
Tornano in Italia (per un’unica data all’Estragon di Bologna, venerdì 11 febbraio) i Band of Horses, neotradizionalisti americani baciati dal successo mainstream di "Infinite arms": terzo album in catalogo che, nelle parole del frontman Ben Bridwell, equivale praticamente a un debutto per la nuova formazione, un quintetto a cui sta stretta la definizione di band di accompagnamento. "Sì, è vero, siamo tutti felici e soddisfatti di avere potuto contribuire alla scrittura dei testi e delle musiche" conferma a Rockol il tastierisa Ryan Monroe, che nell’album affronta da voce solista il brano "Older" . "Però", riconosce, "Ben per noi resta sempre un leader, una fonte di ispirazione e di energia. Lo conosco da tanto tempo, siamo cresciuti insieme nella stessa città del Sud Carolina, Columbia. Lui poi si trasferì a Seattle, dove per qualche tempo ha vissuto anche Creighton (Barrett, il batterista del gruppo), ma da una decina d’anni è tornato da queste parti. Io, nel frattempo, avevo continuato a fare musica…così mi ha richiamato e abbiamo ristabilito un contatto. Da allora abbiamo ripreso a frequentarci assiduamente e ora sono nella sua band". Alla base della loro amicizia ci sono, ovviamente, anche gusti musicali comuni: "Ah, certo. A quattordici-quindici anni ascoltavamo i Black Crowes, gli Allman Brothers…molto rock sudista, le cose che ci piaceva suonare. Da quando l’ho incontrato di nuovo, Ben mi ha fatto conoscere una miriade di band di cui ignoravo l’esistenza. E’ un grande intenditore di musica, grazie a lui ho cominiciato ad apprezzare gente come i Pavement, uno dei suoi gruppi preferiti, ma anche i Built To Spill e un sacco di altre indie band". Anche l’estrazione dei Band of Horses, che pure oggi incidono per la Columbia (Sony Music) è indiscutibilmente indie: e "Infinite arms", a dispetto del grande successo, non è piaciuto a tutti i fan della prima ora. Monroe non sembra preoccuparsene: "Beh, ovviamente non vogliamo deludere nessuno, e devo dire che in tanti hanno continuato a seguirci dimostrando di apprezzare i nostri sforzi di fare qualcosa di nuovo. Ma sai com’è, più gente ti segue più è probabile scontentare qualcuno, no? Anch’io, da fan di certi gruppi, preferisco certi dischi ad altri. Però i miei artisti preferiti continuano a piacermi, e sono sempre interessato a quel che fanno. Spero sia lo stesso per chi segue i Band of Horses". A cosa si deve, però, il divorzio dall’etichetta che li ha lanciati, la Sub Pop di Seattle? "Il contratto prevedeva due dischi ed era scaduto. A quel punto Ben ha pensato che fosse arrivato il momento di voltare pagina e di esplorare nuovi territori. Di dare la possibilità al nuovo disco di raggiungere un pubblico più vasto grazie agli sforzi di marketing del team che ci è stato messo a disposizione. Siamo rimasti in buoni rapporti con la Sub Pop, ma volevamo vedere che cosa c’era oltre. Per ‘Infinite arms’ abbiamo potuto contare sull’aiuto di un sacco di persone, è stato un bel lavoro di squadra. Ma intanto abbiamo mantenuto la nostra indipendenza, il disco ce lo siamo pagato e registrato da soli prima ancora di avere firmato un nuovo contratto con un’altra casa discografica…Ci siamo presi tutto il tempo necessario, facendo esattamente quel che volevamo. Ci è costato molto e abbiamo dovuto fare molti concerti per autofinanziarci, ma speriamo di poter continuare così anche in futuro". Sul budget ha sicuramente inciso anche la decisione di registrare in giro per gli Stati Uniti, distribuendo le session tra Muscle Shoals (la patria del Southern Soul in Alabama) e le colline Hollywood, le Blue Ridge Mountains e il deserto del Mojave. "E molte canzoni sono nate in una capanna in Minnesota…Prima di registrare, abbiamo passato molto tempo on the road: le nostre esperienze di viaggio, credo, si sono infiltrate in qualche modo nella nostra musica, e siamo contenti di come sono venute le nuove canzoni. Ci piace suonarle dal vivo ogni sera". Cambiano aspetto, sul palco? "Alcune sì, diventano decisamente più dure e aggressive. Un po’ più rock’n’roll. Sono due animali diversi tra loro, il palco e lo studio. Dal vivo puoi espandere le canzoni, farle muovere in direzioni diverse". E accumulare esperienze: soprattutto se, com’è capitato in passato ai Band of Horses, hai come headliner gente come Pearl Jam, Neil Young o Willie Nelson. "Aprire i concerti dei Pearl Jam è stato un grande onore!", si entusiasma Ryan. "Come tutti, anche noi nei primi anni ’90 ascoltavamo i gruppi grunge. E salire sul palco con i PJ, sera dopo sera, è stata la realizzazione di un sogno. Abbiamo imparato un sacco, guardandoli in azione sul palco e frequentandoli nei backstage. Sono sulla breccia da vent’anni e noi speriamo un giorno di emularli: sono un modello di riferimento, sanno davvero il fatto loro! Con Neil Young abbiamo suonato la prima volta in occasione di uno dei suoi Bridge School Benefit: è un esempio da seguire, quello di organizzare spettacoli di beneficenza mettendo la propria musica al servizio di chi ne ha bisogno. Suonare a fianco di Willie Nelson, poi, è stato fantastico. Mai visto un musicista più rilassato di lui. Ogni suo show è completamente diverso dal precedente, ogni sera Willie canta e suona in maniera differente: così conserva una mente aperta e tiene viva la creatività. Si impara in fretta, se si ha la fortuna di frequentare grandi artisti": Con cui i Band of Horses oggi se la giocano quasi alla pari: frequentano ormai regolarmente vetrine televisive come lo show di David Letterman,
e "Infinite arms" si è guadagnato una nomination ai Grammy nella categoria "best alternative record of the year". "Un altro grande onore, un altro sogno che si avvera", commenta Ryan. "Ogni anno guardiamo lo show in tv, ogni volta su quel palco succede qualcosa di storico che vale la pena di ricordare. Ancora non ci crediamo, che ci saremo anche noi. Dovessi scegliere io, tra le band in lizza con noi? Mmm, credo che darei la mia preferenza ai Black Keys ". Sembra un buon periodo per l’alternative rock americano, con i Decemberists approdati poche settimane fa al numero uno delle classifiche di Billboard… "In effetti è un buon periodo, ci sono un sacco di ottime band che stanno riscuotendo l’attenzione che meritano. Siamo contenti anche del successo che stiamo riscuotendo in Europa. Cerchiamo di suonare dal vivo il più possibile, di andare ovunque ci chiamino. E non vediamo l’ora di tornare a suonare in Italia, manchiamo da troppo tempo…Ricordo il nostro concerto di Milano di qualche anno fa: un grande show, ricordo che ci diedero da mangiare seduti per terra, davanti al palco… ". E dopo il tour? "Ognuno di noi sta lavorando a un suo progetto solista, nel frattempo scriviamo canzoni per il prossimo disco dei Band Of Horses. Speriamo di metterci a lavorare in studio entro la fine dell’anno. La nostra vita è così. Musica, musica e ancora musica. Dalla mattina alla sera".