Mina, “regina dell’indie” prima dell’indie

Il 21 aprile esce “Ti amo come un pazzo”, nuovo album di inediti di Mina: il primo da “Mina-Fossati” del 2019 e il primo da sola in 5 anni, da “Maeba”. Ogni pubblicazione della cantante è anche e soprattutto una particolare e spesso inedita operazione discografica e industriale: non solo per il duetto con Blanco (Mina ha spesso lavorato con artisti da lei apparentemente lontani), ma per il modo in cui l’album viene pensato e realizzato.
“Mina ha saputo trovare una chiave per rimanere coerente alla sua identità artistica ma anche per parlare alla gente. Lei fa il contrario degli altri, eppure riesce a incontrare il gusto di un pubblico che cambia, che non l’hai mai vista in TV, tantomeno dal vivo”, spiega Massimiliano Pani: da decenni è il suo manager e il suo produttore artistico, e da lui ci siamo fatti spiegare il processo che porta ad un album di questo genere. A partire dalla scelta di tornare ad essere indipendenti: la PDU, l’etichetta fondata a fine anni ’60 per tutelare la libertà della cantante, pubblica il disco senza il supporto di una major. “Mina è la regina dell’indie”, sorride Pani “Riesce ad essere sia di settore che di larga popolarità”.
Partiamo dal duetto tra Mina e Blanco: come è nato?
È lui che ci ha mandato questo pezzo. Mina parte sempre da lì, dalle canzoni: questa ci sembrava forte e siamo andati avanti.
È bella questa cosa: un artista nato nel 2003 cerca Mina perché è fuori dal tempo e trasversale alle generazioni. Parliamo di un’artista che ha fatto l’ultimo concerto nel ’78 e l’ultima apparizione tv nel ’76, che non fa promozione, eppure riesce ad essere contemporanea e d’interesse per giovani artisti.
Oltre a Blanco, che è il più talentuoso, abbiamo avuto richieste da quasi tutti gli altri.
Non è elegante chiedere quali artisti hanno chiesto di duettare con lei senza che poi la cosa sia andata in porto…
Lei parte dal pezzo e non dall’operazione di business: nella sua carriera ha fatto duetti sorprendenti perché le piaceva la proposta. È questo il caso: il pezzo è forte, lui è forte. La proposta è arrivata in extremis, noi avevamo già chiuso il disco: un progetto particolare, il primo di inediti dopo Mina-Fossati. Il brano esce sia sul disco di Blanco che sul nostro: una cosa voluta perché usciamo entrambi con un disco nuovo e sarebbe stato un peccato non inserirla in tutti e due.
Sul sito della PDU c’è un form che permette a chiunque di sottoporvi un brano. Come avviene la scelta delle canzoni per un album di Mina?
Ne riceviamo 5000 all’anno, ed è una cosa unica, perché nessun altro artista le ascolta tutte. Quando le ricevevamo su CD, o prima ancora su cassetta, era un lavoro che mia madre faceva piano piano, tutti i giorni: pescava un disco alla volta da questi grandi cestoni dove li tenevamo, oggi è ovviamente più facile.
Ma in questo modo abbiamo scoperto anche autori non conosciuti: lavoriamo con tutti, firme famose ma anche aprendo la porta a chi non lo fa di mestiere ma scrive bene. Questo è il suo modo di costruirsi la discografia: si è concentrata sulle canzoni, dopo avere lasciato i concerti e la tv.
Alla fine un cantante è i suoi pezzi.
Cosa guida la scelta? Le canzoni o la forma del progetto discografico?
Le due strade che Mina ha percorso sono i dischi di inediti e quelli di cover. L’idea di progetto nasce quando lei decide di affrontare, per esempio, gli standard jazz, il melodramma, il bossanova. Lì si sa qual è l’ambito in cui ci si muove: poi lei decide arrangiamenti, stesure e così via.
Quando si progetta un album di canzoni inedite si lavora nel tempo, è una selezione che viene fatta tutto l’anno, non in due settimane. Un po’ alla volta si fa una prima scrematura, si arriva ad una trentina di pezzi per poi registrarne circa 15. Nel disco poi ne finiscono più o meno 12. Alcuni vengono poi ripescati per i progetti successivi: ma in queste caso sono le canzoni che dettano il progetto.
Questo è anche il primo album da molto tempo in cui Mina e PDU non si appoggiano ad una major, ma fanno tutto da indipendenti. Come mai questa scelta?
È cambiato tutto: nel 2022 abbiamo lanciato un e-commerce dedicato, facendo un prodotto da collezionisti con attenzione alla qualità audio, per un pubblico di audiofili e per il pubblico di Mina. Siccome questo è un disco inedito, lo distribuiamo anche tradizionalmente, attraverso Discoteca Laziale - che oggi è rimasto l’ultimo distributore indipendente e che già lavora con Universal e Warner. Il disco non è su Amazon perché ti obbliga ad avere un prezzo che non è coerente con il prodotto di qualità che vogliamo.
Nel caso dell’ultimo album di Francesco Guccini si è scelto di optare solo per il formato fisico, senza streaming. Avete valutato questa opzione?
L’album esce in digitale sulle piattaforme, distribuito da Pirames International con cui PDU ha siglato un accordo: con loro cercheremo di lavorare sul catalogo di Mina anche all’estero.
Faremo ancore delle pubblicazioni solo in vinile, ma saranno cose più di nicchia: essendo un disco di inediti, bello, a cui teniamo, non ci sembrava giusto limitarlo agli audiofili o agli appassionati di vinile.
La PDU è nata ormai più di 50 anni fa, nel ’67: una casa discografica indipendente, per tutelare Mina. Mina era indie prima degli altri?
Mina è Mina non perché canta bene, ma perché ha una testa “avanti”: aveva capito che per difendere la sua identità artistica doveva avere la sua etichetta e il suo studio di registrazione, per portare a termine i progetti che voleva. Una casa discografica vuole che tu faccia sempre la stessa cosa, quando hai successo. Un artista vuole avere la sua autonomia: lei ha fatto da apripista. Da un certo punto in poi, artisti che si sono liberati dai contratti hanno aperto la loro etichetta, per realizzare i progetti che volevano. È stata sicuramente una delle cose che lei ha capito prima degli altri,
In quel periodo ha scelto di non avere più un’immagine, almeno non direttamente.
Ha capito che la TV stava cambiando, era molto meno live e sempre meno uno spettacolo drammaturgicamente teatrale. Così si è concentrata sulla discografia. Ha deciso di giocare con la sua immagine: in quel periodo la sua faccia era dappertutto, e lei ha cominciato a distruggerla, creando un’altra Mina, fuori dal tempo, senza età. Tutto ciò 20 o 30 anni prima di Madonna e Lady Gaga
La sua ultima apparizione è del 2001: fu un video girato per un brand, Wind.
Però non era TV: venne messo sul web e ci fu l’idea di un’operazione multicast, con un contenuto che non era uno show, ma una fiction, portando la gente in studio e facendo vedere il nostro modo di lavorare.
A Sanremo, qualche anno fa, Mina apparve sotto forma di avatar, sempre per una compagnia telefonica. Come scegliete le partnership con i brand?
In quel caso piacque l’idea di cantare un pezzo da DJ, quello di Parov Stelar. Fu interessante il fatto che una compagnia telefonica, che aveva come target i ragazzi, scelse Mina e non facendole fare Mina, ma un brano contemporaneo. Queste sono le cose che la stimolano e la divertono: fu un’idea vincente perché Mina fece da collante tra genitori e figli.
Un altro ambito dove Mina è molto presente sono le sincronizzazioni, soprattutto nelle serie TV straniere e nei film: “The White Lotus”, “Master of None”, “Daisy Jones & The Six”, “Spiderman”, “Luca”…
C’è una canzone anche nel prossimo film di Almodovar, che ne inserisce sempre una di Mina nei suoi film. Le richieste arrivano dall’estero, senza fare nulla per sollecitarle, in particolare dalle nazioni latine e da un certo mondo degli Stati Uniti: Mina è un nome simbolo dell’italianità.
È presente anche in serie Italiane: “Le fate ignoranti” di Ozpetek per Disney+ o “Bang Bang Baby” di Prime Video. Sono aumentate le richieste per avere le sue canzoni?
In generale, le serie hanno aumentato la quantità di musica richiesta, perché sono aumentate le produzioni: ci sono le richieste per canzoni che danno ambientazione cronologica, o quelle dove serve una canzone per sottolineare un momento. Non abbiamo nessuno che si occupa di sollecitare le richieste: arrivano da sole.
L’anno scorso PDU ha lanciato un progetto per collezionisti: vinili e nastri da un lato e opere inedite in NFT dall’altro. Si può fare un primo bilancio?
Era necessario fare questa operazione: l’idea era di mettere in un unico luogo, anche virtuale, tutta la discografia di Mina e poter realizzare in alta qualità le novità. L’NFT è la frontiera del collezionismo, è il vero prodotto che ti permette di fare degli esperimenti. Ha avuto una bolla iniziale legata alla finanza, ma tornerà ad interessare i collezionisti per il suo aspetto di arte visiva e musica. Il progetto va avanti: abbiamo avuto una bella risposta dai fan di Mina, che hanno trovato un luogo di aggregazione.
Pensate di espandere queste esperienze di PDU lavorando con altri artisti?
Abbiamo lavorato con Ivano Fossati, che voleva che i suoi dischi fossero reperibili in vinile di qualità. Apriremo anche una piccola costola della PDU per nuove produzioni: dischi di jazz, ma anche di artisti pop nuovi e giovani; ricevendo così tanto materiale abbiamo trovato dei talenti nei quali crediamo e che vorremmo aiutare.