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Il ritorno del gruppo nelle parole della cantante Mara Redeghieri...

Dopo tre anni di silenzio tornano a farsi sentire gli Ustmamò con un nuovo album “Tutto bene”, il sesto, realizzato nel nuovissimo Ust Recording Studio. “Tutto bene” è un piacevole disco pop-rock che mischia i temi sociali a dolci ballate sui sentimenti umani e che musicalmente vede ridurre drasticamente l’intervento tecnologico a favore di un sound prevalentemente costruito sulle chitarre. Ce ne parla con la consueta disponibilità e dolcezza, ma anche con una buona dose di esilarante autoironia, la cantante Mara Redeghieri, ormai perennemente rintanata nel quartier generale della band emiliana.
“Il disco è uscito il 30 marzo però siamo ancora in fase di promozione – ci spiega Mara -, dobbiamo ancora girare il video del primo singolo “Nell’aria”. Lo faremo la prossima settimana a Roma. Il brano è comunque già in rotazione sulle radio e le cose si stanno movendo”.


Era però già uscito “Bank of fuck off”…
“Bank of fuck off” era uscito come regalo di Natale scaricabile da Internet ed era un assaggio per i nostri fedelissimi, ovvero quello zoccolo duro che ci sostiene da tanti anni costituito da quelle persone che ai nostri concerti chiedono a gran voce “Voglio 100 pecore” (ride). E’ stato un regalo per loro ma anche una conferma per noi, che non è vero siamo così cambiati, così modaioli come qualcuno ha affermato. Non accettiamo questo tipo di critica perché a noi sembra di essere rimasti sempre fedeli alla nostra “famiglia” e ai nostri canoni, ma non possiamo rifare sempre lo stesso disco; le cose in 10 anni cambiano, come i nostri gusti e i nostri ascolti. E’ chiaro che il pubblico vuole delle conferme e noi siamo in grado di dargliele: le nostre facce non sono per niente cambiate!

Non è cambiato nulla nemmeno nei tre anni che sono passati dal precedente album “Stard’Ust”?
Quello che è cambiato riguarda scelte di gusto e scelte personali. Per esempio nel nuovo album non c’è musica elettronica e questa è stata una decisione presa a tavolino. Abbiamo per il momento fermato il nostro percorso dentro a questa dimensione musicale e ci siamo tolti la voglia di suonare tutte le chitarre del mondo. Sul palco, nel nuovo tour, vedrete infatti tre chitarristi. Ci sarà poi un nuovo bassista, che è Marco, il fratello di Luca Rossi, che invece suona la chitarra insieme ad Alessio e a Simone. Quindi preparatevi al concerto più ‘chitarroso’ che abbiamo mai offerto.

L’uso delle chitarre che avete fatto in questo album è particolare.
Io devo dire che personalmente la chitarra, soprattutto quella elettrica, come strumento non la reggo proprio! (risata generica) Però quelle degli Ust mi piacciono. Ho grossi problemi ad ascoltare gente come i Sonic Youth o altri gruppi che scelgono solo chitarre elettriche e suoni distorti. Trovo che invece quelli degli Ust siano dei chitarristi di gran gusto, raffinati. Sanno scegliere le atmosfere giuste, sanno quando cominciare e quando fermarsi, sono poco retorici.

Ecco perché sia nelle cavalcate elettriche che negli accompagnamenti acustici sono così contenuti, mai invadenti: hanno paura di te!
No, sono dei veri gentlemen della chitarra e io li ho scelti per questo. Sai, più vado avanti con gli anni e più odio la musica fracassona. Anche i concerti con volumi alti mi danno fastidio, così come le distorsioni che friggono tutte le nostre cellule celebrali. Quest’anno ho addirittura cominciato ad ascoltare Radiotre Rai, che non avevo mai seguito. Sai, alla mia età prediligo la quiete...

Ti rendi conto che quando le nostre mamme ci facevano questi discorsi le mandavamo a quel paese?
Già, e quest’anno mi trovo spudoratamente identica a mia madre in questo! Però dal vivo proponiamo un concerto per vecchi fans. Abbiamo rispolverato alcuni brani del secondo album come “Lepre”, “Tannomai” o “Ribelli” che continua ad essere un nostro cavallo di battaglia. Comunque nel concerto le due atmosfere che si rincorrono sono quella ariosa felice e un po’ ironica, e quella del rock più tradizionale. Anche in concerto abbiamo eliminato quasi del tutto l’impianto elettronico, ma ciò non significa che il nostro prossimo album non sia di matrice elettronica e privo di chitarre elettriche!

Ora avete un tour nei locali. Il fatto che abbiate scelto di esibirvi nella dimensione dei club è legato a quel senso di intimità che emerge dall’ascolto del disco?
Sì, abbiamo scelto posti piccoli perché in quelli grandi ci siamo sempre persi. Ci troviamo più a nostro agio in una dimensione raccolta che nei palasport, che troviamo dispersivi. Noi siamo un gruppo che riceve sempre gente al termine dei concerti e quindi vediamo il nostro spettacolo più vicino a un salotto che a un classico concerto. Inoltre, dopo tre anni di silenzio abbiamo anche noi bisogno di vedere come stiamo sul palco e non ti nascondo che sono anche piuttosto ansiosa, emotivamente carica.

Quando ci siamo sentiti un paio di mesi fa in occasione dell’uscita di “Bank of fuck off”, tu dicevi che una parte degli Ustmamò deve essere così, un po’ aggressiva, per controbilanciare la parte femminile del gruppo da te rappresentata e magari troppo romantica. In “Tutto bene” mi sembra che siate riusciti a trovare il punto di incontro fra la parte più “maschile” e quella più “femminile”, tra lo “yin” e lo “yang” degli Ustmamò.
Mi piace molto questa dimensione di equilibrio. Vorrei che le femmine e i maschi non combattessero mai e invece è una guerra sempre aperta. Diciamo che quando le due parti si compensano si raggiungono i livelli ottimali della vita; il modo per stare bene è venirsi incontro e non fare valere sempre solo le differenze. Ma per fortuna non è sempre così e io credo che gli Ust sopportino con molta benevolenza la mia parte femminile e penso che ne abbiano un anche loro, che somiglia molto alla mia. Non li avrei mai frequentati se non avessero anche loro la loro fetta di femmina che mi corrisponde e comunque ci si compensa a vicenda.

Paradossalmente vi siete allontanati dalla parte più “tradizionale” dei precedenti dischi.
Beh, i primi due dischi ne sono pieni perché nei lavori di partenza il patrimonio a cui si fa riferimento è più vicino alla tua terra rispetto a quello che viene dopo. Le cose che hai da dire nascono prevalentemente dal tuo orto e se ben ricordi nei primi due album noi eravamo veramente molto “innocenti”. Del resto, i luoghi che fino ad allora avevamo frequentato erano pochi e piuttosto stretti. Poi, negli anni seguenti, frequentando il mondo della musica e sperimentando le nostre esigenze, ci siamo un po’ allontanati dalla nostra parte più tradizionale. Proprio perché adesso preferiamo pescare nel nuovo, nella musica più europea che nostrana.

Credo sia un’evoluzione naturale.
Certo, e non lo dico nemmeno con dispiacere, perché è un percorso che si intraprende e che, per quanto ci riguarda, non ci ha mai portati a perdere l’affetto per la nostra terra, per i luoghi dove siamo nati e cresciuti. Anzi, proprio in questo periodo Luca e Simone stanno registrando nel nostro studio “Il maggio”, che è una delle canzoni popolari più antiche che appartengono alle nostre terre, sia all’appennino Toscano che a quello Emiliano, e faranno una produzione con il Comune di Villaminosso (RE) registrando alcuni vecchietti che cantano queste canzoni meravigliose narrando le gesta di Orlando e altre storie popolari. Noi non abbiamo mai disconosciuto le nostre radici, però o si decide di dedicare un album a queste, oppure si fanno delle cose ormai decisamente diverse.

Credo che “Tutto bene” sia un titolo dal doppio senso: ironico per quanto riguarda la parte politica, di protesta sociale, e reale nella sua parte più intima, quella legata ai sentimenti personali.
Questo è un altro spunto corretto. Sai, dall’interno di un disco io vedo il 20% di quello che succede e di quello che io stessa ci ho messo. Per cui mi fa piacere quando qualcuno mi fa vedere il rimanente 80, che c’è. Quindi prendo nota di quello che hai detto (ride). Diciamo che l’unico brano in cui io sono veramente arrabbiata (anche con me stessa) è “Bum”, dove alla fine canto “Quando a me va tutto bene dico che va tutto bene” ed è lì che si spiega il titolo dal punto di vista politico: tutto bene un cavolo! Guardiamo pure nel nostro squallido privato: quando abbiamo l’antenna parabolica, il computer e il prosciutto nel piatto, chiaramente va tutto bene. Ma appena mettiamo un piede fuori ci crolla tutto addosso ed è colpa nostra, non solo del nostro governo! Noi pensiamo solo ad arricchirci e non vediamo la sofferenza e l’indigenza in cui versano molte persone, e ci fa solo male continuare a chiudere gli occhi. Il giorno in cui capiremo che non possiamo guardare solamente dentro la nostra scatola sarà un giorno meraviglioso.

Se da una parte avete abbandonato l’uso del dialetto, in “Sempreverdi” avete recuperato l’uso della lingua inglese. Questo è stato un recupero dell’ultima ora perché “Sempreverdi”è stato il testo che più mi ha fatto tribolare: l’ho riscritto un sacco di volte, tante da potercene fare un libro! Nessuno dei testi che avevo scritto in italiano si è mostrato compatibile col pezzo in questione; le uniche frasi che mi venivano sciolte e leggere sulla musica erano in inglese, con un ritornello che stava in piedi benissimo. Quindi non è stata una scelta immediata, ma uscita alla distanza in funzione di una musica in cui trovo un respiro internazionale e un’atmosfera un po’ “beckiana”, nel senso che porta alla mente certe ambientazioni rock un po’ surreali che Beck ha creato per primo.

Vi siete costruiti un vostro studio di registrazione e quindi ora siete praticamente autonomi, almeno per quanto riguarda la parte artistica. Questa era per voi una necessità?
Lo è stata perchè noi continuiamo a volerci muovere meno possibile dalla nostra terra, il che rappresenta il nostro danno e la nostra fortuna. Per noi stava diventando sempre più difficile costruire i dischi in un posto lontano da dove viviamo perché tutti noi quando finiamo di suonare vogliamo andare nelle nostre case, stare vicini al nostro mondo e alle nostre famiglie. In questo l’Ust Recording Studio è stato il coronamento del nostro sogno, soprattutto di Luca e Simone, gli artefici di questo progetto che vorrebbero portare avanti anche con delle produzioni e registrazioni per altri gruppi. Anche U.R.S. vorrebbe quindi diventare una piccola isola in cui realizzare dei lavori che non riguardino solamente la nostra formazione. Questo anche alla luce della fine del progetto I Dischi Del Mulo, che ha rappresentato una fetta della nostra storia.



(Diego Ancordi)

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