Fa uno strano effetto vedere che un roots rocker americano da noi poco conosciuto raccoglie a Milano più o meno tanti spettatori quanti ne ha raccolti il più familiare Richard Ashcroft. Eppure ieri sera, nell’ultimo dei tre concerti italiani di Steve Earle, il pubblico del Rolling Stone cantava le sue canzoni. Atmosfera calda, quindi, durante le due ore e un quarto di show. Insieme ai Dukes (David Steele alla chitarra, Kelley Looney al basso e Will Rigby alla batteria), il cantautore americano ha presentato il nuovo album “Transcendental blues” ma ha attinto anche dal repertorio di album precedenti come “Train a comin’” (“Goodbye”), “Guitar town” (“Someday”, “Fearless heart”), “Copperhead Road” (“Copperhead Road”, “The devil’s right hand”), “El corazòn” (“Taneytown”, “Telephone Road”, “N.Y.C.), “I feel alright” (My old friend the blues”, “Hardcore troubadour”). Un repertorio che attinge dal country, dal blues, dal rock’n’roll, dal folk americano e irlandese (dal Texas, Steve si è ora trasferito nella tranquilla cittadina irlandese di Galway). In formazione essenziale, il quartetto ha proposto comunque un concerto di stampo rock, con un Earle in forma smagliante, dimagrito e sereno, pronto a rendere omaggio a colleghi come Nirvana (con “Lithium”) e Bruce Springsteen (con “Open all night”).
Schede:
Tags: