Francesco Guccini, la storia di "Il sociale e l'antisociale"

Due canzoni in una per tracciare profili estremi e opposti. Contrariamente a quanto recita il titolo, si comincia con "L’antisociale", già intonata da Sogliani con l’Equipe 84 l’anno precedente, irresistibile brano stile cabaret assimilabile al repertorio dei Gufi che in quel periodo spopolano nei teatri milanesi. Più che il profilo di un anarchico, Guccini traccia
una sorta di autoritratto all’insegna dell’indolenza e della misantropia(“non m’importa mai di niente, sulle scatole mi sta tutta la gente”) in una società già allora devastata da apparenze, look, griffe, dagli “adoro!”, dal conto in banca, dalle tendenze.
Invettive come piovesse: contro guerra, miracolo economico, tv, rally, auto, bimbe sognatrici e gran dame (“preferisco le mondane”, che diventerà presto “puttane”), scandali, intellettuali, il matrimonio, l’avvocato, l’onesto padre di famiglia. Con la conclusione anacoretica: “In un’isola deserta voglio andare ad abitare e nessuno mi potrà più disturbare”.
La versione proposta dal vivo 48 anni dopo funziona ancora, tranne qualche passaggio adattato: “Odio gli alti funzionari, doganieri, reazionari, sbirri e Stato, spacciatori della vita, odio il culto del rispetto, le carriere di concetto, qualsivoglia autorità costituita”. "L’antisociale" si accomoda fuori, avvicendato dal suo rovescio, il sociale, quello che ama la gente bene, i cocktail, i vestiti di lusso, i soldi, ma anche i film di Monica Vitti e di Antonioni, “per far bella figura in società”. Politicamente va dove porta il vento (“Anzi alle volte sono comunista, ma non mi sono sempre interessato”) rivelando però l’anima del classico fascistello d’antan.
Federico Pistone
Questo testo è tratto da "TuttoGuccini" di Federico Pistone, pubblicato da Arcana, per gentile concessione dell'autore e dell'editore. (C) 2020 Lit edizioni s.a.s.
