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	così come non ho mai sopportato la divisione accanita tra fan degli Oasis e
	fan dei Blur. Penso che nemmeno loro ci credano davvero in questa rivalità
	che ha incorniciato gli anni Novanta e che ha accompagnato chi, come me, in
	quegli anni viveva la preadolescenza. Diciamocelo: per una ragazzetta di
	tredici anni ai tempi era fondamentale una cosa sola, avere il poster di
	Damon Albarn piuttosto che di Liam Gallagher appeso in camera o ripiegato
	con cura e senza pieghe nella Smemoranda. Io, avevo quello di Damon.
	
	
	Il pubblico che ieri ha accolto la band londinese all’Ippodromo di Milano
	era formato per lo più da trentenni nostalgici e da quarantenni curiosi di
	vedere il loro primo concerto dei Blur. Sul palco Albarn e compagnia bella
	si sono presentati alle 21.30 e hanno dato vita ad un’ora e mezza di
	concerto indimenticabile, rapido e indolore, ricco di emozioni e cambi
	musicali, tutti elementi che hanno confermato quanta sostanza e genialità
	ci sia dietro a quelle facce pulite, forse un po’ segnate dagli anni, ma
	familiari e sempre belle. Il biondino là davanti, quello per cui le
	trentenni di oggi ancora urlano a squarciagola, non si è risparmiato e dal
	primo minuto ha buttato fuori sudore e grinta a volontà, come se non ne
	avesse mai abbastanza. 
	L’apertura del live viene affidata a “Girls & boys” che scalda il pubblico
	insieme ai fiati della rockambolesca “Popscene”. Si prosegue con una
	scaletta forse più da greatest hits che da repertorio per intenditori.
	Tant’è, i Blur sono lì, sul palco, Albarn suda e bagna in continuazione
	pubblico e roadie sprecando decine di bottigliette d’acqua, balla e salta,
	cadendo anche, come fosse travolto dall’emozione della prima volta su un
	palco, e a volte, la sensazione che regala ai fan è davvero quella.
	“There’s no other way” (grazie di esistere Graham Coxon) viene eseguita da
	manuale, così come “Beetlebum” dove Dave Rowntree picchia talmente tanto
	sulle pelli che sembra che la batteria possa cadere a pezzi da un momento
	all’altro. Momento magico di raccoglimento su “Out of time” che prepara
	il pubblico ad una travolgente “Trimm Trabb”. Da qui in poi è tutto in
	discesa. “Coffee & TV” scorre via liscia, “Tender” regala un momento unico
	ed emozionante, con un coro finale da ricordare negli anni, mentre la
	raffinata “To the End” mi ha fatto addirittura sperare che da un momento
	all’altro sul palco potesse materializzarsi Francoise Hardy con cui Albarn
	registrò il duetto per una nuova versione del brano pubblicata nel 1995. La
	Dea francese non appare, ma la canzone rimane uno dei momenti più belli
	dell’intero concerto. Su “County house” ormai Damon non lo ferma più
	nessuno: con la camicia madida di sudore si lancia sulle prime file (quanta
	invidia…) e lì rimane per tutto il concerto, in piedi sulle transenne,
	tenuto su dalle decine di mani che lo toccano e lo sorreggono. Lui sembra
	divertito, e non c’è spirito migliore come quello dell’euforia, per tornare
	sul palco e attaccare “Parklife”. Inutile dire che oramai tutto il pubblico
	aspetta il gran finale, ma prima della famosa “Song 2” arrivano la corale
	“For Tomorrow” e un’intensa ed avvolgente versione di “The Universal”. Il
	pogo è dietro l’angolo, istintivamente mi dirigo verso l’uscita
	dell’Ippodromo, un po’ perché mi sento vecchia per sballottare in mezzo
	alla polvere, e un po’ perché voglio godermi dal fondo la folla che salta,
	canta, urla e alza le mani al cielo. “Song 2” dà il colpo di grazia al
	pubblico dei Blur che se ne va con il sorriso sulle labbra e la gioia negli
	occhi. Hanno suonato solo un’ora e mezza. Non hanno fatto le b-side che
	molti avrebbero voluto sentire. E chi se ne frega.
	
	(Daniela Calvi)
	
	
	SETLIST:
	Girls & Boys
	
	Popscene
	
	There’s No Other Way
	
	Beetlebum
	
	Out of Time
	
	Trimm Trabb
	
	Caramel
	
	Coffee & TV
	
	Tender
	
	To the End
	
	Country House
	
	Parklife
	
	End of a Century
	
	This Is a Low
	
	
	
	Bis
	
	
	
	Under the Westway
	
	For Tomorrow
	
	The Universal
	
	Song 2
