
Cinque anni dopo il fortunato “Immunity”, l’inglese Jon Hopkins torna con un album strutturato come un viaggio psichedelico dove al carattere complesso e spigoloso di certa elettronica oppone un mood meditativo e magnetico. Sembra un disco da sentire distrattamente e invece va ascoltato in cuffia, per perdersi nel suo flusso.
L’inglese Jon Hopkins si è fatto strada nella scena pop contemporanea con la stessa lentezza con cui la sua musica si insinua nella percezione di chi l’ascolta. Alla fine degli anni ’90, il musicista inglese è stato in tour con Imogen Heap, dividendosi fra i lavori di session man e produttore. La collaborazione con Brian Eno l’ha portato a contribuire all’album dei Coldplay “Viva la vida or death and all his friends”. Era sua, ad esempio, l’introduzione d’atmosfera a “Life in technicolor”. Da allora ha pubblicato quattro album, ha incassato parecchi elogi e una nomination ai Mercury Prize per l’album del 2013 “Immunity”, ha sviluppato una sensibilità che rende la sua musica attraente anche per chi non ascolta abitualmente elettronica.