La redazione di Rockol non è responsabile del contenuto di questa notizia, che è tratto da un comunicato stampa. Artisti, etichette e aziende che vogliono rendere note le proprie iniziative attraverso la pubblicazione di un loro comunicato stampa in questa sezione possono indirizzare una e-mail a presskit@rockol.it. La pubblicazione dei comunicati è a discrezione della redazione.
HEINEKEN JAMMIN’ FESTIVAL – EDIZIONE 2004
VENERDÌ 18 - SABATO 19 - DOMENICA 20 GIUGNO AUTODROMO DI IMOLA
… UN’ESPERIENZA UNICA
La settima edizione di HEINEKEN JAMMIN’ FESTIVAL (venerdì 18, sabato 19 e domenica 20 giugno all’Autodromo di Imola) propone un cast artistico di assoluto valore e grande interesse, oltre a diverse novità per intrattenere il pubblico che si radunerà all’Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola.
VENERDÌ 18 GIUGNO grande novità: giornata interamente dedicata alle sonorità dance ed elettroniche. Saranno protagonisti FATBOY SLIM, MASSIVE ATTACK, Timo Maas, Circoloco Crew, Alessio Bertallot, Alessandro Bianchi (vincitore della 1^ edizione italiana di Found@Thirst – evento organizzato da Heineken per scoprire nuovi talenti nel mondo della dance).
SABATO 19 GIUGNO sarà invece la volta di THE CURE, BEN HARPER & THE INNOCENT CRIMINALS, PIXIES, PJ HARVEY, STARSAILOR, THE CALLING, DELTA V.
I biglietti si possono acquistare su www.ticketone.it, presso i 400 punti vendita TicketOne in tutta Italia e presso le prevendite abituali. Il prezzo del biglietto per la singola giornata è di 32 euro + diritti di prevendita, l’abbonamento ai tre giorni è di 68 euro + diritti di prevendita mentre lo speciale abbonamento weekend (sabato e domenica) è di 50 euro + diritti di prevendita.
Promosso da Heineken e organizzato da Clear Channel Entertainment, HEINEKEN JAMMIN’ FESTIVAL è ormai riconosciuto come uno dei più grandi e significativi eventi pop-rock europei.
Per informazioni al pubblico: www.heineken.it - www.clearchannel.it
CALENDARIO
Venerdì 18 giugno 2004
Ore 15.00 Apertura cancelli
dalle 17.00 si esibiranno: ALESSANDRO BIANCHI
CIRCOLOCO CREW
MASSIVE ATTACK
TIMO MAAS
FATBOY SLIM
Sabato 19 giugno 2004
Ore 11.00 Apertura cancelli
dalle 13.30 si esibiranno: artista da definire
DELTA V
THE CALLING
STARSAILOR
PJ HARVEY
PIXIES
BEN HARPER & THE INNOCENT CRIMINALS
Ore 21.30 THE CURE
Domenica 20 giugno 2003
Ore 11.00 Apertura cancelli
dalle 13.30 si esibiranno: ADDICTED
SNOW PATROL
NELLY FURTADO
CAPAREZZA
MARY J. BLIGE
ARTICOLO 31
Ore 21.30 LENNY KRAVITZ
Prezzo del biglietto per singola giornata: 32 EURO + DIR. PREV.
Prezzo abbonamento alle tre serate: 68 EURO + DIR. PREV.
Prezzo abbonamento weekend (sabato e domenica): 50 EURO + DIR. PREV.
Per informazioni al pubblico: tel. 02 53006501
Siti Internet: www.heineken.it www.clearchannel.it
HEINEKEN JAMMIN’ FESTIVAL – EDIZIONE 2004
AUTODROMO DI IMOLA
VENERDÌ… TUTTI IN PISTA
L’HEINEKEN JAMMIN’ FESTIVAL 2004 ospiterà per la prima volta una giornata tutta dedicata alle sonorita’ dance ed elettroniche con i piu’ importanti esponenti di questi generi musicali.
Sempre pronta ad esplorare sonorità parallele o attigue al rock, Heineken Jammin’ Festival quest’anno ha aperto l’Autodromo di Imola alla grande musica dance: la scelta dei performer non poteva che cadere su Norman Cook alias FATBOY SLIM, un deejay di caratura planetaria ricercato per i suoi remix da artisti del calibro di Madonna e Robbie Williams, in Italia nella sua unica performance live.
Prima di FATBOY SLIM saliranno sul palco TIMO MAAS e MASSIVE ATTACK , una delle piu’ influenti band britanniche dell’ultimo decennio, che nell’unica data italiana del loro tour estivo sorprenderanno il pubblico con il loro caratteristico sound e una direzione artistica sempre all’avanguardia.
Le esibizioni di venerdì saranno aperte, alle 17.00 dal genovese ALEX BIANCHI DJ che ha vinto la prima edizione in Italia del FOUND@THIRST, il dj contest promosso nella scorsa primavera da Heineken per scoprire “fresh talent” del djing italiano e per supportare al meglio la musica dance italiana. THIRST è una manifestazione di caratura mondiale, organizzata attraverso Heineken Music (il marchio che racchiude le diverse iniziative musicali del brand), alla quale partecipano migliaia di dj emergenti e che ha fatto ballare più di 100.000 clubbers in tutto il pianeta: i vincitori di FOUND@THIRST entrano a far parte di un network internazionale di fresh talent che vengono scritturati per le serate THIRST nei 5 continenti, entrando così nel gotha della dance mondiale.
L’eccezionale cast artistico della serata dedicata alle sonorità dance è impreziosito anche dalle esibizioni di Alessio Bertallot e dal Circoloco Crew artefici a Ibiza di quella che è considerata da molti la festa più bella nella storia degli house parties.
HEINEKEN JAMMIN’ EXPERIENCE
Non è soltanto la musica, comunque la caratteristica principale, a rendere l’Heineken Jammin’ Festival la rassegna più amata e prestigiosa dell’estate italiana: la missione di Heineken Jammin’ Festival è portare grande musica sul palco (missione compiuta ancora una volta: basta dare un’occhiata al cast artistico), ma anche intrattenere il pubblico nei modi più divertenti, interessanti e diversi. Venire all’Autodromo di Imola per partecipare all’evento musicale dell’estate griffato Heineken Jammmin’ Festival è quindi davvero un’esperienza unica arricchita, nell’edizione 2004 da nuove sorprendenti attività collaterali:
BEACH BAR
È dedicata alla riviera romagnola una delle grandi novità dell’Heineken Jammin’ Festival 2004. Per la prima volta viene costruita all’interno dell’Autodromo di Imola una vera e propria spiaggia, posizionata presso la curva della Rivazza. Nei 2 mila metri quadrati interamente ricoperti di sabbia del “Beach Bar” (per tutto il week end, dall’apertura dei cancelli e sino alle 20.00) ci sono:
- SOLARIUM con ombrelloni e sdraio per chi vuole abbronzarsi riposando.
- CAMPO DA BEACH VOLLEY per chi preferisce abbronzarsi partecipando ai vari tornei che verranno organizzati.
- CHIRINGUITO per chi ama abbronzarsi mitigando la canicola estiva con bibite, birra fresca accompagnate da piadine e panini.
- PALCOSCENICO per chi desidera abbronzarsi durante i divertenti balli di gruppo proposti da esperte ballerine e animatori. Dal palcoscenico il deejay proporrà musica hip-hop, latino-americana e dance; non mancheranno i tormentoni dell’estate del momento. Vicino all’ingresso del “Beach Bar” ci sarà una struttura denominata “Heineken Store”, nella quale sarà possibile acquistare vari oggetti per il mare brandizzati Heineken: teli da spiaggia, costumi, parei, infradito.
CHILL OUT AREA
Dalla sabbia del “Beach Bar” passiamo al “prato” della “Chill Out Area”: una superficie di 700 metri quadrati interamente ricoperti da un tappeto d’erba sintetica con piante ad alto fusto. È un’area di decompressione dalla roboante onda d’urto della musica rock grazie a suoni lounge e immagini new age. Sul palco centrale della “Chill Out Area” si susseguiranno esibizioni particolari, fra cui balli di Capoeira (una filosofia di vita che si fonda sull’arte dell’espressione corporea), Snack Music il dj di Xplosiva Giorgio Valletta (mente musicale del Club to Club), Cocktail elettronico del dj Dr No (immagini di repertorio dell’Italia anni sessanta fanno da condimento alla musica ambient-lounge), T:own (il live media dedicato alle megacities del mondo) e Dining Room (live set creativo ed emozionante comprendente piatti, contrabbasso e voce), The Black Eagle: Masaki, musica dal vivo il film in bianco e nero di Rodolfo Valentino.
COOL ZONE
È un’altra grande novità dell’Heineken Jammin’ Festival 2004: un open space coperto di quasi 600 metri quadrati con tre corridoi lungo i quali si snoda un percorso attraverso i cinque sensi: udito, vista, gusto, olfatto e tatto. È una zona “di tendenza”: al suo interno è possibile approfondire la conoscenza dei propri canali di percezione della realtà attraverso gli stimoli caratteristici di ognuno dei cinque sensi. Fra le proposte più intriganti e suggestive della “Cool Zone” segnaliamo un particolare tipo di ascolto musicale che, attraverso il canale dell’udito, procura stimolazione anche degli altri sensi. Lo spazio dedicato al tatto, inoltre, promette di essere la più visitata fra le attività extra concerti dell’Heineken Jammin’ Festival 2004: infatti sarà possibile affidarsi alle mani esperte di abili massaggiatori, body-painter e tatuatori. Massaggi e tatuaggi (nel nostro caso il tatoo non permanente con l’henne) sono riti ancestrali che la nostra cultura sta fortemente rivalutando.
SPORT VILLAGE
È un appuntamento storico e immancabile fra le attività extra concerti dell’Heineken Jammin’ Festival. Posizionato a lato dell’arena live, lo “Sport Village” (powered by Foot Locker) si estende su un’area di circa 5 mila metri quadrati: dall’apertura dei cancelli fino alle ore 20.00 sarà possibile giocare a calcio, basket e volley, partecipando anche ai vari giochi che verranno organizzati durante i tre giorni della rassegna imolese. Il villaggio sportivo sarà composto da 8 campi da basket, 1 campo da volley, 2 campetti da football e 6 calciobalilla per chi ha un talento agonistico concentrato soprattutto nei polsi.
Oltre a queste aree a tema, ci saranno i consueti punti di ristoro disseminati all’interno di tutto l’autodromo e in funzione ininterrottamente dall’apertura alla chiusura dei cancelli. Ci sarà anche uno spazio coordinato dal servizio Progetto Giovani del Comune di Imola che offre interessanti occasioni d’intrattenimento e animazione attraverso svariate iniziative, fra cui…
“RIBALTA APERTA”: un palco dedicato all’esibizioni di gruppi rock selezionati a livello nazionale a cura del centro musiale comunale Ca’ Vaina
“ROCKSTAR PER UN GIORNO”: un set di posa fotografico digitale – corredato di strumenti, amplificatori, parrucche, costumi… - per farsi immortalare con gli amici come un’autentica rock band
“CORTO HEINEKEN JAMMIN FESTIVAL”: giovani videomakers gireranno film digitali fra il pubblico dell’Heineken Jammin’ Festival 2004 allo scopo di realizzare un cortometraggio che evidenzierà il forte potenziale rituale dell’evento rock Heineken Jammin’ Festival.
“UMMAGUMMA”: giovani artisti dell’archivio locale Artenati – pittori, fumettisti, scultori… - impegnati i performance creativo-artistiche al fine di realizzare una sorta di installazione-omaggio all’Heineken Jammin’ Festival: chi si lascerà coinvolgere, verrà invitato a disegnare qualcosa di proprio, fino a comporre un’opera collettiva corredata composta da disegni e fotografie)
“CREATIVE ZONE”: attività di informazione e di animazione dedicata al significato del dvertimento e al consumo consapevole di bevande alcoliche: sono previste attività varie che spaziano fra body painting, bad hair, video box e produzione di bandane colorate
“SBANDATV”: un dinamico sito web dedicato a tutte le band musicali, creato un anno fa da un gruppo di giovani imolesi appassionati di rock e internet. Il sito, finanziato dalla Comunità Europea, realizzerà servizi giornalieri e interviste sull’Heineken Jammin’ Festival 2004.
HEINEKEN JAMMIN’ FESTIVAL
SEI ANNI DI STORIA
2003
Chitarre incandescenti per un rock torrido. Nella sesta edizione dell’Heineken Jammin’ Festival scende in pista il rock più pesante e l’autodromo di Imola si trasforma in un braciere ardente di passione metallara per i concerti degli headliner Metallica, Iron Maiden e Bon Jovi. Oltre 100 mila spettatori in tre giorni decretano l’ennesimo successo del festival estivo italiano più amato: a impreziosire il cast artistico contribuiscono Dave Gahan e Keith Flint, in temporanea vacanza rispettivamente da Depeche Mode e Prodigy. E una schiera di giovani band italiane molto apprezzate nel circuito underground dei live.
L’onore d’inaugurare l’Heineken Jammin’ Festival 2003 tocca ai lombardi Karnea, gruppo di Crema che ha iniziato a dodici anni come cover band dei Guns’N Roses e si è evoluto musicalmente sintetizzando Edith Piaff e i Prodigy. Dopo di loro, altri due gruppi nostrani: i milanesi Extrema (che vantano dieci anni di militanza metallica) e i Punkreas (una delle realtà più rappresentative della scena punk italiana), che ritornano per la seconda volta sul prestigioso palco dell’Heineken Jammin’ Festival.
Dopo il rock grezzo ed emotivo degli Stone Sour, band complementare agli Slipknot, l’atmosfera s’infiamma con l’esibizione dei Flint, il progetto parallelo del leader dei Prodigy. Kilt scozzese alla Axl Rose, giubbotto di pelle strappato e cresta punk, Keith Flint incendia la platea con una performance vocale d’inusitata energia. Le chitarre taglienti dei Placebo (questa è la loro terza partecipazione alla rassegna imolese) chiudono il pomeriggio con il loro rock psichedelico.
È venerdì 13, ma nessuna superstizione è riuscita a fermare i 40 mila fans, che assistono in delirio all’unica esibizione italiana dei Metallica. La band formata dai veterani James Hetfield e Lars Ulrich (l’ideatore del nome), da Kirk Hammett e dal neo bassista Rob Trujillo ritrova il proprio posto fra i capostipiti dell’heavy metal con un rockset aspro e possente, che celebra il passato remoto del loro repertorio, lasciando uno spazio marginale al nuovo cd “St. Anger”. Con suoni volutamente estremi e irruenti, i Metallica riconquistano credibilità fra gli appassionati di hard rock, dopo che gli approcci soft degli ultimi dischi avevano oscurato la loro stella.
La seconda giornata dell’Heineken Jammin’ Festival 2003, sabato 14 giugno, si apre con gli italiani Settevite – che vantano live come supporter di Vasco Rossi e degli U2 – e Zen, che suonano per il secondo anno consecutivo all’ombra (si fa per dire, considerato il gran caldo...) delle due gigantesche piramidi Heineken Jammin’ Festival. A metà pomeriggio arriva il turno di Anouk, l’unica artista femminile di questa edizione. La rockeuse olandese sale on stage in dolce attesa del secondo figlio, ma per nulla frenata dall’imminente maternità, sfodera una prestazione grintosa e seducente sulle note dell’ultimo album “Graduated Fool”.
La marcia d’avvicinamento all’esibizione di Bon Jovi prosegue con The Music – quattro diciottenni inglesi messi sotto contratto dall’etichetta discografica di Richard Ashcroft – e i Live, che si presentano a Imola con un biglietto da visita di tutto rispetto: oltre 17 milioni di dischi venduti in tutto il mondo. Quando entra in scena Dave Gahan s’accende la curiosità per il debutto “solista” del cantante dei Depeche Mode, che ha inciso il primo album solista “Paper Monster”, nel quale dà libero sfogo alla propria vena compositiva con sonorità soul e testi ironici. Non si tratta di una separazione definitiva dai Depeche Mode, ma certamente questa avventura solitaria lo intriga molto: nella performance di Imola, infatti, le uniche tracce dei suoi ventidue anni come frontman della band britannica sono i brani “Walking In My Shoes” e “Personal Jesus”.
Alle otto di sera Jon Bon Jovi, davanti a 30 mila persone che scandiscono il suo nome, apre lo show con una cover di Neil Young (“Rockin’ In A Free World”), per poi sfoderare i pezzi forti del suo repertorio: “You Give Love A Bad Name”, “Bounce”, “Prayer”, “It’s My Life”... Quarantuno anni, jeans e giacca di pelle attillati, Bon Jovi ha scelto l’Heineken Jammin’ Festival per celebrare nel modo più degno i suoi vent’anni di carriera.
Il trip hop di Tricky, nell’immancabile appuntamento del sabato con la “Late Night”, ci accompagna alla giornata conclusiva, che vede sfilare in scena - in attesa dell’evento Iron Maiden - Domine (alfieri di un metal epico), Vision Divine (band di culto del panorama metallico italiano), Lacuna Coil, Murderdolls (chitarre lancinanti di chiara matrice Sex Pistols) e Cradle Of Filth, il cui repertorio metal-gotico risulta una delle proposte più interessanti di questa sesta edizione. Un’altra piacevolissima sorpresa, per chi non ha grande confidenza con il circuito metallico italiano, si rivelano i milanesi Lacuna Coil, promossi da una prestigiosa etichetta discografica tedesca. Le loro composizioni metal hanno influenze rock e gotiche, accentuate dall’intrigante vocalità di Cristina Scabbia e dalla veemenza dell’altro cantante Andrea Ferro. L’Heneken Jammin’ Festival 2003 si congeda dal popolo metallaro con l’esaltante show dei leggendari Iron Maiden, che chiamano a raccolta 40 mila seguaci adoranti. La “Vergine di ferro” regala un breve assaggio live del nuovo album “Dance Of Death”, preferendo impostare il concerto sui suoni collaudati dei suoi classici: “The Number Of The Beast”, “Run To The Hills”, “The Trooper”, “Hallowed Be Thy Name”, “Bring Your Daughter To The Slaughter”... Tracciando un commento finale sull’edizione metallara dell’Heineken Jammin’ Festival, la stampa ha parlato di “annata migliore del festival, eccettuate quelle nel segno di Vasco Rossi”. E Bruce Dickinson, vocalist degli Iron Maiden, saluta la “Heineken Jammin’ Festival Tribe” con un doveroso tributo: “In Inghilterra e negli Stati Uniti, il pubblico a volte è tiepido, addirittura freddo. In Italia, invece, troviamo sempre grande calore. E i ragazzi dell’Heineken Jammin’ Festival ci hanno regalato una passione che rasenta quella della Ferrari”.
2002
La quinta edizione dell’Heineken Jammin’ Festival mescola la nostalgia per l’esibizione del Blasco con l’entusiasmo straripante per gli headliner Red Hot Chili Peppers e Santana. “La due giorni musicale di Imola non ha più bisogno di Vasco Rossi”, scrive Andrea Laffranchi sul Corriere della Sera. E aggiunge: “È vero, c’era uno striscione con la scritta ‘Vasco ci manchi’, ma il pubblico, che era qui soprattutto per i Red Hot Chili Peppers, quest’anno non ha contestato nessuno. Merito di un cast più omogeneo, ma segno anche di una maturazione del pubblico italiano”.
Oltre ai Red Hot Chili Peppers e a Santana, l’Heineken Jammin’Festival 2002 offre un cast artistico di notevole spessore, caratterizzato dalla massiccia presenza di band italiane che non sfigurano al cospetto di gruppi celebrati come Garbage, Muse, Lostprophets e Manà, soprattutto per merito delle entusiasmanti performance live di Subsonica, Articolo 31 e Afterhours. Raddoppiano le dance night, con i Chemical Brothers (richiamati a furor di popolo dopo l’infuocata esibizione del 2000) e i partenopei Planet Funk, una delle rivelazioni della stagione con i loro ritmi elettromediterranei. “L’Heineken Jammin’ Festival mantiene la promessa originaria: grande musica in uno spazio perfettamente attrezzato e a prezzi contenuti. Il programma è assai appetibile” (Paolo Zaccagnini su Il Messaggero). A rendere ancora più interessante e variegata la proposta musicale c’è una novità importata direttamente da Ibiza: la Chill Out Zone, una tensostruttura di quasi mille metri quadrati allestita all’interno del Green Village. In questa zona di decompressione sonora e visiva è possibile assistere ai dj set dei più prestigiosi interpreti delle sonorità chill out. Fra gli ospiti internazionali che si alternano alla consolle della Chill Out Zone c’è anche la top model brasiliana Fernanda Lessa, che sperimenta una carriera parallela come deejay.
Heineken Jammin’ Festival - “una festa del rock con un’organizzazione a livello dei più celebrati festival europei” (Renato Tortarolo su Il Secolo XIX) - richiama anche quest’anno più di 110 mila persone all’autodromo di Imola, nonostante un caldo infernale che le 3 cisterne d’acqua riversate sul pubblico riescono appena a mitigare. La canicola stuzzica l’ironia di Mario Ajello su Il Messaggero: “Cinquanta gradi all’ombra. Ma non c’è l’ombra”. I 70 mila accorsi sabato 15 giugno per l’accoppiata rock & dance formata da Red Hot Chili Peppers e Chemical Brothers vengono sferzati dall’acqua fredda delle docce a getto continuo e dai decibel delle prime band che animano l’immenso palco dell’Heineken Jammin’ Festival: File (trio milanese di punk-rock, vincitore nel 2000 di Scorribande), Zen (band romana che attraverso Internet ha venduto 70 mila copie del singolo d’esordio in tutto il mondo), Kane (eletti “miglior gruppo olandese” negli ultimi due Mtv Awards), Sneaker Pimps (inglesi di Birmingham che vantano collaborazioni come producer con Maxim dei Prodigy e come remixer con i Placebo) e i Meganoidi (nome di punta dell’underground punk italiano con la curiosità del percussionista Cisco che è anche uno degli inviati delle “Iene” di Italia 1).
I Meganoidi scandiscono l’attesa per l’evento RHCP con le loro invettive ska: la folla li accompagna con entusiasmo, ignara del fatto che il cantante dei Meganoidi si è liberato dell’ingorgo in autostrada e ha raggiunto Imola pochi minuti prima dell’esibizione. Anche quest’anno, infatti, la circolazione stradale attorno a Bologna è stata congestionata dall’elevato numero di persone che volevano assistere all’Heineken Jammin’ Festival, attirati soprattutto dal concerto dei Red Hot Chili Peppers, che hanno richiamato fans perfino da Zurigo, Bruxelles, Parigi e Francoforte. In autostrada sembrava di essere in pieno esodo estivo: per raggiungere Imola da Milano qualcuno ha impiegato anche sei ore.
Domato il traffico, il pomeriggio scorre liscio come l’asfalto della pista che piano piano diventa meno bollente. In compenso diventa sempre più incandescente l’atmosfera creata dalle band che si alternano on stage. È il turno degli “Afterhours del carismatico Manuel Agnelli, capostipiti del nuovo rock sperimentale italiano, e dei gallesi Lostprophets, alfieri di un punk-metal venato da sonorità infernali e atmosfere inquietanti che piace agli amanti del nu-metal alla Korn e Limp Bizkit” (Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera). Le prime ombre della sera salutano il ritorno sul palco dell’Heineken Jammin’ Festival dei Muse, ammirati a Imola già nel 2000: il trio inglese “ha sfondato in Patria, e un po’ anche in Italia, grazie a un rock che tende i muscoli e scalda i cuori con dosi massicce di enfasi e un gioco ricercato di equilibrismi con asprezza e malinconia. Il cantante Matthew Bellamy, un po’ Tom Yorke un po’ Freddie Mercury, con i suoi falsetti imprendibili prende per mano il pubblico offrendosi come appetitoso antipasto ai Peperoncini” (Flavio Brighenti su La Repubblica).
Quando i Red Hot Chili Peppers fanno il loro ingresso in scena, il boato della folla squarcia il cielo di Imola più possente del rombo della Ferrari di Schumacher: ora i 70 mila dell’Heineken Jammin’ Festival hanno orecchie e occhi soltanto per Anthony Kiedis (voce), John Frusciante (chitarra), Flea (basso) e Chad Smith (batteria). Il live della band californiana naviga a vele spiegate, spinto da un vento forza… 12 milioni: le copie vendute nel mondo dall’album “Californication” del 1999. I RHCP hanno scelto un evento europeo prestigioso come l’Heineken Jammin’ Festival per testare in anteprima mondiale il gradimento di alcune canzoni del nuovo disco “By The Way” (nei negozi pochi giorni dopo l’esibizione italiana).
Il festoso delirio che accompagna hit affermate e brani nuovi, perdona benevolmente qualche stecca e decreta il trionfo della band californiana: “Un’ora e mezza di rock puro con John Frusciante, Flea e soprattutto Anthony Kiedis in una forma smagliante” (Luca Dondoni su La Stampa)… “Il massimo dell’energia e della passione rock con il minino (strumentale) dei mezzi” (Marco Mangiarotti su Q.N.)… “Sono loro i vincitori assoluti del megaraduno rock di Imola” (Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera).
Il sacro fuoco dei live di Kiedis, Frusciante, Flea e Chad viene rinfocolato immediatamente da Ed Simmons e Tom Rowlands: due ex studenti di storia medievale considerati i remixer più geniali della scena dance internazionale. Stiamo parlando, naturalmente, dei Chemical Brothers, che per la seconda volta (erano già stati protagonisti della dance night del 2000) trasformano l’autodromo di Imola in un rave dalle sonorità acide e techno, cavalcando le onde elettroniche del loro nuovo album “Come With Us”.
Il trionfo della band californiana è anche il trionfo dell’Heineken Jammin’ Festival, che ancora una volta ha offerto al suo pubblico il meglio della produzione artistica mondiale. E la conferma arriva puntuale il giorno dopo: domenica 16 giugno rimane immutata la qualità musicale degli artisti che si alternano sul palco fino all’arrivo dello sciamano Santana, che completa il gemellaggio fra l’Heineken Jammin’ Festival e raduni rock leggendari, essendo stato fra i protagonisti assoluti del mitico festival di Woodstock.
Il treno dei concerti di domenica 16 giugno sfreccia sui binari della musica di casa nostra: “Si sono fatti valere gli italiani fin dall’inizio: Rumorerosa, seguiti dai Malfunk, arrabbiati e corrosivi. Poi di nuovo all’estero con Cousteau e Manà, ma alla fine la resa musicale e spettacolare di Articolo 31 e Subsonica, saliti subito dopo, è stata superiore” (Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera)
Le band italiane giocano il derby dell’entusiasmo: “Sul podio dell’applausometro, dopo Subsonica e Articolo 31, gli Afterhours che si sono esibiti sabato” (Andrea Laffranchi sul Corriere della Sera). Ampio consenso, comunque, anche per la pattuglia degli stranieri, che manda in avanscoperta i suoni raffinati dei Cousteau (che poi si soffermano in sala stampa per seguire l’epilogo ai rigori del match mondiale fra Irlanda e Spagna) e i messicani Manà (il primo gruppo latino che si aggiudicato un Grammy, nel 1999, come miglior band di rock alternativo latino) che sprizzano “energia positiva” (come la traduzione del loro nome in polinesiano) e duettano con Santana sulle note di “Corazon Espinado”, composta proprio dal vocalist Fher Olvera. I Garbage della sensuale vocalist scozzese Shirley Manson, infine, conquistano il pubblico con il loro inconfondibile rock melodico e numerosi inviti alla non violenza.
Proprio come i Red Hot Chili Peppers la sera precedente, anche Carlos Santana sale sul palco dell’Heineken Jammin’ Festival forte di un disco plurimilionario nelle vendite e pluripremiato (8 Grammy Awards in un colpo solo: eguagliato il record di Michael Jackson) e con un nuovo album, intitolato “Shaman”, pronto per essere pubblicato. Alle prime note della sua Gibson color arancio-ocra, il talento e il carisma di Santana aleggiano sull’autodromo di Imola come una stella cometa da seguire con gioiosa partecipazione lungo tutto il concerto, che attinge a… “un repertorio da sogno e a una tecnica unica. Una sequela di perle regalateci dalle sei corde stratosferiche della ‘mano santa’ di Autlan, che ha inanellato assoli da fiaba: uno dei pochi ‘re del distorsore’ ancora in circolazione” (Paolo Zaccagnini su Il Messaggero). “Con il suo bagaglio di storia, una band piena di sapienti jazzisti e qualche preghiera, il rock latino di Carlos Santana attualmente è una delle poche ricette sonore che riesce a mettere d’accordo tre generazioni di pubblico” (Valerio Corzani su Il Manifesto). L’ultimo incantesimo dello sciamano messicano, al momento di congedarsi dalla folla dopo un concerto a dir poco entusiasmante, è un messaggio di pace: “Italiani, messicani, ebrei, palestinesi, inglesi, irlandesi: all is one. Tutti sono uguali”.
La quinta edizione dell’Heineken Jammin’ Festival entra nella storia dei grandi eventi rock con un’altra incursione nella musica dance: rinfoderata la mitica chitarra di Santana, infatti, il palco si tramuta in una gigantesca consolle e la festa prosegue con la dance night dei Planet Funk, un ibrido di funk, rock, house e trance. È tempo di bilanci: “Il successo dell’Heineken Jammin’ Festival, con l’astronave musicale dei Red Hot Chili Peppers, con il messaggio di pace del predicatore Carlos Santana, con il rap gucciniano degli Articolo 31, con le piroette post punk dei Muse, e ancora con il faccino imbambolato e le curve conturbanti della top model Fernanda Lessa, è anche un successo di pubblico” (Renato Tortarolo su Il Secolo XIX).
Più di 110 mila persone e picchi d’entusiasmo altissimi sono un patrimonio da non sperperare, così la perfetta macchina organizzativa dell’Heineken Jammin’ Festival si concentra immediatamente sul nuovo raduno di Imola. Fra i sogni proibiti c’è Bon Jovi. E proprio Bon Jovi sarà uno dei tre headliner (assieme a Metallica e Iron Maiden) dell’edizione 2003. Non stupitevi: all’Heineken Jammin’ Festival i sogni rock più belli si avverano sempre.
2001
Flashback… 20 giugno 1998: Vasco Rossi e Heineken Jammin’ Festival hanno appena scritto una pagina leggendaria nella storia dei raduni rock in Italia. I centoventimila della combriccola del Blasco lasciano l’autodromo di Imola senza più voce per urlare il suo nome. Felici. Stremati dalla gioia. Eppure non ancora appagati: vorrebbero riportarlo subito sul palco, ma si accontentano di sognare un bis di questa serata. Non importa quando, purché lo scenario sia ancora quello dell’Heineken Jammin’ Festival, perché nessuno stadio può regalarti l’emozione della Rivazza illuminata a giorno dagli accendini. Si è stupito pure lui. E li ha ringraziati prima di cantare “Albachiara”. Alla fine del concerto, però, disillude le loro speranze: “Sarà impossibile ripetere un’esperienza simile, nemmeno a gentile richiesta”. Fine del flashback. E fine dei sogni della combriccola. Forse…
A volte i sogni si avverano: il Blasco torna all’Heineken Jammin’ Festival! L’appuntamento è per la sera di sabato 16 giugno 2001, ma i primi camper conquistano i prati attorno all’autodromo con un giorno d’anticipo. È la miglior risposta a quanti temono che una minore affluenza di pubblico possa impoverire il mitico record del 1998. Gli scettici sono pochi, ma tanto convinti dell’impossibilità di riportare a Imola centoventimila persone: quella era un’esibizione unica, argomentano, mentre questo è il primo di nove concerti sparsi per l’Italia intera. Meno di centomila spettatori, parecchi meno, è la loro previsione. Invece sono esattamente centomila. Un risultato pazzesco, perché è vero che l’imminente tour ha bloccato qualcuno a casa: quelli davvero troppo lontani, che nel 1998 avevano faticosamente raggiunto Imola sui tredici treni straordinari targati HJF. Centomila persone. Qualcuno dice centodiecimila. E sarebbero ancora di più, se la Rivazza non fosse parzialmente inagibile per lavori di ampliamento del circuito.
Per governare una massa così imponente di gente, evitando che l’onda umana travolga chi è davanti, viene creato un triplo sbarramento che divide la platea in tre settori separati: un braccialetto di plastica è l’ambito lasciapassare per entrare nella porzione di prato più vicina al palco. Per combattere il caldo ci sono docce a getto continuo su entrambi i lati dell’arena, mentre nella zona del bar c’è un enorme spazio coperto capace di offrire riparo a duemila persone. All’Heineken Jammin’ Festival, insomma, la qualità della vita viene prima anche della qualità della musica: “Imola non è Roskilde, ma se si poteva fare qualcosa di più per la sicurezza, lo si è fatto” (Andrea Spinelli su Il Giorno, La Nazione, il Resto del Carlino).
L’attesa dell’avvento di Vasco si consuma in un’atmosfera pacata: chi apprezza il prestigioso cast artistico (non capita tutti i giorni di avere come “supporter” una certa Alanis Morissette…) segue i concerti; gli altri ingannano il tempo nel Green Village tra sfide sui playground del villaggio sportivo gestito da Radio Deejay (radio ufficiale dell’Heineken Jammin’ Festival), sedute di massaggi e un’occhiatina alla mail grazie a tante postazioni Internet. C’è anche chi non apprezza ma resta inchiodato al suo posto, forse deve “presidiare” una buona posizione conquistata a fatica, e manifesta troppo energicamente il proprio dissenso verso i gruppi stranieri: Lifehouse, Feeder e Stereophonics. I quali non gradiscono, naturalmente. Gli Stereophonics meno degli altri, infatti abbandonano la scena a metà esibizione. Niente di grave, niente di nuovo: scene già viste in altri raduni. Per una band che se ne va, un’altra finalmente riesce ad arrivare: i Timoria hanno studiato il manuale delle partenze intelligenti e non si sono fatti fregare dal solito intasamento sulla A14 (nel 1998 non si erano esibiti perché bloccati in una coda di trenta chilometri).
La sorpresa piacevole della giornata è Irene Grandi nell’inedita veste (una veste molto succinta) di rockeuse: una performance grintosa, la canzone scritta per lei da Vasco in persona (“La tua ragazza sempre”) e una cover di Janis Joplin (“Piece Of My Hart”) sono più che sufficenti per farsi adottare dalla combriccola del Blasco. Combriccola che accoglie con i dovuti onori Alanis Morissette, primadonna fra il raffinato e il ribelle dell’Heineken Jammin’ Festival, che in tutte le sue edizioni ha puntato i riflettori sulle diverse anime del rock al femminile. La cantautrice di Ottawa ha carisma e talento (e un set musicale fra i migliori mai ascoltati all’autodromo di Imola): “quando canta ‘Thank You’ persino i pretoriani di Vasco hanno un attimo di smarrimento” (Renato Tortarolo su Il Secolo XIX).
Solo un attimo, però. Subito torna alla mente il sogno di tre anni prima. Il sogno che si è avverato. E l’attesa diventa spasmodica. Come allora, duecentomila mani cominciano ad alzarsi verso il cielo, ma questa volta il Blasco non arriva dal cielo: sbuca all’improvviso sul palco e vorrebbe scendere ad abbracciarli tutti, dalla prima fila fino su alla mitica Rivazza. Perché assieme a loro, e assieme all’Heineken Jammin’ Festival, si è appena garantito un altro pizzico di leggenda. Lo show, ventitre canzoni in perfetto equilibrio fra hit storici e il nuovo album “Stupido hotel”, è un trionfo: “non si è rammollito il rocker di Zocca: il suo sound s’è fatto metropolitano, smaliziato, ironico” (Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera)… “è bellissima, la voce del Blasco… questa voce capace d’allentarsi nella melanconia, d’arrugginirsi nell’invettiva e d’accendersi nello sberleffo” (Cesare G. Romana su il Giornale)… “Il concerto è eccellente, uno dei migliori della sua carriera” (Ernesto Assante su la Repubblica). Uscendo dall’autodromo, i centomila tornano a sognare una replica, anche fra altri tre anni. E questa volta Vasco non dice nulla. Mai dire mai… Soprattutto quando si parla di Heineken Jammin’ Festival.
Domenica 17 giugno si respira un’aria da “the day after”: tutti parlano ancora del ciclone Vasco. La seconda giornata dell’Heineken Jammin’ Festival, comunque, sa farsi apprezzare per un cast di band tostissime, che graffiano gli amplificatori con un rock ruvido senza fronzoli. Gli inglesi Queens Of The Stone Age, per esempio, dimostrano sul campo di meritare ampiamente il premio assegnato in Patria al loro album “Rated R” come migliore disco heavy-rock del 2000. E chi all’inizio non comprende la presenza degli Apocalyptica, quartetto norvegese di violoncellisti, a un raduno rock internazionale come quello di Imola, si ricrede ascoltando la loro personale rilettura dei brani di gruppi metallici come Sepultura e Faith No More. Brian Molko e i suoi Placebo sono vecchie e sempre gradite conoscenze: nel 1999 avevano fatto da cuscinetto fra le Courtney Love e Marilyn Manson. Questa rassegna ha curiose analogie con quella del 1998: una, positiva, è l’esibizione di Vasco; l’altra, negativa, è l’assenza della band scritturata per chiudere il programma della domenica. Allora vennero a mancare i Verve, sostituiti dai Kula Shaker; in questa occasione bisogna rinunciare ai Guns N’Roses di Axl Roses, messi fuori gioco da un malore del nuovo chitarrista Buckthead. Promossi al rango di headliner, The Offspring scaricano sul palco tutta la potenza devastante del loro repertorio post punk: i fans iniziano a pogare durante l’esecuzione di “Pretty Fly” e non smettono finché non viene spento l’ultimo faro sul palco.
Si chiude l’ultimo cancello e noi riprendiamo a sognare: Carlos Santana… Red Hot Chili Peppers… la Dance Night dei Chemical Brothers e dei Planet Funk… Arrivederci all’Heineken Jammin’ Festival 2002.
2000
Nuovo millennio e nuova anima per l’Heineken Jammin’ Festival. Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera scrive: “un’organizzazione ai limiti della perfezione e una serie di rockband internazionali interessanti, ma spesso ‘cult’, destinate cioè ad orecchie ‘specializzate’ nell’ascolto di suoni ruvidi, arrabbiatissimi”. A quest’ultima categoria appartengono senz’altro i Rage Against The Machine, sulfurei e “politically s-correct” headliner della prima giornata, e gli irruenti Primal Scream, che rischiano di fare la fine dei Timoria l’anno precedente: il vocalist Bobby Gillespie, infatti, perde l’aereo, atterra a Bologna in clamoroso ritardo e arriva sul palco a concerto già abbondantemente iniziato. L’atmosfera da “rockerilla”, una guerriglia rock espressa più nei testi al vetriolo delle canzoni che, fortunatamente, nel comportamento della folla, era stata sapientemente surriscaldata dalle band del pomeriggio, in particolare dai Punkreas, sorprendenti e applauditissimi alfieri della scena punk italiana e i tedeschi Guano Apes della vocalist Sandra Nasic, una forza della natura dai polmoni iperbarici.
Esaurita la parentesi più underground, l’Heineken Jammin’ Festival 2000 propone artisti più vicini all’immaginario collettivo. Piero Pelù vince la sfida degli headliner con gli Oasis soprattutto merito della grande attesa per il suo primo concerto dopo il divorzio dai Litfiba. La nostalgia per i Litfiba, però, si consuma in poche canzoni, lasciando spazio al nuovo med-rock del solista Pelù. Se gli Oasis non soddisfano l’aspettativa dei fans, confezionando comunque un live più che dignitoso, gli altri nomi in cartellone sabato e domenica fanno scrivere a Paolo Zaccagnini su Il Messaggero: “la terza edizione del festival resterà sempre la più forte concentrazione di gruppi e artisti rock dell’estate”. Lo show più ragguardevole porta la firma degli Eurythmics: Annie Lennox e Dave Stewart si presentano in scena senza band e senza spine da attaccare agli amplificatori. Un concerto acustico, con i ragazzi che aspettano solo di scatenarsi nell’apoteosi rock di Pelù, sembra a molti un azzardo pericoloso. Invece no, non per musicisti con tanto carisma: la chitarra di Stewart e la voce ammaliatrice della Lennox ipnotizzano la folla, che si arrende alla loro classe e aspetta Pelù senza più abbassare le mani. Prima degli Eurythmics, hanno regalato belle emozioni anche Eagle Eye Cherry (figlio del jazzista Don Cherry e fratello della vocalist pop Neneh Cherry) con la sua chitarra elettro-melodica, e i Morcheeba della sinuosa Skye Edwards, che hanno saputo coinvolgere il pubblico nonostante un repertorio molto poco rock-ruggente, fatto di dolci sonorità soul contaminate da un lievissimo trip hop. Senza tregua, invece, la breve apparizione dei punk Prozac+, che hanno aperto le danze con i loro hit-single “Colla” e “Acido Acida”. La Dance Night (non annacquata dalla pioggia come l’anno precedente) trattiene migliaia di persone fino a notte fonda: qualcuno è venuto all’Heineken Jammin’ Festival apposta per ballare il techno big beat dei psichedelici Chemical Brothers, che dispensano sonorità acid-house in quantità per nulla modiche in uno sfavillante show tecnologico.
Arrivano dalla finlandia gli apripista di domenica: si chiamano Him e propongono un pop agrodolce con guizzi heavy. Dopo di loro, i Gomez stupiscono con un audace progressive. Entusiasmante successo per i Subsonica, reduci dal Festival di Sanremo, che portano in scena Morgan dei Bluvertigo e richiamano diecimila persone a ballare sotto il palco, incuranti del gran caldo. Incanta anche Kelis, bella ventenne di Harlem, con voce possente e androgina al servizio di pezzi hip hop forgiati in un crossover gospel, blues e soul, con ritmi funky scolpiti da assoli di chitarra alla Hendrix. Elisa si ostina a cantare in inglese il suo pop elettronico e ambizioso. Tutti aspettano gli Oasis, ma i Counting Crows non passano inosservati grazie a un country-rock raffinato e orecchiabile: per alcuni critici, la band californiana di Adam Duritz è “una delle liete sorprese di questa kermesse” (Cesare G. Romana su il Giornale). Gino Castaldo su la Repubblica riconosce all’Heineken Jammin’ Festival il merito di aver creato un ottimo clima fra gli artisti: “i Chemical Brothers sono rimasti per tutti e tre i giorni, approfittandone per seguire i concerti, anche degli italiani. Perfino Liam Gallagher, che non è famoso per essere un simpaticone, ha girato per tutto il giorno nell’area ospitalità, conversando con tutti e sorridendo a tutti quelli che andavano a parlargli. Incredibile”. Il titolo dello stesso articolo chiude la rassegna con un verdetto categorico: “vince il rock italiano”. E già circola la voce del ritorno di Vasco…
1999
Consacrato l’anno prima dai centoventimila della combriccola del Blasco, l’Heineken Jammin’ Festival 1999 (tre giorni di “Sounds Good”, uno in più rispetto al ’98) ha avuto un battesimo più canonico: con la pioggia. Tanta acqua. Troppa acqua. Per molti è un segno del destino, l’anello mancante per poter davvero paragonare la rassegna di Imola a Woodstock 1969 (e al suo mitico fango): “Figurarsi se non diluviava. Dai tempi antichi di Woodstock la leggenda vuole che non ci sia raduno rock che si rispetti senza la sua bella dose di pioggia e fango” (Alba Solaro su l’Unità). La pioggia torrenziale ha afflosciato le tende del campeggio ai margini dell’autodromo, ma non l’entusiasmo della gente: suole slick sotto le scarpe, molti ballano e giocano nei playground di basket, volley, calcetto e arrampicata gestiti da Radio Deejay; altri cercano rifugio nel Green Village allestito nell’area della variante bassa: numerosi caffè tematici, postazioni Playstation, mixer e campionatori per improvvisarsi disc jockey, una mostra fotografica sull’edizione precedente, fumetti disegnati in tempo reale, body-painting, magliette dipinte, graffiti, tatuaggi, spazi per il benessere del corpo e della mente… Il maltempo imperversa sull’autodromo di Imola per tutto il weekend: Massimiliano Lussana su il Giornale loda “l’ottima organizzazione degli uomini Heineken”, ironizzando poi sul fatto che “i comunicati che garantivano la distribuzione gratuita di acqua al pubblico sono stati presi troppo alla lettera”. Il titolo dell’articolo, “E i ragazzi restano a cantare sotto l’acquazzone”, è un inno ai temerari con l’impermeabile griffato nettezza urbana (vengono distribuiti migliaia di sacchi della spazzatura bucati da usare come mantelline antipioggia) che hanno risposto al richiamo di “un cast internazionale di qualità e tendenza, ma con una forte caratterizzazione italiana” (Marco Mangiarotti su Il Giorno, La Nazione e il Resto del Carlino). Non sono più gli accendini a illuminare a giorno la Rivazza, ma tuoni e fulmini del temporale che accoglie fragorosamente Subsonica, Max Gazzé, Carmen Consoli, Elio e le Storie Tese. Infiltrate tra i quasi ventimila seguaci del made in Italy, ci sono anche molte innamorate deluse dei Take That: avrebbero affrontato calamità naturali ben peggiori, pur di ammirare da vicino Robbie Williams, unica stella straniera della giornata e impeccabile apripista dello show di Zucchero.
Come se non bastasse la pioggia, trenta chilometri di coda sulla Milano-Bologna eliminano i Timoria dal programma di sabato. È il giorno delle band internazionali di tendenza: Goo Goo Dolls e Bush, ma soprattutto Garbage e gli headliner Skunk Anansie, che sembrano trarre energia dal nuovo acquazzone e regalano un live infuocato e dirompente ai quarantamila fans in ammollo. “Un cartellone di artisti stranieri come quello della rassegna imolese di quest’anno ha pochi rivali in Europa”, scrive Paolo Zaccagnini su Il Messaggero. A far deflagrare la scena sono due primedonne del rock: la conturbante rossa scozzese Shirley Manson (vocalist dei Garbage) e la feroce pantera nera inglese Skin (Skunk Anansie).
“A Imola vince il divertimento” (Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera): il sound trance-elettronico degli Underworld trasforma l’Heineken Jammin’ Festival in un gigantesco rave e la prima Dance Night offre “una delle più belle fotografie da conservare di questa rassegna: sotto la pioggia battente sono rimasti in quattromila a ballare fino a notte fonda” (Gino Castaldo su la Repubblica).
I cinquantamila di domenica ricevono la loro dose di fulmini e saette da Marilyn Manson, che rinuncia a molte delle strombazzate trasgressioni (concedendosi, però, il capriccio di far recintare la sua zona di backstage per non essere avvicinato dalle altre band, spesso in polemica con lui) e chiude il raduno più bagnato della storia con uno show martellante e scenograficamente chiassoso, in puro stile Armageddon. La giornata viene aperta dagli italiani Verdena e Bluvertigo (che presentano in anteprima il singolo “La crisi”). L’esibizione glam-rock dei Placebo dell’intrigante vocalist Brian Molko entusiasma tutti, perfino il sole che finalmente squarcia il cielo plumbeo. La primadonna di oggi è Courtney Love, leader delle Hole: la vedova di Kurt Cobain non simpatizza (eufemismo) per Marilyn Manson e cerca di rubargli la scena mescolando ammiccamenti e provocazioni di ogni genere con un efficace rock spruzzato di grunge. Missione compiuta: la sua personalità strabordante conquista la platea al primo graffio di chitarra. L’attesa per Marilyn Manson si fa spasmodica, ma i suoi pittoreschi seguaci dispensano generose ovazioni anche ai Blur di Damon Albarn.
L’Heineken Jammin’ Festival 1999 va in archivio con un bilancio più che positivo: centodiecimila spettatori nonostante un diluvio biblico sono un grande risultato.
Ernesto Assante su la Repubblica scrive: “un festival ben organizzato e ben riuscito, che ha retto con sicurezza anche alle intemperie e che promette, con l’aiuto di un pubblico disponibile e appassionato, di crescere ancora”.
1998
“E centomila cuori cominciarono a sondare il cielo”… Quando ha scritto “Sballi ravvicinati del terzo tipo”, Vasco Rossi forse nemmeno sognava di essere lui l’alieno che vent’anni più tardi tutti avrebbero aspettato. Invece oggi è giudizio unanime che non poteva esserci headliner migliore per il neonato Heineken Jammin’ Festival: “un raduno tranquillo e ben organizzato tanto da far invidia ai più eleganti convegni internazionali, che contano meno ospiti”, scrive Ernesto Assante su la Repubblica.
All’imbrunire del 20 giugno 1998, l’extraterrestre sorvola l’autodromo di Imola con il suo disco volante camuffato da elicottero: visti dall’alto, “il prato davanti al palco e la collinetta della Rivazza assumono le sembianze di un unico, gigantesco corpo umano, che pulsa, che vibra, surriscaldato dall’afa e dall’emozione” (Gloria Pozzi sul Corriere della Sera).
La grintosa melodia dei romani Babyra Soul, gli interessanti inglesi Catherine Wheel, la voce sempre in bilico fra rock e soul della provocante olandese Anouk, il feroce rock dei nordirlandesi Ash e lo stordente postpunk dei britannici The Jesus and Mary Chain contribuiscono a creare, come si legge nel commento di Paolo Zaccagnini su Il Messaggero, “l’atmosfera festosa del festival, organizzato che meglio non si poteva”.
Poco dopo le 21.30, Vasco appare sul palco e l’Heineken Jammin’ Festival diventa ufficialmente “il più grande appuntamento rock europeo di questa estate” (Alba Solaro su l’Unità). “E centomila mani cominciarono ad alzarsi verso il cielo”… Quando attacca “Sballi ravvicinati del terzo tipo”, però, le mani in alto sono più del doppio: duecentoquarantamila! Combriccola del Blasco o tribù dell’Heineken Jammin’ Festival: chiamateli come volete, l’unico fatto rilevante è che sono centoventimila persone!!
Fra loro, anche l’allora ministro dell’Industria Bersani e la scrittrice Fernanda Pivano, che sostiene senza mezzi termini: “quelli che sono qui oggi cresceranno meglio di quanti frequentano soltanto posti istituzionali: ce ne vorrebbero mille di raduni come questo”. Perfino il Blasco, protagonista di altri concerti epocali, si emoziona nel vedere la mitica curva della Rivazza illuminata a giorno dagli accendini per le sue canzoni più autobiografiche. E promuove l’Heineken Jammin’ Festival a pieni voti: “ho inaugurato una nuova era della musica dal vivo”. Più delle belle parole, comunque, contano i fatti: Vasco avrebbe potuto organizzare in proprio un live da oltre centomila persone, però ha preferito tenere a battesimo l’Heineken Jammin’ Festival (“ripagato” dal record di spettatori paganti a un suo concerto) perché conquistato dal progetto di una rassegna rock italiana in grado di competere con i più prestigiosi raduni internazionali. Merito soprattutto della qualità della musica: domenica 21 giugno, pur senza l’enorme richiamo di Vasco e improvvisamente orfani degli headliner The Verve (sostituiti dai Kula Shaker per un’indisposizione del bassista Simon Jones), quarantamila persone si godono “un cartellone di appuntamenti da far invidia perfino ai festival americani” (a.d. su il Resto del Carlino), nel quale, oltre ai Bluvertigo e Ben Harper, spiccano Elisa, Tori Amos e Natalie Imbruglia. Il movimento rock femminile viene tenuto in grandissima considerazione dall’Heineken Jammin’ Festival, che in questi cinque anni ha fatto esibire, fra le altre, Skin (headliner con i suoi Skunk Anansie nel 1999), Annie Lennox (con gli Eurythmics), Alanis Morissette, Shirley Manson dei Garbage (che ritornano quest’anno), Courtney Love delle Hole, Carmen Consoli e Irene Grandi.
La festa non si esaurisce con la musica: oltre a mantenere, grazie al suo investimento pubblicitario, il prezzo del biglietto contenuto per un grande numero di concerti (quarantamila lire; settantamila l’abbonamento per i due giorni), Heineken allestisce un “Green Village” con punti di ristoro, bancarelle d’ogni genere (dalle t-shirt ai tatuaggi), performance dance di alcuni deejay e molte altre attività collaterali, fra cui un incontro con gli scrittori Niccolò Ammaniti, Aldo Nove e Tiziano Scarpa.
Bevanda ufficiale, naturalmente, la birra, ma sempre accostata, in questi cinque anni, alla campagna “Se bevi non guidare”, fortissimamente voluta proprio da Heineken per educare i giovani a un consumo responsabile di alcol. Per questo motivo vengono regalati cinquantamila litri d’acqua e organizzati tredici treni speciali in collaborazione con le Ferrovie dello Stato.
Indicato da un sondaggio del mensile Musica & Dischi al secondo posto degli eventi musicali più graditi dell’anno (dopo gli Mtv European Music Award e prima del Concerto del 1° Maggio e del Festival di Sanremo).
I PROTAGONISTI
Venerdì 18 giugno
FATBOY SLIM
L’immagine più emblematica della storia dell’Heineken Jammin’ Festival sono le oltre 100 mila persone assiepate dal prato fino in cima alla curva della Rivazza per i due concerti di Vasco Rossi. Ebbene, il deejay britannico Norman Cook, alias Fatboy Slim, potrebbe eguagliare quello straordinario record di pubblico: in occasione di un concerto del 2002, infatti sulla spiaggia sassosa della sua Brighton si sono riversati la bellezza di 250 mila ragazzi, che hanno ballato ebbri di entusiasmo fino alle prime luci dell’alba. Sempre pronta a esplorare sonorità parallele o attigue al rock, come ha dimostrato anche il cartellone heavy-metal della passata edizione, la rassegna griffata HJF quest’anno ha aperto l’autodromo di Imola alla grande musica dance: la scelta dell’headliner non poteva che cadere su Fatboy Slim, un deejay di caratura planetaria ricercato per i suoi remix da artisti del calibro di Madonna e Robbie Williams. Norman Cook, che in passato è stato anche fondatore degli Housemartins, ha assunto lo pseudonimo di Fatboy Slim (dopo averne usati molti altri in precedenza) nel 1995 e da allora ha inciso tre album: “Better Living Through Chemistry” del 1996; “You’ve Come A Long Way, Baby” del 1998, anno in cui è stato l’artista inglese di maggior successo negli Stati Uniti, diventando di fatto il più grande nome dance in circolazione nel mondo; “Halfway Between The Gutter And The Stars” del 2000. A questi si è aggiunto il cd “Live In Brighton Beach”, testimonianza del mitico concerto del 2002.
MASSIVE ATTACK
È uno dei gruppi più innovativi e influenti degli ultimi anni: il trio di Bristol formato da 3D (Robert Del Naja), Grant “Daddy G” Marshall e “Mushroom” Vowles (fuoriuscito dal gruppo nel 1999) è fra i creatori della scena trip hop. Nati nel 1987, i Massive Attack hanno come stella polare musicale un soundsystem di stile giamaicano: l’album d’esordio “Blue Lines” (1991) fonde in maniera originale hip hop, new wave reggae, house e techno dei primordi. Il disco vende due milioni di copie come il successivo cd “Protection” (1994), interamente remixato da Mad Professor e ripubblicato con il titolo “No Protection”. Dopo le collaborazioni con illustri colleghi, fra cui Madonna e Garbage, nel 1998 esce il terzo disco “Mezzanine”, che vende tre milioni di copie e traghetta la band verso nuovi orizzonti musicali dominati dalle chitarre. Seguono altre collaborazioni, fra cui quella con David Bowie sulla cover di “Nature Boy” per la colonna sonora di “Moulin Rouge”. Nel 2003 pubblicano il quarto album “100th Window”, interamente realizzato in studio dal solo 3D: “Daddy G” Marshall, infatti, si è preso un periodo sabbatico ed è rientrato nel successivo tour, dunque non dovrebbe assolutamente perdere l’appuntamento con i fans dell’Heineken Jammin’ Festival 2004.
TIMO MAAS
Deejay, remixer e produttore discografico, il tedesco di Hannover Timo Maas è considerato il fornitore mondiale di “percussive funk”. Le sue composizioni, alcune incise sotto pseudonimo, sono un autentico must nelle valige dei più rinomati dj mondiali: Timo Maas, infatti, è responsabile di hit di settore come “Mamma Konda” di Orinoko (che ha conquistato la Top 20 della classifica nel Regno Unito e negli Stati Uniti) e “Borg Destroyer” di Kinetic A.T.O.M., un irresistibile pezzo funk che ha sfiorato le diecimila copie vendute pur senza un briciolo di marketing. La sua carriera è iniziata con le notti in qualità di resident dj al Tunnel di Amburgo, in passato uno dei più prestigiosi club tedeschi, e il successo internazionale del brano trance “Die Herdplatte”: Timo Maas ha mollato il suo lavoro di nove anni come venditore di telefonia mobile e ha portato i suoi remix nei club più esclusivi del mondo, da Londra a Chicago, diventando anche uno dei protagonisti più acclamati di oceanici raduni dance come la Love Parade di Berlino e l’Energy Parade in Svizzera.
CIRCOLOCO CREW
La festa Circoloco al DC10 di Ibiza è considerata da molti la migliore nella storia degli house parties. La partecipazione agli eventi griffati Circoloco è ambita dai più acclamati deejay del mondo: perfino Fatboy Slim, Pete Tong e Timo Maas si sono esibiti nel party ibizenco più amato dal popolo della notte. La leggenda del Circoloco è nata e continua aumentare grazie alla forza artistica di una crew internazionale formata da un’autentica squadra all stars di resident dj: all’Heineken Jammin’ Festival 2004 si esibiranno Cirillo, Tania Vulcano, Locodice e Dj Manga.
ALESSIO BERTALLOT
L’artista di Vercelli nei primi Anni 90 ha fondato il gruppo Aeroplanitaliani (contando fra i collaboratori del progetto anche la Banda Osiris e Roberto Vernetti) con i quali ha partecipato al Festival di Sanremo del 1992 con “Zitti zitti”, un brano rap con trenta interminabili secondi di silenzio assoluto. Nel 1994 Bertallot ha pubblicato “Io vi voglio bene” di matrice crossover e ha iniziato la sua parallela carriera radiofonica, con i programmi “Rapparechiaro” e “B-Side” ai microfoni di network prestigiosi come Radio Deejay, e quella televisiva sugli schermi di Mtv. Nel 1999 ha inciso “Non” con il musicista e programmatore Maurizio “Mo-dus” Pini. Oggi Alessio Bertallot è uno dei nomi di punta fra i produttori e deejay del panorama dance italiano.
ALEX BIANCHI DJ
Il genovese Alessandro Bianchi (31 anni) è il vincitore del Found@thirst, il dj contest promosso da Heineken nei mesi scorsi per scoprire “fresh talent” del djing italiano e per supportare al meglio la musica dance, che infatti è la grande protagonista della prima giornata dell’Heineken Jammin’ Festival 2004. Alex Bianchi DJ, produttore del brano “Palm Spring”, ha superato la concorrenza di centinaia di aspiranti deejay ed è stato designato vincitore dal grande Paul Oakenfold nella serata finale del Found@thirst, che si è svolta lo scorso 15 aprile ai Magazzini Generali di Milano.
Sabato 19 giugno
THE CURE
I concerto dei Cure di Robert Smith sono un evento a cui i fans non vogliono assolutamente mancare: un biglietto per il live di Londra dello scorso marzo (tutto esaurito), tanto per fare un esempio, in un’asta di beneficenza su internet ha superato la quotazione di 2.300 euro! Anche la loro performance sul palco dell’Heineken Jammin’ Festival 2004 è imperdibile: infatti potrebbe essere l’occasione per ascoltare il nuovo singolo “The End Of The World” e in anteprima le canzoni dell’album intitolato semplicemente “The Cure”, che uscirà il 28 giugno a quattro anni di distanza dal precedente “Bloodflowers”. La storia dei Cure inizia nel 1976 nei dintorni di Crawley, nel Sussex, e subito s’impone la leadership di Robert Smith, che dimostra di essere l’antitesi della rockstar classica: tanto carismatico sul palco quanto schivo e refrattario a ogni cerimonia nella vita privata. Grazie a lui il gruppo dark si segnala come il gruppo più stimolante della scena underground britannica negli Anni 80: l’album d’esordio è “Three Imaginary Boys” del 1979 (preceduto l’anno prima dal singolo “Killing An Arab”, il cui testo violento ha attirato l’attenzione della critica), ma i due dischi della consacrazione sono “Seventeen Seconds” (1980) e “Pornografhy” (1982). Subito dopo Robert Smith, stufo dei frequenti dissapori con Simon Gallup, scioglie il gruppo e si unisce ai Sioxie and the Banshees: l’autoesilio dura due anni e il suo rientro nei Cure coincide con l’ingresso del cd “The Top” (1984) nelle prime dieci posizioni della classifica inglese. L’anno seguente torna pure Gallup e la band riprende a macinare canzoni (in totale ha inciso 13 album in studio più vari live e greatest hits) rimanendo fedele all’impronta cupa degli esordi ma non disdegnando incursioni in altri generi musicali che spesso hanno piacevolmente spiazzato i loro fans.
BEN HARPER AND THE INNOCENT CRIMINALS
Il chitarrista californiano, discepolo di Bob Marley e Marvin Gaye, è stato uno dei personaggi del 2003 con l’album d’impronta sociale e spirituale “Diamonds On The Inside”, premiato come disco dell’anno nel referendum del mensile specializzato Musica & Dischi. Le canzoni dell’ultimo cd spaziano fra reggae, funk, rock e musica cantautorale, dimotrando una volta di più il suo grande talento di compositore capace di emozionare l’audience sintetizzando sentimenti positivi e negativi in una sorta di inquisizione musicale a carico dello spirito. “Diamonds On The Inside” è il sesto capitolo di una discografia decennale, iniziata nel 1993 con “Welcome To The Cruel World” e proseguita con “Fight For Your Mind” (1995), “The Will To Live” (1997), “Burn To Shine” (1999) e il disco dal vivo “Live From Mars” (2001). Il carismatico artista californiano (è nato a Claremont nel 1969) si esibisce per la seconda volta all’Heineken Jammin’ Festival accompagnato dall’inseparabile chitarra Weissenborn e dagli altrettanto inseparabili The Innocent Criminals: un trio di musicisti formato da Juan Nelson (basso), Leon Lewis Mobley (percussioni) e Oliver Charles (batteria).
PIXIES
Sono stati uno dei nomi fondamentali della scena rock alternativa, soprattutto in Europa pur essendo una band di Boston, ma sono durati troppo poco: dall’album d’esordio “Surfer Rosa” del 1988 al bestseller “Bossanova del 1990 (arrivato al numero 3 nelle classifiche britanniche) fino all’ultimo disco d’inediti “Trompe Le Monde”. Il gruppo si è sciolto nella seconda metà del 1991 per colpa dei dissidi fra il leader Black Francis (cantante e chitarrista che ora si fra chiamare Frank Black, ma il cui vero nome è Charles Michael Kitridge Thompson IV) e la bassista Kim Deal. Ci sono voluti più di dieci anni per appianare i dissapori fra i quattro membri della band (completata dal secondo socio fondatore e chitarrista Joe Santiago e dal batterista David Lovering): ora i Pixies sono tornati a suonare insieme e per festeggiare l’evento hanno pubblicato il greatest hits “Wave Of Mutilation” (23 brani fra cui una cover di “Winterlong” di Neil Young) e un dvd che contiene otto video, due ore di filmati live e di backstage e un documentario con alcune interviste (fra gli altri, Bono, David Bowie, Thom Yorke, PJ Harvey e Badly Drawn Boy) che spiegano l’influenza del quartetto americano su altri artisti. L’esibizione all’Heineken Jammin’ Festival 2004 è l’unico concerto in Italia del tour di reunion dei Pixies: per comprendere quanta attesa ci sia tra i loro fans, basta dire che i biglietti per i primi due show annunciati in Europa, alla Brixton Academy di Londra, sono andati esauriti in soli sette minuti… Secondo alcuni, addirittura in due minuti!
PJ HARVEY
È un’icona del rock underground (anche se incide per una major): Polly Jean Harvey, definita la nuova Patty Smith, è la più importante donna del rock dell’ultimo decennio. Il 28 maggio scorso ha pubblicato il nuovo album “Uh Huh Her”, che segue di quattro anni “Stories From The City, Stories From The Sea” (2000), il suo disco più acclamato da pubblico e critica, anche se lei dice che il cd che le ha dato maggiori soddisfazioni sul piano personale è stato “Is This Desire” del 1998. “Hu Huh Her” è stato realizzato interamente da PJ Harvey, che ha curato composizione, produzione, registrazione e missaggio, oltre a suonare tutti gli strumenti a eccezione della batteria.
STARSAILOR
Preso il nome da un disco di Tim Buckley, il gruppo inglese capitanato da James Walsh musicalmente naviga nella scia del pop-melodico di Coldplay e Travis. Preceduto dal singolo “Fever”, nel 2001 è uscito l’album d’esordio “Love Is Here”, che ha confermato il giudizio entusiastico della critica con i successivi singoli “Alcoholic” e la title-track “Love Is Here”. L’anno scorso gli Starsailor hanno pubblicato il secondo cd “Silence Is Easy”, che ha scalato immediatamente le classifiche britanniche grazie al brano omonimo e a “White Dove”, prodotti dal leggendario Phil Spector, creatore del “wall of sound
HEINEKEN JAMMIN’ FESTIVAL – EDIZIONE 2004
VENERDÌ 18 - SABATO 19 - DOMENICA 20 GIUGNO AUTODROMO DI IMOLA
… UN’ESPERIENZA UNICA
La settima edizione di HEINEKEN JAMMIN’ FESTIVAL (venerdì 18, sabato 19 e domenica 20 giugno all’Autodromo di Imola) propone un cast artistico di assoluto valore e grande interesse, oltre a diverse novità per intrattenere il pubblico che si radunerà all’Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola.
VENERDÌ 18 GIUGNO grande novità: giornata interamente dedicata alle sonorità dance ed elettroniche. Saranno protagonisti FATBOY SLIM, MASSIVE ATTACK, Timo Maas, Circoloco Crew, Alessio Bertallot, Alessandro Bianchi (vincitore della 1^ edizione italiana di Found@Thirst – evento organizzato da Heineken per scoprire nuovi talenti nel mondo della dance).
SABATO 19 GIUGNO sarà invece la volta di THE CURE, BEN HARPER & THE INNOCENT CRIMINALS, PIXIES, PJ HARVEY, STARSAILOR, THE CALLING, DELTA V.
DOMENICA 20 GIUGNO il Festival sarà chiuso da LENNY KRAVITZ (unico concerto in Italia), ARTICOLO 31, MARY J. BLIGE, CAPAREZZA, NELLY FURTADO, SNOW PATROL, ADDICTED.
I biglietti si possono acquistare su www.ticketone.it, presso i 400 punti vendita TicketOne in tutta Italia e presso le prevendite abituali. Il prezzo del biglietto per la singola giornata è di 32 euro + diritti di prevendita, l’abbonamento ai tre giorni è di 68 euro + diritti di prevendita mentre lo speciale abbonamento weekend (sabato e domenica) è di 50 euro + diritti di prevendita.
Promosso da Heineken e organizzato da Clear Channel Entertainment, HEINEKEN JAMMIN’ FESTIVAL è ormai riconosciuto come uno dei più grandi e significativi eventi pop-rock europei.
Per informazioni al pubblico: www.heineken.it - www.clearchannel.it
CALENDARIO
Venerdì 18 giugno 2004
Ore 15.00 Apertura cancelli
dalle 17.00 si esibiranno: ALESSANDRO BIANCHI
ALESSIO BERTALLOT
CIRCOLOCO CREW
MASSIVE ATTACK
TIMO MAAS
FATBOY SLIM
Sabato 19 giugno 2004
Ore 11.00 Apertura cancelli
dalle 13.30 si esibiranno: artista da definire
DELTA V
THE CALLING
STARSAILOR
PJ HARVEY
PIXIES
BEN HARPER & THE INNOCENT CRIMINALS
Ore 21.30 THE CURE
Domenica 20 giugno 2003
Ore 11.00 Apertura cancelli
dalle 13.30 si esibiranno: ADDICTED
artista da definire
SNOW PATROL
NELLY FURTADO
CAPAREZZA
MARY J. BLIGE
ARTICOLO 31
Ore 21.30 LENNY KRAVITZ
Prezzo del biglietto per singola giornata: 32 EURO + DIR. PREV.
Prezzo abbonamento alle tre serate: 68 EURO + DIR. PREV.
Prezzo abbonamento weekend (sabato e domenica): 50 EURO + DIR. PREV.
Per informazioni al pubblico: tel. 02 53006501
Siti Internet: www.heineken.it www.clearchannel.it
HEINEKEN JAMMIN’ FESTIVAL – EDIZIONE 2004
AUTODROMO DI IMOLA
VENERDÌ… TUTTI IN PISTA
L’HEINEKEN JAMMIN’ FESTIVAL 2004 ospiterà per la prima volta una giornata tutta dedicata alle sonorita’ dance ed elettroniche con i piu’ importanti esponenti di questi generi musicali.
Sempre pronta ad esplorare sonorità parallele o attigue al rock, Heineken Jammin’ Festival quest’anno ha aperto l’Autodromo di Imola alla grande musica dance: la scelta dei performer non poteva che cadere su Norman Cook alias FATBOY SLIM, un deejay di caratura planetaria ricercato per i suoi remix da artisti del calibro di Madonna e Robbie Williams, in Italia nella sua unica performance live.
Prima di FATBOY SLIM saliranno sul palco TIMO MAAS e MASSIVE ATTACK , una delle piu’ influenti band britanniche dell’ultimo decennio, che nell’unica data italiana del loro tour estivo sorprenderanno il pubblico con il loro caratteristico sound e una direzione artistica sempre all’avanguardia.
Le esibizioni di venerdì saranno aperte, alle 17.00 dal genovese ALEX BIANCHI DJ che ha vinto la prima edizione in Italia del FOUND@THIRST, il dj contest promosso nella scorsa primavera da Heineken per scoprire “fresh talent” del djing italiano e per supportare al meglio la musica dance italiana. THIRST è una manifestazione di caratura mondiale, organizzata attraverso Heineken Music (il marchio che racchiude le diverse iniziative musicali del brand), alla quale partecipano migliaia di dj emergenti e che ha fatto ballare più di 100.000 clubbers in tutto il pianeta: i vincitori di FOUND@THIRST entrano a far parte di un network internazionale di fresh talent che vengono scritturati per le serate THIRST nei 5 continenti, entrando così nel gotha della dance mondiale.
L’eccezionale cast artistico della serata dedicata alle sonorità dance è impreziosito anche dalle esibizioni di Alessio Bertallot e dal Circoloco Crew artefici a Ibiza di quella che è considerata da molti la festa più bella nella storia degli house parties.
HEINEKEN JAMMIN’ EXPERIENCE
Non è soltanto la musica, comunque la caratteristica principale, a rendere l’Heineken Jammin’ Festival la rassegna più amata e prestigiosa dell’estate italiana: la missione di Heineken Jammin’ Festival è portare grande musica sul palco (missione compiuta ancora una volta: basta dare un’occhiata al cast artistico), ma anche intrattenere il pubblico nei modi più divertenti, interessanti e diversi. Venire all’Autodromo di Imola per partecipare all’evento musicale dell’estate griffato Heineken Jammmin’ Festival è quindi davvero un’esperienza unica arricchita, nell’edizione 2004 da nuove sorprendenti attività collaterali:
BEACH BAR
È dedicata alla riviera romagnola una delle grandi novità dell’Heineken Jammin’ Festival 2004. Per la prima volta viene costruita all’interno dell’Autodromo di Imola una vera e propria spiaggia, posizionata presso la curva della Rivazza. Nei 2 mila metri quadrati interamente ricoperti di sabbia del “Beach Bar” (per tutto il week end, dall’apertura dei cancelli e sino alle 20.00) ci sono:
- SOLARIUM con ombrelloni e sdraio per chi vuole abbronzarsi riposando.
- CAMPO DA BEACH VOLLEY per chi preferisce abbronzarsi partecipando ai vari tornei che verranno organizzati.
- CHIRINGUITO per chi ama abbronzarsi mitigando la canicola estiva con bibite, birra fresca accompagnate da piadine e panini.
- PALCOSCENICO per chi desidera abbronzarsi durante i divertenti balli di gruppo proposti da esperte ballerine e animatori. Dal palcoscenico il deejay proporrà musica hip-hop, latino-americana e dance; non mancheranno i tormentoni dell’estate del momento. Vicino all’ingresso del “Beach Bar” ci sarà una struttura denominata “Heineken Store”, nella quale sarà possibile acquistare vari oggetti per il mare brandizzati Heineken: teli da spiaggia, costumi, parei, infradito.
CHILL OUT AREA
Dalla sabbia del “Beach Bar” passiamo al “prato” della “Chill Out Area”: una superficie di 700 metri quadrati interamente ricoperti da un tappeto d’erba sintetica con piante ad alto fusto. È un’area di decompressione dalla roboante onda d’urto della musica rock grazie a suoni lounge e immagini new age. Sul palco centrale della “Chill Out Area” si susseguiranno esibizioni particolari, fra cui balli di Capoeira (una filosofia di vita che si fonda sull’arte dell’espressione corporea), Snack Music il dj di Xplosiva Giorgio Valletta (mente musicale del Club to Club), Cocktail elettronico del dj Dr No (immagini di repertorio dell’Italia anni sessanta fanno da condimento alla musica ambient-lounge), T:own (il live media dedicato alle megacities del mondo) e Dining Room (live set creativo ed emozionante comprendente piatti, contrabbasso e voce), The Black Eagle: Masaki, musica dal vivo il film in bianco e nero di Rodolfo Valentino.
COOL ZONE
È un’altra grande novità dell’Heineken Jammin’ Festival 2004: un open space coperto di quasi 600 metri quadrati con tre corridoi lungo i quali si snoda un percorso attraverso i cinque sensi: udito, vista, gusto, olfatto e tatto. È una zona “di tendenza”: al suo interno è possibile approfondire la conoscenza dei propri canali di percezione della realtà attraverso gli stimoli caratteristici di ognuno dei cinque sensi. Fra le proposte più intriganti e suggestive della “Cool Zone” segnaliamo un particolare tipo di ascolto musicale che, attraverso il canale dell’udito, procura stimolazione anche degli altri sensi. Lo spazio dedicato al tatto, inoltre, promette di essere la più visitata fra le attività extra concerti dell’Heineken Jammin’ Festival 2004: infatti sarà possibile affidarsi alle mani esperte di abili massaggiatori, body-painter e tatuatori. Massaggi e tatuaggi (nel nostro caso il tatoo non permanente con l’henne) sono riti ancestrali che la nostra cultura sta fortemente rivalutando.
SPORT VILLAGE
È un appuntamento storico e immancabile fra le attività extra concerti dell’Heineken Jammin’ Festival. Posizionato a lato dell’arena live, lo “Sport Village” (powered by Foot Locker) si estende su un’area di circa 5 mila metri quadrati: dall’apertura dei cancelli fino alle ore 20.00 sarà possibile giocare a calcio, basket e volley, partecipando anche ai vari giochi che verranno organizzati durante i tre giorni della rassegna imolese. Il villaggio sportivo sarà composto da 8 campi da basket, 1 campo da volley, 2 campetti da football e 6 calciobalilla per chi ha un talento agonistico concentrato soprattutto nei polsi.
Oltre a queste aree a tema, ci saranno i consueti punti di ristoro disseminati all’interno di tutto l’autodromo e in funzione ininterrottamente dall’apertura alla chiusura dei cancelli. Ci sarà anche uno spazio coordinato dal servizio Progetto Giovani del Comune di Imola che offre interessanti occasioni d’intrattenimento e animazione attraverso svariate iniziative, fra cui…
“RIBALTA APERTA”: un palco dedicato all’esibizioni di gruppi rock selezionati a livello nazionale a cura del centro musiale comunale Ca’ Vaina
“ROCKSTAR PER UN GIORNO”: un set di posa fotografico digitale – corredato di strumenti, amplificatori, parrucche, costumi… - per farsi immortalare con gli amici come un’autentica rock band
“CORTO HEINEKEN JAMMIN FESTIVAL”: giovani videomakers gireranno film digitali fra il pubblico dell’Heineken Jammin’ Festival 2004 allo scopo di realizzare un cortometraggio che evidenzierà il forte potenziale rituale dell’evento rock Heineken Jammin’ Festival.
“UMMAGUMMA”: giovani artisti dell’archivio locale Artenati – pittori, fumettisti, scultori… - impegnati i performance creativo-artistiche al fine di realizzare una sorta di installazione-omaggio all’Heineken Jammin’ Festival: chi si lascerà coinvolgere, verrà invitato a disegnare qualcosa di proprio, fino a comporre un’opera collettiva corredata composta da disegni e fotografie)
“CREATIVE ZONE”: attività di informazione e di animazione dedicata al significato del dvertimento e al consumo consapevole di bevande alcoliche: sono previste attività varie che spaziano fra body painting, bad hair, video box e produzione di bandane colorate
“SBANDATV”: un dinamico sito web dedicato a tutte le band musicali, creato un anno fa da un gruppo di giovani imolesi appassionati di rock e internet. Il sito, finanziato dalla Comunità Europea, realizzerà servizi giornalieri e interviste sull’Heineken Jammin’ Festival 2004.
HEINEKEN JAMMIN’ FESTIVAL
SEI ANNI DI STORIA
2003
Chitarre incandescenti per un rock torrido. Nella sesta edizione dell’Heineken Jammin’ Festival scende in pista il rock più pesante e l’autodromo di Imola si trasforma in un braciere ardente di passione metallara per i concerti degli headliner Metallica, Iron Maiden e Bon Jovi. Oltre 100 mila spettatori in tre giorni decretano l’ennesimo successo del festival estivo italiano più amato: a impreziosire il cast artistico contribuiscono Dave Gahan e Keith Flint, in temporanea vacanza rispettivamente da Depeche Mode e Prodigy. E una schiera di giovani band italiane molto apprezzate nel circuito underground dei live.
L’onore d’inaugurare l’Heineken Jammin’ Festival 2003 tocca ai lombardi Karnea, gruppo di Crema che ha iniziato a dodici anni come cover band dei Guns’N Roses e si è evoluto musicalmente sintetizzando Edith Piaff e i Prodigy. Dopo di loro, altri due gruppi nostrani: i milanesi Extrema (che vantano dieci anni di militanza metallica) e i Punkreas (una delle realtà più rappresentative della scena punk italiana), che ritornano per la seconda volta sul prestigioso palco dell’Heineken Jammin’ Festival.
Dopo il rock grezzo ed emotivo degli Stone Sour, band complementare agli Slipknot, l’atmosfera s’infiamma con l’esibizione dei Flint, il progetto parallelo del leader dei Prodigy. Kilt scozzese alla Axl Rose, giubbotto di pelle strappato e cresta punk, Keith Flint incendia la platea con una performance vocale d’inusitata energia. Le chitarre taglienti dei Placebo (questa è la loro terza partecipazione alla rassegna imolese) chiudono il pomeriggio con il loro rock psichedelico.
È venerdì 13, ma nessuna superstizione è riuscita a fermare i 40 mila fans, che assistono in delirio all’unica esibizione italiana dei Metallica. La band formata dai veterani James Hetfield e Lars Ulrich (l’ideatore del nome), da Kirk Hammett e dal neo bassista Rob Trujillo ritrova il proprio posto fra i capostipiti dell’heavy metal con un rockset aspro e possente, che celebra il passato remoto del loro repertorio, lasciando uno spazio marginale al nuovo cd “St. Anger”. Con suoni volutamente estremi e irruenti, i Metallica riconquistano credibilità fra gli appassionati di hard rock, dopo che gli approcci soft degli ultimi dischi avevano oscurato la loro stella.
La seconda giornata dell’Heineken Jammin’ Festival 2003, sabato 14 giugno, si apre con gli italiani Settevite – che vantano live come supporter di Vasco Rossi e degli U2 – e Zen, che suonano per il secondo anno consecutivo all’ombra (si fa per dire, considerato il gran caldo...) delle due gigantesche piramidi Heineken Jammin’ Festival. A metà pomeriggio arriva il turno di Anouk, l’unica artista femminile di questa edizione. La rockeuse olandese sale on stage in dolce attesa del secondo figlio, ma per nulla frenata dall’imminente maternità, sfodera una prestazione grintosa e seducente sulle note dell’ultimo album “Graduated Fool”.
La marcia d’avvicinamento all’esibizione di Bon Jovi prosegue con The Music – quattro diciottenni inglesi messi sotto contratto dall’etichetta discografica di Richard Ashcroft – e i Live, che si presentano a Imola con un biglietto da visita di tutto rispetto: oltre 17 milioni di dischi venduti in tutto il mondo. Quando entra in scena Dave Gahan s’accende la curiosità per il debutto “solista” del cantante dei Depeche Mode, che ha inciso il primo album solista “Paper Monster”, nel quale dà libero sfogo alla propria vena compositiva con sonorità soul e testi ironici. Non si tratta di una separazione definitiva dai Depeche Mode, ma certamente questa avventura solitaria lo intriga molto: nella performance di Imola, infatti, le uniche tracce dei suoi ventidue anni come frontman della band britannica sono i brani “Walking In My Shoes” e “Personal Jesus”.
Alle otto di sera Jon Bon Jovi, davanti a 30 mila persone che scandiscono il suo nome, apre lo show con una cover di Neil Young (“Rockin’ In A Free World”), per poi sfoderare i pezzi forti del suo repertorio: “You Give Love A Bad Name”, “Bounce”, “Prayer”, “It’s My Life”... Quarantuno anni, jeans e giacca di pelle attillati, Bon Jovi ha scelto l’Heineken Jammin’ Festival per celebrare nel modo più degno i suoi vent’anni di carriera.
Il trip hop di Tricky, nell’immancabile appuntamento del sabato con la “Late Night”, ci accompagna alla giornata conclusiva, che vede sfilare in scena - in attesa dell’evento Iron Maiden - Domine (alfieri di un metal epico), Vision Divine (band di culto del panorama metallico italiano), Lacuna Coil, Murderdolls (chitarre lancinanti di chiara matrice Sex Pistols) e Cradle Of Filth, il cui repertorio metal-gotico risulta una delle proposte più interessanti di questa sesta edizione. Un’altra piacevolissima sorpresa, per chi non ha grande confidenza con il circuito metallico italiano, si rivelano i milanesi Lacuna Coil, promossi da una prestigiosa etichetta discografica tedesca. Le loro composizioni metal hanno influenze rock e gotiche, accentuate dall’intrigante vocalità di Cristina Scabbia e dalla veemenza dell’altro cantante Andrea Ferro. L’Heneken Jammin’ Festival 2003 si congeda dal popolo metallaro con l’esaltante show dei leggendari Iron Maiden, che chiamano a raccolta 40 mila seguaci adoranti. La “Vergine di ferro” regala un breve assaggio live del nuovo album “Dance Of Death”, preferendo impostare il concerto sui suoni collaudati dei suoi classici: “The Number Of The Beast”, “Run To The Hills”, “The Trooper”, “Hallowed Be Thy Name”, “Bring Your Daughter To The Slaughter”... Tracciando un commento finale sull’edizione metallara dell’Heineken Jammin’ Festival, la stampa ha parlato di “annata migliore del festival, eccettuate quelle nel segno di Vasco Rossi”. E Bruce Dickinson, vocalist degli Iron Maiden, saluta la “Heineken Jammin’ Festival Tribe” con un doveroso tributo: “In Inghilterra e negli Stati Uniti, il pubblico a volte è tiepido, addirittura freddo. In Italia, invece, troviamo sempre grande calore. E i ragazzi dell’Heineken Jammin’ Festival ci hanno regalato una passione che rasenta quella della Ferrari”.
2002
La quinta edizione dell’Heineken Jammin’ Festival mescola la nostalgia per l’esibizione del Blasco con l’entusiasmo straripante per gli headliner Red Hot Chili Peppers e Santana. “La due giorni musicale di Imola non ha più bisogno di Vasco Rossi”, scrive Andrea Laffranchi sul Corriere della Sera. E aggiunge: “È vero, c’era uno striscione con la scritta ‘Vasco ci manchi’, ma il pubblico, che era qui soprattutto per i Red Hot Chili Peppers, quest’anno non ha contestato nessuno. Merito di un cast più omogeneo, ma segno anche di una maturazione del pubblico italiano”.
Oltre ai Red Hot Chili Peppers e a Santana, l’Heineken Jammin’Festival 2002 offre un cast artistico di notevole spessore, caratterizzato dalla massiccia presenza di band italiane che non sfigurano al cospetto di gruppi celebrati come Garbage, Muse, Lostprophets e Manà, soprattutto per merito delle entusiasmanti performance live di Subsonica, Articolo 31 e Afterhours. Raddoppiano le dance night, con i Chemical Brothers (richiamati a furor di popolo dopo l’infuocata esibizione del 2000) e i partenopei Planet Funk, una delle rivelazioni della stagione con i loro ritmi elettromediterranei. “L’Heineken Jammin’ Festival mantiene la promessa originaria: grande musica in uno spazio perfettamente attrezzato e a prezzi contenuti. Il programma è assai appetibile” (Paolo Zaccagnini su Il Messaggero). A rendere ancora più interessante e variegata la proposta musicale c’è una novità importata direttamente da Ibiza: la Chill Out Zone, una tensostruttura di quasi mille metri quadrati allestita all’interno del Green Village. In questa zona di decompressione sonora e visiva è possibile assistere ai dj set dei più prestigiosi interpreti delle sonorità chill out. Fra gli ospiti internazionali che si alternano alla consolle della Chill Out Zone c’è anche la top model brasiliana Fernanda Lessa, che sperimenta una carriera parallela come deejay.
Heineken Jammin’ Festival - “una festa del rock con un’organizzazione a livello dei più celebrati festival europei” (Renato Tortarolo su Il Secolo XIX) - richiama anche quest’anno più di 110 mila persone all’autodromo di Imola, nonostante un caldo infernale che le 3 cisterne d’acqua riversate sul pubblico riescono appena a mitigare. La canicola stuzzica l’ironia di Mario Ajello su Il Messaggero: “Cinquanta gradi all’ombra. Ma non c’è l’ombra”. I 70 mila accorsi sabato 15 giugno per l’accoppiata rock & dance formata da Red Hot Chili Peppers e Chemical Brothers vengono sferzati dall’acqua fredda delle docce a getto continuo e dai decibel delle prime band che animano l’immenso palco dell’Heineken Jammin’ Festival: File (trio milanese di punk-rock, vincitore nel 2000 di Scorribande), Zen (band romana che attraverso Internet ha venduto 70 mila copie del singolo d’esordio in tutto il mondo), Kane (eletti “miglior gruppo olandese” negli ultimi due Mtv Awards), Sneaker Pimps (inglesi di Birmingham che vantano collaborazioni come producer con Maxim dei Prodigy e come remixer con i Placebo) e i Meganoidi (nome di punta dell’underground punk italiano con la curiosità del percussionista Cisco che è anche uno degli inviati delle “Iene” di Italia 1).
I Meganoidi scandiscono l’attesa per l’evento RHCP con le loro invettive ska: la folla li accompagna con entusiasmo, ignara del fatto che il cantante dei Meganoidi si è liberato dell’ingorgo in autostrada e ha raggiunto Imola pochi minuti prima dell’esibizione. Anche quest’anno, infatti, la circolazione stradale attorno a Bologna è stata congestionata dall’elevato numero di persone che volevano assistere all’Heineken Jammin’ Festival, attirati soprattutto dal concerto dei Red Hot Chili Peppers, che hanno richiamato fans perfino da Zurigo, Bruxelles, Parigi e Francoforte. In autostrada sembrava di essere in pieno esodo estivo: per raggiungere Imola da Milano qualcuno ha impiegato anche sei ore.
Domato il traffico, il pomeriggio scorre liscio come l’asfalto della pista che piano piano diventa meno bollente. In compenso diventa sempre più incandescente l’atmosfera creata dalle band che si alternano on stage. È il turno degli “Afterhours del carismatico Manuel Agnelli, capostipiti del nuovo rock sperimentale italiano, e dei gallesi Lostprophets, alfieri di un punk-metal venato da sonorità infernali e atmosfere inquietanti che piace agli amanti del nu-metal alla Korn e Limp Bizkit” (Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera). Le prime ombre della sera salutano il ritorno sul palco dell’Heineken Jammin’ Festival dei Muse, ammirati a Imola già nel 2000: il trio inglese “ha sfondato in Patria, e un po’ anche in Italia, grazie a un rock che tende i muscoli e scalda i cuori con dosi massicce di enfasi e un gioco ricercato di equilibrismi con asprezza e malinconia. Il cantante Matthew Bellamy, un po’ Tom Yorke un po’ Freddie Mercury, con i suoi falsetti imprendibili prende per mano il pubblico offrendosi come appetitoso antipasto ai Peperoncini” (Flavio Brighenti su La Repubblica).
Quando i Red Hot Chili Peppers fanno il loro ingresso in scena, il boato della folla squarcia il cielo di Imola più possente del rombo della Ferrari di Schumacher: ora i 70 mila dell’Heineken Jammin’ Festival hanno orecchie e occhi soltanto per Anthony Kiedis (voce), John Frusciante (chitarra), Flea (basso) e Chad Smith (batteria). Il live della band californiana naviga a vele spiegate, spinto da un vento forza… 12 milioni: le copie vendute nel mondo dall’album “Californication” del 1999. I RHCP hanno scelto un evento europeo prestigioso come l’Heineken Jammin’ Festival per testare in anteprima mondiale il gradimento di alcune canzoni del nuovo disco “By The Way” (nei negozi pochi giorni dopo l’esibizione italiana).
Il festoso delirio che accompagna hit affermate e brani nuovi, perdona benevolmente qualche stecca e decreta il trionfo della band californiana: “Un’ora e mezza di rock puro con John Frusciante, Flea e soprattutto Anthony Kiedis in una forma smagliante” (Luca Dondoni su La Stampa)… “Il massimo dell’energia e della passione rock con il minino (strumentale) dei mezzi” (Marco Mangiarotti su Q.N.)… “Sono loro i vincitori assoluti del megaraduno rock di Imola” (Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera).
Il sacro fuoco dei live di Kiedis, Frusciante, Flea e Chad viene rinfocolato immediatamente da Ed Simmons e Tom Rowlands: due ex studenti di storia medievale considerati i remixer più geniali della scena dance internazionale. Stiamo parlando, naturalmente, dei Chemical Brothers, che per la seconda volta (erano già stati protagonisti della dance night del 2000) trasformano l’autodromo di Imola in un rave dalle sonorità acide e techno, cavalcando le onde elettroniche del loro nuovo album “Come With Us”.
Il trionfo della band californiana è anche il trionfo dell’Heineken Jammin’ Festival, che ancora una volta ha offerto al suo pubblico il meglio della produzione artistica mondiale. E la conferma arriva puntuale il giorno dopo: domenica 16 giugno rimane immutata la qualità musicale degli artisti che si alternano sul palco fino all’arrivo dello sciamano Santana, che completa il gemellaggio fra l’Heineken Jammin’ Festival e raduni rock leggendari, essendo stato fra i protagonisti assoluti del mitico festival di Woodstock.
Il treno dei concerti di domenica 16 giugno sfreccia sui binari della musica di casa nostra: “Si sono fatti valere gli italiani fin dall’inizio: Rumorerosa, seguiti dai Malfunk, arrabbiati e corrosivi. Poi di nuovo all’estero con Cousteau e Manà, ma alla fine la resa musicale e spettacolare di Articolo 31 e Subsonica, saliti subito dopo, è stata superiore” (Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera)
Le band italiane giocano il derby dell’entusiasmo: “Sul podio dell’applausometro, dopo Subsonica e Articolo 31, gli Afterhours che si sono esibiti sabato” (Andrea Laffranchi sul Corriere della Sera). Ampio consenso, comunque, anche per la pattuglia degli stranieri, che manda in avanscoperta i suoni raffinati dei Cousteau (che poi si soffermano in sala stampa per seguire l’epilogo ai rigori del match mondiale fra Irlanda e Spagna) e i messicani Manà (il primo gruppo latino che si aggiudicato un Grammy, nel 1999, come miglior band di rock alternativo latino) che sprizzano “energia positiva” (come la traduzione del loro nome in polinesiano) e duettano con Santana sulle note di “Corazon Espinado”, composta proprio dal vocalist Fher Olvera. I Garbage della sensuale vocalist scozzese Shirley Manson, infine, conquistano il pubblico con il loro inconfondibile rock melodico e numerosi inviti alla non violenza.
Proprio come i Red Hot Chili Peppers la sera precedente, anche Carlos Santana sale sul palco dell’Heineken Jammin’ Festival forte di un disco plurimilionario nelle vendite e pluripremiato (8 Grammy Awards in un colpo solo: eguagliato il record di Michael Jackson) e con un nuovo album, intitolato “Shaman”, pronto per essere pubblicato. Alle prime note della sua Gibson color arancio-ocra, il talento e il carisma di Santana aleggiano sull’autodromo di Imola come una stella cometa da seguire con gioiosa partecipazione lungo tutto il concerto, che attinge a… “un repertorio da sogno e a una tecnica unica. Una sequela di perle regalateci dalle sei corde stratosferiche della ‘mano santa’ di Autlan, che ha inanellato assoli da fiaba: uno dei pochi ‘re del distorsore’ ancora in circolazione” (Paolo Zaccagnini su Il Messaggero). “Con il suo bagaglio di storia, una band piena di sapienti jazzisti e qualche preghiera, il rock latino di Carlos Santana attualmente è una delle poche ricette sonore che riesce a mettere d’accordo tre generazioni di pubblico” (Valerio Corzani su Il Manifesto). L’ultimo incantesimo dello sciamano messicano, al momento di congedarsi dalla folla dopo un concerto a dir poco entusiasmante, è un messaggio di pace: “Italiani, messicani, ebrei, palestinesi, inglesi, irlandesi: all is one. Tutti sono uguali”.
La quinta edizione dell’Heineken Jammin’ Festival entra nella storia dei grandi eventi rock con un’altra incursione nella musica dance: rinfoderata la mitica chitarra di Santana, infatti, il palco si tramuta in una gigantesca consolle e la festa prosegue con la dance night dei Planet Funk, un ibrido di funk, rock, house e trance. È tempo di bilanci: “Il successo dell’Heineken Jammin’ Festival, con l’astronave musicale dei Red Hot Chili Peppers, con il messaggio di pace del predicatore Carlos Santana, con il rap gucciniano degli Articolo 31, con le piroette post punk dei Muse, e ancora con il faccino imbambolato e le curve conturbanti della top model Fernanda Lessa, è anche un successo di pubblico” (Renato Tortarolo su Il Secolo XIX).
Più di 110 mila persone e picchi d’entusiasmo altissimi sono un patrimonio da non sperperare, così la perfetta macchina organizzativa dell’Heineken Jammin’ Festival si concentra immediatamente sul nuovo raduno di Imola. Fra i sogni proibiti c’è Bon Jovi. E proprio Bon Jovi sarà uno dei tre headliner (assieme a Metallica e Iron Maiden) dell’edizione 2003. Non stupitevi: all’Heineken Jammin’ Festival i sogni rock più belli si avverano sempre.
2001
Flashback… 20 giugno 1998: Vasco Rossi e Heineken Jammin’ Festival hanno appena scritto una pagina leggendaria nella storia dei raduni rock in Italia. I centoventimila della combriccola del Blasco lasciano l’autodromo di Imola senza più voce per urlare il suo nome. Felici. Stremati dalla gioia. Eppure non ancora appagati: vorrebbero riportarlo subito sul palco, ma si accontentano di sognare un bis di questa serata. Non importa quando, purché lo scenario sia ancora quello dell’Heineken Jammin’ Festival, perché nessuno stadio può regalarti l’emozione della Rivazza illuminata a giorno dagli accendini. Si è stupito pure lui. E li ha ringraziati prima di cantare “Albachiara”. Alla fine del concerto, però, disillude le loro speranze: “Sarà impossibile ripetere un’esperienza simile, nemmeno a gentile richiesta”. Fine del flashback. E fine dei sogni della combriccola. Forse…
A volte i sogni si avverano: il Blasco torna all’Heineken Jammin’ Festival! L’appuntamento è per la sera di sabato 16 giugno 2001, ma i primi camper conquistano i prati attorno all’autodromo con un giorno d’anticipo. È la miglior risposta a quanti temono che una minore affluenza di pubblico possa impoverire il mitico record del 1998. Gli scettici sono pochi, ma tanto convinti dell’impossibilità di riportare a Imola centoventimila persone: quella era un’esibizione unica, argomentano, mentre questo è il primo di nove concerti sparsi per l’Italia intera. Meno di centomila spettatori, parecchi meno, è la loro previsione. Invece sono esattamente centomila. Un risultato pazzesco, perché è vero che l’imminente tour ha bloccato qualcuno a casa: quelli davvero troppo lontani, che nel 1998 avevano faticosamente raggiunto Imola sui tredici treni straordinari targati HJF. Centomila persone. Qualcuno dice centodiecimila. E sarebbero ancora di più, se la Rivazza non fosse parzialmente inagibile per lavori di ampliamento del circuito.
Per governare una massa così imponente di gente, evitando che l’onda umana travolga chi è davanti, viene creato un triplo sbarramento che divide la platea in tre settori separati: un braccialetto di plastica è l’ambito lasciapassare per entrare nella porzione di prato più vicina al palco. Per combattere il caldo ci sono docce a getto continuo su entrambi i lati dell’arena, mentre nella zona del bar c’è un enorme spazio coperto capace di offrire riparo a duemila persone. All’Heineken Jammin’ Festival, insomma, la qualità della vita viene prima anche della qualità della musica: “Imola non è Roskilde, ma se si poteva fare qualcosa di più per la sicurezza, lo si è fatto” (Andrea Spinelli su Il Giorno, La Nazione, il Resto del Carlino).
L’attesa dell’avvento di Vasco si consuma in un’atmosfera pacata: chi apprezza il prestigioso cast artistico (non capita tutti i giorni di avere come “supporter” una certa Alanis Morissette…) segue i concerti; gli altri ingannano il tempo nel Green Village tra sfide sui playground del villaggio sportivo gestito da Radio Deejay (radio ufficiale dell’Heineken Jammin’ Festival), sedute di massaggi e un’occhiatina alla mail grazie a tante postazioni Internet. C’è anche chi non apprezza ma resta inchiodato al suo posto, forse deve “presidiare” una buona posizione conquistata a fatica, e manifesta troppo energicamente il proprio dissenso verso i gruppi stranieri: Lifehouse, Feeder e Stereophonics. I quali non gradiscono, naturalmente. Gli Stereophonics meno degli altri, infatti abbandonano la scena a metà esibizione. Niente di grave, niente di nuovo: scene già viste in altri raduni. Per una band che se ne va, un’altra finalmente riesce ad arrivare: i Timoria hanno studiato il manuale delle partenze intelligenti e non si sono fatti fregare dal solito intasamento sulla A14 (nel 1998 non si erano esibiti perché bloccati in una coda di trenta chilometri).
La sorpresa piacevole della giornata è Irene Grandi nell’inedita veste (una veste molto succinta) di rockeuse: una performance grintosa, la canzone scritta per lei da Vasco in persona (“La tua ragazza sempre”) e una cover di Janis Joplin (“Piece Of My Hart”) sono più che sufficenti per farsi adottare dalla combriccola del Blasco. Combriccola che accoglie con i dovuti onori Alanis Morissette, primadonna fra il raffinato e il ribelle dell’Heineken Jammin’ Festival, che in tutte le sue edizioni ha puntato i riflettori sulle diverse anime del rock al femminile. La cantautrice di Ottawa ha carisma e talento (e un set musicale fra i migliori mai ascoltati all’autodromo di Imola): “quando canta ‘Thank You’ persino i pretoriani di Vasco hanno un attimo di smarrimento” (Renato Tortarolo su Il Secolo XIX).
Solo un attimo, però. Subito torna alla mente il sogno di tre anni prima. Il sogno che si è avverato. E l’attesa diventa spasmodica. Come allora, duecentomila mani cominciano ad alzarsi verso il cielo, ma questa volta il Blasco non arriva dal cielo: sbuca all’improvviso sul palco e vorrebbe scendere ad abbracciarli tutti, dalla prima fila fino su alla mitica Rivazza. Perché assieme a loro, e assieme all’Heineken Jammin’ Festival, si è appena garantito un altro pizzico di leggenda. Lo show, ventitre canzoni in perfetto equilibrio fra hit storici e il nuovo album “Stupido hotel”, è un trionfo: “non si è rammollito il rocker di Zocca: il suo sound s’è fatto metropolitano, smaliziato, ironico” (Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera)… “è bellissima, la voce del Blasco… questa voce capace d’allentarsi nella melanconia, d’arrugginirsi nell’invettiva e d’accendersi nello sberleffo” (Cesare G. Romana su il Giornale)… “Il concerto è eccellente, uno dei migliori della sua carriera” (Ernesto Assante su la Repubblica). Uscendo dall’autodromo, i centomila tornano a sognare una replica, anche fra altri tre anni. E questa volta Vasco non dice nulla. Mai dire mai… Soprattutto quando si parla di Heineken Jammin’ Festival.
Domenica 17 giugno si respira un’aria da “the day after”: tutti parlano ancora del ciclone Vasco. La seconda giornata dell’Heineken Jammin’ Festival, comunque, sa farsi apprezzare per un cast di band tostissime, che graffiano gli amplificatori con un rock ruvido senza fronzoli. Gli inglesi Queens Of The Stone Age, per esempio, dimostrano sul campo di meritare ampiamente il premio assegnato in Patria al loro album “Rated R” come migliore disco heavy-rock del 2000. E chi all’inizio non comprende la presenza degli Apocalyptica, quartetto norvegese di violoncellisti, a un raduno rock internazionale come quello di Imola, si ricrede ascoltando la loro personale rilettura dei brani di gruppi metallici come Sepultura e Faith No More. Brian Molko e i suoi Placebo sono vecchie e sempre gradite conoscenze: nel 1999 avevano fatto da cuscinetto fra le Courtney Love e Marilyn Manson. Questa rassegna ha curiose analogie con quella del 1998: una, positiva, è l’esibizione di Vasco; l’altra, negativa, è l’assenza della band scritturata per chiudere il programma della domenica. Allora vennero a mancare i Verve, sostituiti dai Kula Shaker; in questa occasione bisogna rinunciare ai Guns N’Roses di Axl Roses, messi fuori gioco da un malore del nuovo chitarrista Buckthead. Promossi al rango di headliner, The Offspring scaricano sul palco tutta la potenza devastante del loro repertorio post punk: i fans iniziano a pogare durante l’esecuzione di “Pretty Fly” e non smettono finché non viene spento l’ultimo faro sul palco.
Si chiude l’ultimo cancello e noi riprendiamo a sognare: Carlos Santana… Red Hot Chili Peppers… la Dance Night dei Chemical Brothers e dei Planet Funk… Arrivederci all’Heineken Jammin’ Festival 2002.
2000
Nuovo millennio e nuova anima per l’Heineken Jammin’ Festival. Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera scrive: “un’organizzazione ai limiti della perfezione e una serie di rockband internazionali interessanti, ma spesso ‘cult’, destinate cioè ad orecchie ‘specializzate’ nell’ascolto di suoni ruvidi, arrabbiatissimi”. A quest’ultima categoria appartengono senz’altro i Rage Against The Machine, sulfurei e “politically s-correct” headliner della prima giornata, e gli irruenti Primal Scream, che rischiano di fare la fine dei Timoria l’anno precedente: il vocalist Bobby Gillespie, infatti, perde l’aereo, atterra a Bologna in clamoroso ritardo e arriva sul palco a concerto già abbondantemente iniziato. L’atmosfera da “rockerilla”, una guerriglia rock espressa più nei testi al vetriolo delle canzoni che, fortunatamente, nel comportamento della folla, era stata sapientemente surriscaldata dalle band del pomeriggio, in particolare dai Punkreas, sorprendenti e applauditissimi alfieri della scena punk italiana e i tedeschi Guano Apes della vocalist Sandra Nasic, una forza della natura dai polmoni iperbarici.
Esaurita la parentesi più underground, l’Heineken Jammin’ Festival 2000 propone artisti più vicini all’immaginario collettivo. Piero Pelù vince la sfida degli headliner con gli Oasis soprattutto merito della grande attesa per il suo primo concerto dopo il divorzio dai Litfiba. La nostalgia per i Litfiba, però, si consuma in poche canzoni, lasciando spazio al nuovo med-rock del solista Pelù. Se gli Oasis non soddisfano l’aspettativa dei fans, confezionando comunque un live più che dignitoso, gli altri nomi in cartellone sabato e domenica fanno scrivere a Paolo Zaccagnini su Il Messaggero: “la terza edizione del festival resterà sempre la più forte concentrazione di gruppi e artisti rock dell’estate”. Lo show più ragguardevole porta la firma degli Eurythmics: Annie Lennox e Dave Stewart si presentano in scena senza band e senza spine da attaccare agli amplificatori. Un concerto acustico, con i ragazzi che aspettano solo di scatenarsi nell’apoteosi rock di Pelù, sembra a molti un azzardo pericoloso. Invece no, non per musicisti con tanto carisma: la chitarra di Stewart e la voce ammaliatrice della Lennox ipnotizzano la folla, che si arrende alla loro classe e aspetta Pelù senza più abbassare le mani. Prima degli Eurythmics, hanno regalato belle emozioni anche Eagle Eye Cherry (figlio del jazzista Don Cherry e fratello della vocalist pop Neneh Cherry) con la sua chitarra elettro-melodica, e i Morcheeba della sinuosa Skye Edwards, che hanno saputo coinvolgere il pubblico nonostante un repertorio molto poco rock-ruggente, fatto di dolci sonorità soul contaminate da un lievissimo trip hop. Senza tregua, invece, la breve apparizione dei punk Prozac+, che hanno aperto le danze con i loro hit-single “Colla” e “Acido Acida”. La Dance Night (non annacquata dalla pioggia come l’anno precedente) trattiene migliaia di persone fino a notte fonda: qualcuno è venuto all’Heineken Jammin’ Festival apposta per ballare il techno big beat dei psichedelici Chemical Brothers, che dispensano sonorità acid-house in quantità per nulla modiche in uno sfavillante show tecnologico.
Arrivano dalla finlandia gli apripista di domenica: si chiamano Him e propongono un pop agrodolce con guizzi heavy. Dopo di loro, i Gomez stupiscono con un audace progressive. Entusiasmante successo per i Subsonica, reduci dal Festival di Sanremo, che portano in scena Morgan dei Bluvertigo e richiamano diecimila persone a ballare sotto il palco, incuranti del gran caldo. Incanta anche Kelis, bella ventenne di Harlem, con voce possente e androgina al servizio di pezzi hip hop forgiati in un crossover gospel, blues e soul, con ritmi funky scolpiti da assoli di chitarra alla Hendrix. Elisa si ostina a cantare in inglese il suo pop elettronico e ambizioso. Tutti aspettano gli Oasis, ma i Counting Crows non passano inosservati grazie a un country-rock raffinato e orecchiabile: per alcuni critici, la band californiana di Adam Duritz è “una delle liete sorprese di questa kermesse” (Cesare G. Romana su il Giornale). Gino Castaldo su la Repubblica riconosce all’Heineken Jammin’ Festival il merito di aver creato un ottimo clima fra gli artisti: “i Chemical Brothers sono rimasti per tutti e tre i giorni, approfittandone per seguire i concerti, anche degli italiani. Perfino Liam Gallagher, che non è famoso per essere un simpaticone, ha girato per tutto il giorno nell’area ospitalità, conversando con tutti e sorridendo a tutti quelli che andavano a parlargli. Incredibile”. Il titolo dello stesso articolo chiude la rassegna con un verdetto categorico: “vince il rock italiano”. E già circola la voce del ritorno di Vasco…
1999
Consacrato l’anno prima dai centoventimila della combriccola del Blasco, l’Heineken Jammin’ Festival 1999 (tre giorni di “Sounds Good”, uno in più rispetto al ’98) ha avuto un battesimo più canonico: con la pioggia. Tanta acqua. Troppa acqua. Per molti è un segno del destino, l’anello mancante per poter davvero paragonare la rassegna di Imola a Woodstock 1969 (e al suo mitico fango): “Figurarsi se non diluviava. Dai tempi antichi di Woodstock la leggenda vuole che non ci sia raduno rock che si rispetti senza la sua bella dose di pioggia e fango” (Alba Solaro su l’Unità). La pioggia torrenziale ha afflosciato le tende del campeggio ai margini dell’autodromo, ma non l’entusiasmo della gente: suole slick sotto le scarpe, molti ballano e giocano nei playground di basket, volley, calcetto e arrampicata gestiti da Radio Deejay; altri cercano rifugio nel Green Village allestito nell’area della variante bassa: numerosi caffè tematici, postazioni Playstation, mixer e campionatori per improvvisarsi disc jockey, una mostra fotografica sull’edizione precedente, fumetti disegnati in tempo reale, body-painting, magliette dipinte, graffiti, tatuaggi, spazi per il benessere del corpo e della mente… Il maltempo imperversa sull’autodromo di Imola per tutto il weekend: Massimiliano Lussana su il Giornale loda “l’ottima organizzazione degli uomini Heineken”, ironizzando poi sul fatto che “i comunicati che garantivano la distribuzione gratuita di acqua al pubblico sono stati presi troppo alla lettera”. Il titolo dell’articolo, “E i ragazzi restano a cantare sotto l’acquazzone”, è un inno ai temerari con l’impermeabile griffato nettezza urbana (vengono distribuiti migliaia di sacchi della spazzatura bucati da usare come mantelline antipioggia) che hanno risposto al richiamo di “un cast internazionale di qualità e tendenza, ma con una forte caratterizzazione italiana” (Marco Mangiarotti su Il Giorno, La Nazione e il Resto del Carlino). Non sono più gli accendini a illuminare a giorno la Rivazza, ma tuoni e fulmini del temporale che accoglie fragorosamente Subsonica, Max Gazzé, Carmen Consoli, Elio e le Storie Tese. Infiltrate tra i quasi ventimila seguaci del made in Italy, ci sono anche molte innamorate deluse dei Take That: avrebbero affrontato calamità naturali ben peggiori, pur di ammirare da vicino Robbie Williams, unica stella straniera della giornata e impeccabile apripista dello show di Zucchero.
Come se non bastasse la pioggia, trenta chilometri di coda sulla Milano-Bologna eliminano i Timoria dal programma di sabato. È il giorno delle band internazionali di tendenza: Goo Goo Dolls e Bush, ma soprattutto Garbage e gli headliner Skunk Anansie, che sembrano trarre energia dal nuovo acquazzone e regalano un live infuocato e dirompente ai quarantamila fans in ammollo. “Un cartellone di artisti stranieri come quello della rassegna imolese di quest’anno ha pochi rivali in Europa”, scrive Paolo Zaccagnini su Il Messaggero. A far deflagrare la scena sono due primedonne del rock: la conturbante rossa scozzese Shirley Manson (vocalist dei Garbage) e la feroce pantera nera inglese Skin (Skunk Anansie).
“A Imola vince il divertimento” (Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera): il sound trance-elettronico degli Underworld trasforma l’Heineken Jammin’ Festival in un gigantesco rave e la prima Dance Night offre “una delle più belle fotografie da conservare di questa rassegna: sotto la pioggia battente sono rimasti in quattromila a ballare fino a notte fonda” (Gino Castaldo su la Repubblica).
I cinquantamila di domenica ricevono la loro dose di fulmini e saette da Marilyn Manson, che rinuncia a molte delle strombazzate trasgressioni (concedendosi, però, il capriccio di far recintare la sua zona di backstage per non essere avvicinato dalle altre band, spesso in polemica con lui) e chiude il raduno più bagnato della storia con uno show martellante e scenograficamente chiassoso, in puro stile Armageddon. La giornata viene aperta dagli italiani Verdena e Bluvertigo (che presentano in anteprima il singolo “La crisi”). L’esibizione glam-rock dei Placebo dell’intrigante vocalist Brian Molko entusiasma tutti, perfino il sole che finalmente squarcia il cielo plumbeo. La primadonna di oggi è Courtney Love, leader delle Hole: la vedova di Kurt Cobain non simpatizza (eufemismo) per Marilyn Manson e cerca di rubargli la scena mescolando ammiccamenti e provocazioni di ogni genere con un efficace rock spruzzato di grunge. Missione compiuta: la sua personalità strabordante conquista la platea al primo graffio di chitarra. L’attesa per Marilyn Manson si fa spasmodica, ma i suoi pittoreschi seguaci dispensano generose ovazioni anche ai Blur di Damon Albarn.
L’Heineken Jammin’ Festival 1999 va in archivio con un bilancio più che positivo: centodiecimila spettatori nonostante un diluvio biblico sono un grande risultato.
Ernesto Assante su la Repubblica scrive: “un festival ben organizzato e ben riuscito, che ha retto con sicurezza anche alle intemperie e che promette, con l’aiuto di un pubblico disponibile e appassionato, di crescere ancora”.
1998
“E centomila cuori cominciarono a sondare il cielo”… Quando ha scritto “Sballi ravvicinati del terzo tipo”, Vasco Rossi forse nemmeno sognava di essere lui l’alieno che vent’anni più tardi tutti avrebbero aspettato. Invece oggi è giudizio unanime che non poteva esserci headliner migliore per il neonato Heineken Jammin’ Festival: “un raduno tranquillo e ben organizzato tanto da far invidia ai più eleganti convegni internazionali, che contano meno ospiti”, scrive Ernesto Assante su la Repubblica.
All’imbrunire del 20 giugno 1998, l’extraterrestre sorvola l’autodromo di Imola con il suo disco volante camuffato da elicottero: visti dall’alto, “il prato davanti al palco e la collinetta della Rivazza assumono le sembianze di un unico, gigantesco corpo umano, che pulsa, che vibra, surriscaldato dall’afa e dall’emozione” (Gloria Pozzi sul Corriere della Sera).
La grintosa melodia dei romani Babyra Soul, gli interessanti inglesi Catherine Wheel, la voce sempre in bilico fra rock e soul della provocante olandese Anouk, il feroce rock dei nordirlandesi Ash e lo stordente postpunk dei britannici The Jesus and Mary Chain contribuiscono a creare, come si legge nel commento di Paolo Zaccagnini su Il Messaggero, “l’atmosfera festosa del festival, organizzato che meglio non si poteva”.
Poco dopo le 21.30, Vasco appare sul palco e l’Heineken Jammin’ Festival diventa ufficialmente “il più grande appuntamento rock europeo di questa estate” (Alba Solaro su l’Unità). “E centomila mani cominciarono ad alzarsi verso il cielo”… Quando attacca “Sballi ravvicinati del terzo tipo”, però, le mani in alto sono più del doppio: duecentoquarantamila! Combriccola del Blasco o tribù dell’Heineken Jammin’ Festival: chiamateli come volete, l’unico fatto rilevante è che sono centoventimila persone!!
Fra loro, anche l’allora ministro dell’Industria Bersani e la scrittrice Fernanda Pivano, che sostiene senza mezzi termini: “quelli che sono qui oggi cresceranno meglio di quanti frequentano soltanto posti istituzionali: ce ne vorrebbero mille di raduni come questo”. Perfino il Blasco, protagonista di altri concerti epocali, si emoziona nel vedere la mitica curva della Rivazza illuminata a giorno dagli accendini per le sue canzoni più autobiografiche. E promuove l’Heineken Jammin’ Festival a pieni voti: “ho inaugurato una nuova era della musica dal vivo”. Più delle belle parole, comunque, contano i fatti: Vasco avrebbe potuto organizzare in proprio un live da oltre centomila persone, però ha preferito tenere a battesimo l’Heineken Jammin’ Festival (“ripagato” dal record di spettatori paganti a un suo concerto) perché conquistato dal progetto di una rassegna rock italiana in grado di competere con i più prestigiosi raduni internazionali. Merito soprattutto della qualità della musica: domenica 21 giugno, pur senza l’enorme richiamo di Vasco e improvvisamente orfani degli headliner The Verve (sostituiti dai Kula Shaker per un’indisposizione del bassista Simon Jones), quarantamila persone si godono “un cartellone di appuntamenti da far invidia perfino ai festival americani” (a.d. su il Resto del Carlino), nel quale, oltre ai Bluvertigo e Ben Harper, spiccano Elisa, Tori Amos e Natalie Imbruglia. Il movimento rock femminile viene tenuto in grandissima considerazione dall’Heineken Jammin’ Festival, che in questi cinque anni ha fatto esibire, fra le altre, Skin (headliner con i suoi Skunk Anansie nel 1999), Annie Lennox (con gli Eurythmics), Alanis Morissette, Shirley Manson dei Garbage (che ritornano quest’anno), Courtney Love delle Hole, Carmen Consoli e Irene Grandi.
La festa non si esaurisce con la musica: oltre a mantenere, grazie al suo investimento pubblicitario, il prezzo del biglietto contenuto per un grande numero di concerti (quarantamila lire; settantamila l’abbonamento per i due giorni), Heineken allestisce un “Green Village” con punti di ristoro, bancarelle d’ogni genere (dalle t-shirt ai tatuaggi), performance dance di alcuni deejay e molte altre attività collaterali, fra cui un incontro con gli scrittori Niccolò Ammaniti, Aldo Nove e Tiziano Scarpa.
Bevanda ufficiale, naturalmente, la birra, ma sempre accostata, in questi cinque anni, alla campagna “Se bevi non guidare”, fortissimamente voluta proprio da Heineken per educare i giovani a un consumo responsabile di alcol. Per questo motivo vengono regalati cinquantamila litri d’acqua e organizzati tredici treni speciali in collaborazione con le Ferrovie dello Stato.
Indicato da un sondaggio del mensile Musica & Dischi al secondo posto degli eventi musicali più graditi dell’anno (dopo gli Mtv European Music Award e prima del Concerto del 1° Maggio e del Festival di Sanremo).
I PROTAGONISTI
Venerdì 18 giugno
FATBOY SLIM
L’immagine più emblematica della storia dell’Heineken Jammin’ Festival sono le oltre 100 mila persone assiepate dal prato fino in cima alla curva della Rivazza per i due concerti di Vasco Rossi. Ebbene, il deejay britannico Norman Cook, alias Fatboy Slim, potrebbe eguagliare quello straordinario record di pubblico: in occasione di un concerto del 2002, infatti sulla spiaggia sassosa della sua Brighton si sono riversati la bellezza di 250 mila ragazzi, che hanno ballato ebbri di entusiasmo fino alle prime luci dell’alba. Sempre pronta a esplorare sonorità parallele o attigue al rock, come ha dimostrato anche il cartellone heavy-metal della passata edizione, la rassegna griffata HJF quest’anno ha aperto l’autodromo di Imola alla grande musica dance: la scelta dell’headliner non poteva che cadere su Fatboy Slim, un deejay di caratura planetaria ricercato per i suoi remix da artisti del calibro di Madonna e Robbie Williams. Norman Cook, che in passato è stato anche fondatore degli Housemartins, ha assunto lo pseudonimo di Fatboy Slim (dopo averne usati molti altri in precedenza) nel 1995 e da allora ha inciso tre album: “Better Living Through Chemistry” del 1996; “You’ve Come A Long Way, Baby” del 1998, anno in cui è stato l’artista inglese di maggior successo negli Stati Uniti, diventando di fatto il più grande nome dance in circolazione nel mondo; “Halfway Between The Gutter And The Stars” del 2000. A questi si è aggiunto il cd “Live In Brighton Beach”, testimonianza del mitico concerto del 2002.
MASSIVE ATTACK
È uno dei gruppi più innovativi e influenti degli ultimi anni: il trio di Bristol formato da 3D (Robert Del Naja), Grant “Daddy G” Marshall e “Mushroom” Vowles (fuoriuscito dal gruppo nel 1999) è fra i creatori della scena trip hop. Nati nel 1987, i Massive Attack hanno come stella polare musicale un soundsystem di stile giamaicano: l’album d’esordio “Blue Lines” (1991) fonde in maniera originale hip hop, new wave reggae, house e techno dei primordi. Il disco vende due milioni di copie come il successivo cd “Protection” (1994), interamente remixato da Mad Professor e ripubblicato con il titolo “No Protection”. Dopo le collaborazioni con illustri colleghi, fra cui Madonna e Garbage, nel 1998 esce il terzo disco “Mezzanine”, che vende tre milioni di copie e traghetta la band verso nuovi orizzonti musicali dominati dalle chitarre. Seguono altre collaborazioni, fra cui quella con David Bowie sulla cover di “Nature Boy” per la colonna sonora di “Moulin Rouge”. Nel 2003 pubblicano il quarto album “100th Window”, interamente realizzato in studio dal solo 3D: “Daddy G” Marshall, infatti, si è preso un periodo sabbatico ed è rientrato nel successivo tour, dunque non dovrebbe assolutamente perdere l’appuntamento con i fans dell’Heineken Jammin’ Festival 2004.
TIMO MAAS
Deejay, remixer e produttore discografico, il tedesco di Hannover Timo Maas è considerato il fornitore mondiale di “percussive funk”. Le sue composizioni, alcune incise sotto pseudonimo, sono un autentico must nelle valige dei più rinomati dj mondiali: Timo Maas, infatti, è responsabile di hit di settore come “Mamma Konda” di Orinoko (che ha conquistato la Top 20 della classifica nel Regno Unito e negli Stati Uniti) e “Borg Destroyer” di Kinetic A.T.O.M., un irresistibile pezzo funk che ha sfiorato le diecimila copie vendute pur senza un briciolo di marketing. La sua carriera è iniziata con le notti in qualità di resident dj al Tunnel di Amburgo, in passato uno dei più prestigiosi club tedeschi, e il successo internazionale del brano trance “Die Herdplatte”: Timo Maas ha mollato il suo lavoro di nove anni come venditore di telefonia mobile e ha portato i suoi remix nei club più esclusivi del mondo, da Londra a Chicago, diventando anche uno dei protagonisti più acclamati di oceanici raduni dance come la Love Parade di Berlino e l’Energy Parade in Svizzera.
CIRCOLOCO CREW
La festa Circoloco al DC10 di Ibiza è considerata da molti la migliore nella storia degli house parties. La partecipazione agli eventi griffati Circoloco è ambita dai più acclamati deejay del mondo: perfino Fatboy Slim, Pete Tong e Timo Maas si sono esibiti nel party ibizenco più amato dal popolo della notte. La leggenda del Circoloco è nata e continua aumentare grazie alla forza artistica di una crew internazionale formata da un’autentica squadra all stars di resident dj: all’Heineken Jammin’ Festival 2004 si esibiranno Cirillo, Tania Vulcano, Locodice e Dj Manga.
ALESSIO BERTALLOT
L’artista di Vercelli nei primi Anni 90 ha fondato il gruppo Aeroplanitaliani (contando fra i collaboratori del progetto anche la Banda Osiris e Roberto Vernetti) con i quali ha partecipato al Festival di Sanremo del 1992 con “Zitti zitti”, un brano rap con trenta interminabili secondi di silenzio assoluto. Nel 1994 Bertallot ha pubblicato “Io vi voglio bene” di matrice crossover e ha iniziato la sua parallela carriera radiofonica, con i programmi “Rapparechiaro” e “B-Side” ai microfoni di network prestigiosi come Radio Deejay, e quella televisiva sugli schermi di Mtv. Nel 1999 ha inciso “Non” con il musicista e programmatore Maurizio “Mo-dus” Pini. Oggi Alessio Bertallot è uno dei nomi di punta fra i produttori e deejay del panorama dance italiano.
ALEX BIANCHI DJ
Il genovese Alessandro Bianchi (31 anni) è il vincitore del Found@thirst, il dj contest promosso da Heineken nei mesi scorsi per scoprire “fresh talent” del djing italiano e per supportare al meglio la musica dance, che infatti è la grande protagonista della prima giornata dell’Heineken Jammin’ Festival 2004. Alex Bianchi DJ, produttore del brano “Palm Spring”, ha superato la concorrenza di centinaia di aspiranti deejay ed è stato designato vincitore dal grande Paul Oakenfold nella serata finale del Found@thirst, che si è svolta lo scorso 15 aprile ai Magazzini Generali di Milano.
Sabato 19 giugno
THE CURE
I concerto dei Cure di Robert Smith sono un evento a cui i fans non vogliono assolutamente mancare: un biglietto per il live di Londra dello scorso marzo (tutto esaurito), tanto per fare un esempio, in un’asta di beneficenza su internet ha superato la quotazione di 2.300 euro! Anche la loro performance sul palco dell’Heineken Jammin’ Festival 2004 è imperdibile: infatti potrebbe essere l’occasione per ascoltare il nuovo singolo “The End Of The World” e in anteprima le canzoni dell’album intitolato semplicemente “The Cure”, che uscirà il 28 giugno a quattro anni di distanza dal precedente “Bloodflowers”. La storia dei Cure inizia nel 1976 nei dintorni di Crawley, nel Sussex, e subito s’impone la leadership di Robert Smith, che dimostra di essere l’antitesi della rockstar classica: tanto carismatico sul palco quanto schivo e refrattario a ogni cerimonia nella vita privata. Grazie a lui il gruppo dark si segnala come il gruppo più stimolante della scena underground britannica negli Anni 80: l’album d’esordio è “Three Imaginary Boys” del 1979 (preceduto l’anno prima dal singolo “Killing An Arab”, il cui testo violento ha attirato l’attenzione della critica), ma i due dischi della consacrazione sono “Seventeen Seconds” (1980) e “Pornografhy” (1982). Subito dopo Robert Smith, stufo dei frequenti dissapori con Simon Gallup, scioglie il gruppo e si unisce ai Sioxie and the Banshees: l’autoesilio dura due anni e il suo rientro nei Cure coincide con l’ingresso del cd “The Top” (1984) nelle prime dieci posizioni della classifica inglese. L’anno seguente torna pure Gallup e la band riprende a macinare canzoni (in totale ha inciso 13 album in studio più vari live e greatest hits) rimanendo fedele all’impronta cupa degli esordi ma non disdegnando incursioni in altri generi musicali che spesso hanno piacevolmente spiazzato i loro fans.
BEN HARPER AND THE INNOCENT CRIMINALS
Il chitarrista californiano, discepolo di Bob Marley e Marvin Gaye, è stato uno dei personaggi del 2003 con l’album d’impronta sociale e spirituale “Diamonds On The Inside”, premiato come disco dell’anno nel referendum del mensile specializzato Musica & Dischi. Le canzoni dell’ultimo cd spaziano fra reggae, funk, rock e musica cantautorale, dimotrando una volta di più il suo grande talento di compositore capace di emozionare l’audience sintetizzando sentimenti positivi e negativi in una sorta di inquisizione musicale a carico dello spirito. “Diamonds On The Inside” è il sesto capitolo di una discografia decennale, iniziata nel 1993 con “Welcome To The Cruel World” e proseguita con “Fight For Your Mind” (1995), “The Will To Live” (1997), “Burn To Shine” (1999) e il disco dal vivo “Live From Mars” (2001). Il carismatico artista californiano (è nato a Claremont nel 1969) si esibisce per la seconda volta all’Heineken Jammin’ Festival accompagnato dall’inseparabile chitarra Weissenborn e dagli altrettanto inseparabili The Innocent Criminals: un trio di musicisti formato da Juan Nelson (basso), Leon Lewis Mobley (percussioni) e Oliver Charles (batteria).
PIXIES
Sono stati uno dei nomi fondamentali della scena rock alternativa, soprattutto in Europa pur essendo una band di Boston, ma sono durati troppo poco: dall’album d’esordio “Surfer Rosa” del 1988 al bestseller “Bossanova del 1990 (arrivato al numero 3 nelle classifiche britanniche) fino all’ultimo disco d’inediti “Trompe Le Monde”. Il gruppo si è sciolto nella seconda metà del 1991 per colpa dei dissidi fra il leader Black Francis (cantante e chitarrista che ora si fra chiamare Frank Black, ma il cui vero nome è Charles Michael Kitridge Thompson IV) e la bassista Kim Deal. Ci sono voluti più di dieci anni per appianare i dissapori fra i quattro membri della band (completata dal secondo socio fondatore e chitarrista Joe Santiago e dal batterista David Lovering): ora i Pixies sono tornati a suonare insieme e per festeggiare l’evento hanno pubblicato il greatest hits “Wave Of Mutilation” (23 brani fra cui una cover di “Winterlong” di Neil Young) e un dvd che contiene otto video, due ore di filmati live e di backstage e un documentario con alcune interviste (fra gli altri, Bono, David Bowie, Thom Yorke, PJ Harvey e Badly Drawn Boy) che spiegano l’influenza del quartetto americano su altri artisti. L’esibizione all’Heineken Jammin’ Festival 2004 è l’unico concerto in Italia del tour di reunion dei Pixies: per comprendere quanta attesa ci sia tra i loro fans, basta dire che i biglietti per i primi due show annunciati in Europa, alla Brixton Academy di Londra, sono andati esauriti in soli sette minuti… Secondo alcuni, addirittura in due minuti!
PJ HARVEY
È un’icona del rock underground (anche se incide per una major): Polly Jean Harvey, definita la nuova Patty Smith, è la più importante donna del rock dell’ultimo decennio. Il 28 maggio scorso ha pubblicato il nuovo album “Uh Huh Her”, che segue di quattro anni “Stories From The City, Stories From The Sea” (2000), il suo disco più acclamato da pubblico e critica, anche se lei dice che il cd che le ha dato maggiori soddisfazioni sul piano personale è stato “Is This Desire” del 1998. “Hu Huh Her” è stato realizzato interamente da PJ Harvey, che ha curato composizione, produzione, registrazione e missaggio, oltre a suonare tutti gli strumenti a eccezione della batteria.
STARSAILOR
Preso il nome da un disco di Tim Buckley, il gruppo inglese capitanato da James Walsh musicalmente naviga nella scia del pop-melodico di Coldplay e Travis. Preceduto dal singolo “Fever”, nel 2001 è uscito l’album d’esordio “Love Is Here”, che ha confermato il giudizio entusiastico della critica con i successivi singoli “Alcoholic” e la title-track “Love Is Here”. L’anno scorso gli Starsailor hanno pubblicato il secondo cd “Silence Is Easy”, che ha scalato immediatamente le classifiche britanniche grazie al brano omonimo e a “White Dove”, prodotti dal leggendario Phil Spector, creatore del “wall of sound
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