Ecco il resoconto della chiacchierata con Rockol, che verrà presto pubblicata anche nella versione video sul nostro canale streaming.
Partiamo dal titolo del disco. Perché “U.D.S.”, Uomo Della Strada?
Beh, diciamo che questa idea è nata da tutto quello che mi è capitato di vedere nei mesi scorsi: le grandi manifestazioni in occasione del G8, quelle che sono cominciate in Italia, dopo l’incontro organizzato a Firenze dai professori dell’Università, che invitavano tutti a partecipare per portare agli occhi dell’opinione pubblica il rischio che sta correndo la nostra democrazia. E poi ancora le manifestazioni di Roma, quando il grande Nanni Moretti ha detto ai politici che aveva accanto quello che molti pensavano.
Questo è il motivo per cui ho scelto questo titolo. Dalla strada, poi, si può sperare che nasca un movimento che ridia senso all’essere progressisti in Italia. Oggi sembra fuori moda, ma in realtà non lo sarà mai: bisogna sempre pensare al futuro, senza scordare il passato. C’è una frase del disco che dice “tutto passa e niente si dimentica”.
Ritieni “U.D.S.” un disco politico?
Ci tengo a dire che “U.D.S.” è un album che nasce innanzitutto dall’amore, inteso nel senso più globale possibile: per una persona, per l’amicizia, per il rispetto, per la libertà di espressione e per la democrazia. Questo amore è ciò che mi dà energia per fare musica. Trovo che la categoria “politico” sia limitante: la politica è una cosa piccola rispetto all’amore.
Cinque minuti di amore valgono di più di tutta la politica che si fa oggi in Italia. Non credo che valga la pena definire “U.D.S” come un disco politicizzato. Chiaramente ho le mie idee, ma non intendo essere fagocitato dal sistema politico.
Dal punto di vista musicale emergono due elementi: un ritorno alle chitarre elettriche e la presenza di coloriture elettroniche. Com’è nata l’idea sonora di questo disco?
L’idea sonora è nata da un’esigenza di grande semplicità. L’uomo della strada è il semplice, colui che ha idee piccole su grandi temi, ammesso che non si sia fatto condizionare dai mass media. Allo stesso modo, il suono di “U.D.S.” vuole essere semplice: l’abbiamo provato in studio per molto tempo con basso, chitarra e batteria, fino ad ottenere degli arrangiamenti che fossero diretti. Fino a quel punto le canzoni non sono state considerate pronte per la registrazione.
Grazie a queste basi così potenti ho potuto improvvisare con amici come Francesco Magnelli o Boosta, con i fiati di Roy Paci… Tutto questo per avere delle aperture e un uso delle tastiere diverso dal passato. Quando c’era Aiazzi nei Litfiba, e anche dopo, le usavo soprattutto per creare atmosfere; poi sono passato all’utilizzo dei groove. Nel mio primo disco solista “Né buoni né cattivi” ho iniziato ad intraprendere questa via, che credo di avere portato a compimento con questo nuovo album.
Nel disco compare la voce di Anggun. Com’è nata l’idea del duetto?
E’ stata suggerita dal tipo di canzone. “Amore immaginato”, in una forma diversa da questa, faceva parte delle session di composizione del disco precedente. La scartai perché non aveva uno sviluppo melodico soddisfacente. Quando sono riuscito a completarla, le mancava una voce femminile, ma particolare, non classica. Allora mi sono ricordato di un felicissimo incontro con Anggun al Festivalbar di qualche anno fa. Anche se il suo genere musicale è un po’ più femminile e leggero, ero convinto che la sua voce fosse grandissima. In studio di registrazione si è rivelato tutto vero, visto che abbiamo registrato il pezzo in poche ore. Ne esiste anche una versione in cui lei canta tutto il testo in italiano. Le ho fatto lezioni di dizione al volo.
Verrà mai pubblicata questa versione?
Non lo so, si vedrà…
Nel disco c’è una cover rock di “The girl from Ipanema”. Come mai hai deciso di rivoltare come un calzino questo classico della musica popolare?
Ho avuto dei commenti sconvolgenti dai miei amici brasiliani di Firenze, che mi hanno detto che avevo stravolto il loro inno nazionale. Mi ha fatto un grandissimo piacere: sono riuscito a dare credibilità alla mia versione di una canzone così importante.
L’idea è nata perché lo scorso inverno c’erano in giro per Firenze diverse feste brasiliane, nelle quali si suonava molto. Da lì, per tutta una serie di associazioni, è nata l’idea di prendere quella canzone e farla diventare quello che era stato “Pugni chiusi” per il disco precedente: la cover di un brano mitico riarrangiata, digerita e sputata fuori dal sottoscritto.
Hai mai pensato all’idea di fare un disco di cover?
Perché no? Ci sono tantissime canzone che amo, italiane, francesi, spagnole, inglesi, brasiliane. Ma fintanto che riuscirò ad avere idee originali, continuerò a insistere su quelle, magari scegliendo una cover per disco.
Un altro brano che spicca è “Pappagalli verdi”, in cui hai musicato un testo di Gino Strada…
Anche in questo caso l’idea è nata da una serie di episodi quasi casuali: ho fatto molte volte il testimonial per Emergency, in alcuni casi facendo delle letture di testi. Una volta ho letto “Pappagalli verdi” con la Bandabardò, sulla base di una loro musica. Il risultato è stato molto interessante. Lì per lì ho lasciato perdere l’idea; ma, mano a mano che si chiariva il progetto di “U.D.S.”, ho pensato potesse essere un contributo importante sia alla divulgazione del progetto di Emergency. Inoltre era un modo per far conoscere il problema delle mine antiuomo, soprattutto il tipo di assistenza quotidiana che esso richiede in paesi come l’Afghanistan o la Sierra Leone, dove le mutilazioni fatte dai ribelli hanno colpito intere generazioni che non potranno fare nulla se non con delle protesi.
Ora che è passato un po’ di tempo dalla separazione con i Litfiba, cosa ne pensi di quel periodo? Rimorsi, rimpianti?
Mah, penso quello che ho sempre detto: il progetto Litfiba mi ha coinvolto moltissimo per quasi 18 anni, è stato fondamentale per la mia formazione. E’ un peccato che sia finito così male. Credo che quando esistono delle storie così forti è da assassini rischiare di farle terminare davanti ai giudici come ho rischiato di fare io. Sono un pacifista convinto, ho preferito una soluzione pacifica, compromissoria, e non nessun rimpianto. Sto benissimo con il mio Supercombo.
(Gianni Sibilla)