essere lì, davanti a tutti a Sanremo, è una sfida verso tutto ciò, verso le mie paure. Potevo portare una ballad strappalacrime, ma non l’ho fatto. Ho deciso di portare una canzone con quello stile mio per cui molti mi odiano. Voglio fare quello che mi pare e basta”.

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