«AROMANTICISM
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Moses Sumney»
la recensione di Rockol
Il sublime canto della solitudine di Moses Sumney
L'esordio di un 27enne cantante del Ghana trapiantato a Los Angeles. Un disco molto intimo tra elettronica e strumenti acustici, soul e neo folk. Sicuramente uno dei dischi più belli del 2017
Iniziamo col dire che Aromanticism è, per chi scrive, il disco più interessante di questo 2017 in via di conclusione. Innanzitutto perché è un esordio, anche se chi segue la ricca scena r&b degli ultimi anni avrà già avuto modo di ascoltare Moses Sumney in alcune featuring (The Cinematic Orchestra, Flume, Solange, Chance The Rapper) e pure di vedere qualche sua eccellente esibizione live su YouTube (tra l'altro il prossimo 23 novembre si esibirà a Milano al Linecheck Festival durante la Milano Music Week).
Poi perché questo disco non rientra dentro nessuna etichetta o categoria di genere musicale ben codificabile: c'è il soul e l'r&b ma anche il cantautorato neo-folk, c'è tanta l'elettronica ma anche una forte impronta acustica, e poi suite psycho-jazz, Africa, flauti e archi.
C'è poi la voce di Sumney, eterea e astratta, tra Jimmy Scott e il falsetto di Thom Yorke, capace di interpretazioni struggenti e intime.
Ma sopratutto c'è un'atmosfera e un concept che permea tutto il disco, a partire dalla copertina che si ispira a un passaggio del “Simposio” di Platone in cui si raccontano le origini dell'amore, quando - secondo la mitologia greca - Zeus tagliò in due gli uomini, lasciando la testa rivolta verso l'interno per far contemplare in eterno il vuoto lasciato dalla metà mancante del proprio corpo, facendoli rimanere dannati in eterno, costretti a sentirsi incompleti almeno fino al ritrovamento dell'altra metà. E quel corpo fluttuante a mezz'aria della cover è la perfetta metafora sia di uno stato d'animo di solitudine e della mancanza di un amore (“All my old lovers have found others” canta Moses in “Indulge me”), dall'altro lo stato dell'ascoltore sempre sospeso tra l'estasi e la riflessione.
E' difficile isolare dal mucchio qualche canzone: sono 35 minuti al tempo stesso fluidi e densissimi: si passa dal puro soul di “Plastic” a quello che sembra un vero e proprio omaggio al primo Bon Iver (“Indulge me”), da “Lonely World” vero e proprio manifesto del mondo sonoro di Moses fino a quel capolavoro che è “Quarrel” che parte piano e poi si snoda in una lunga coda di jazz futuristico impreziosito dal basso di Thundercat e dalle tastiere di Paris Strother delle King.
Si sente molto l'approccio sonoro degli ultimi Radiohead, ma forse il disco che più si avvicina a questo “Aromanticism” è l'altro esordio felice 2017 di Sampha, non a caso premiato pochi mesi fa con un Mercury Prize. Non c'è molto altro da dire ma, come diceva qualcuno, basta sedersi ed ascoltare.
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