Cinque anni fa eravamo rimasti sorpresi e totalmente ammaliati dalle suadenti e sensuali tracce contenute in “Woman”, l'esordio dei Rhye che metteva insieme suoni anni '80 (primi Everything but the Girl e Sade), atmosfere eleganti à la 10cc, dream pop e easy listening soul. Dietro ai Rhye c'erano il danese Rob Hannibal e il canadese Mike Milosh, vero leader del progetto nonché portatore della caratteristica voce soffice sensuale (e femminile), motivo principale dell'interesse che si era creato intorno al gruppo.
In questi cinque anni vi è stato un lungo tour e, soprattutto, l'allontanamento di Hannibal per divergenze artistiche. Questo nuovo “Blood” è di fatto un disco di Milosh e, pur mantenendo una continuità con i suoni del precedente, ha delle sue peculiarità specifiche: innanzitutto è più dark, minimale (in alcuni pezzi ricorda anche The XX) e decisamente più ritmato (“Taste”, “Feel Your Weight, “Count to five”). I testi alternano lussuria (“I'm coming fast, oh my God, oh my God” in “Phoenix”) e abbandono (l'iniziale bellissima “Waste”).
Se il precedente rimandava agli anni '80, qui la batteria, la tastiera e gli archi ricordano più i '70 di Al Green (“Please”). C'è sopratutto una cura nella scrittura e nei robusti arrangiamenti (le finali “Softly” e “Sinful” su tutte) che distolgono l'attenzione sulla voce androgina di Milosh che è sempre perfetta, al contempo fredda e sensuale, per concentrarsi sulle canzoni. Qualcuno muoverà la critica sull'eccessiva somiglianza tra tutte le canzoni, ma forse non è questo il punto: l'ascolto dell'intero disco come un unico flusso sonoro, magari con cuffie e occhi chiusi, ti può portare in territori sconosciuti.
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