“Decamerock”: la storia di Keith Moon
Il ritratto di Keith Moon dal libro “Decamerock” di Massimo Cotto
Per vivere fa il venditore di stucchi per la British Gypsum. Sempre meglio che il primo lavoro, apprendista elettricista. Lui, di diventare elettricista proprio non ne vuole sapere. Poi, suona la batteria. E in quel campo non è certamente un apprendista. Suona con i Beachcombers, ma loro continuano a dirgli che è troppo bravo per stare lì in quei localacci. O forse è lui che continua a dire a se stesso che ha bisogno di una grande occasione. Perché è vero che il treno passa sempre almeno una volta, ma è anche vero che se non sai l’orario in cui si ferma in stazione difficilmente potrai salire a bordo.
È il 1963. Keith Moon viene a sapere che forse sta per passare il treno più bello che ci sia in circolazione. Gli Who cercano un batterista, e lui è un batterista, puoi dirlo forte. Hanno cacciato Doug Sandom, potrebbe essere l’occasione giusta. Keith si presenta al pub dell’Oldfield Hotel di Greenford. Ha scelto un look sobrio, per non dare troppo nell’occhio: è interamente vestito di arancione, e arancione è la tinta dei suoi capelli. Gli Who stanno suonando con un session man, un batterista al quale devono insegnare tutto. Keith Moon ha il coraggio di dire: “Io suono meglio di lui”. Gli Who lo guardano dritto negli occhi: “Accomodati”. Probabilmente pensano sia pazzo. È una sfida. Moon va alla batteria e suona “Road Runner” di Bo Diddley con tanta forza da spaccare il pedale del basso e due pelli. Poi va al bar a bersi qualcosa. Per la verità si era già bevuto più di qualcosa prima di salire sul palco. Nonostante le apparenze, se la faceva sotto.
Mentre beve fingendo indifferenza, arrivano Pete Townshend e Roger Daltrey. Roger chiede: “Che cosa fai lunedì?”. Moon risponde: “Vendo stucchi”. “Beh, mi sa che dovrai smettere. Abbiamo un concerto. Se ti va, passiamo a prenderti con il van”. Keith Moon dice okay e il resto è storia. Come riferirà in seguito, “nessuno mi ha mai chiesto se volevo entrare a fare parte degli Who. Mi hanno solo chiesto che cosa facessi lunedì”.
Keith Moon diventò il batterista degli Who e decise di vivere ogni giorno come se non esistesse un domani. Faceva esplodere stanze d’albergo, gettava la mobilia giù dalla finestra, mangiava i fiori, si ubriacava fino a perdere i sensi, si metteva nudo sul cofano della sua Rolls Royce e si faceva portare in giro per Londra dal suo autista. Una volta decise di festeggiare il suo compleanno in piscina, solo che non si tuffò come tutti i comuni mortali, ci entrò dentro con la macchina, e per puro miracolo riuscì ad aprire la portiera e a venire fuori senza annegare. Un’altra volta, durante uno show televisivo, riempì di acqua e pesci rossi la grancassa e si presentò vestito da gatto.
Faceva qualsiasi cosa, come dichiarò il suo assistente personale, Dougal Butler, appena sapeva che attorno a lui c’erano persone che non volevano le facesse.
Durante la sessione fotografica di “Who Are You”, si presenta vestito da fantino. Si siede su una sedia su cui è scritto “Not to be taken away”. Invece di lì a poco, accadrà il contrario. Gli ultimi eccessi lo porteranno via per sempre. Nello stesso appartamento – di proprietà di Harry Nilsson e sito al 9 di Curzon Place – dove era già morta Mama Cass dei Mamas & the Papas. Prima di prenderlo in affitto, Keith aveva chiesto a Pete Townshend se facesse bene, se fosse opportuno andare a vivere in una casa dove era morta una collega. Pete rispose che un fulmine non cade mai due volte nello stesso posto.
Quasi mai.
Domani racconteremo la storia di Brian Jones
Le storie già pubblicate:
“Decamerock”: la storia di Stu Sutcliffe
“Decamerock”: la storia di Ian Curtis
“Decamerock”: la storia di Richey Edwards
“Decamerock”: la storia di Janis Joplin
“Decamerock”: la storia di Nick Drake
Tratto, per gentile concessione dell’autore e dell’editore Marsilio, dal libro “Decamerock”, sul quale potrete leggere altre 100 storie di vite rock.
