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«MORE - Pulp» la recensione di Rockol

Afferrare la vita per il bavero, con i Pulp

"More", il nuovo album della band guidata da Jarvis Cocker, profuma di nuovo

Recensione del 05 giu 2025 a cura di Simöne Gall

Voto 8/10

La recensione

La notizia del ritorno discografico dei Pulp aveva creato un certo stupore euforico fra i numerosi fan della band di Sheffield, ma forse nemmeno il leader massimo Jarvis Cocker poteva prevedere che sarebbe avvenuto a una distanza di ben due decenni e mezzo dal precedente 'We Love Life', album uscito ormai nel lontanissimo ottobre 2001.
Nell'anno in cui a cadere è anche il trentennale di 'Different Class', il ritorno dei Pulp dev'essere visto come una necessità ancora più impellente in un'asfittica scena che da tempo immemore ha smesso di raccogliere l'eredità di un certo tipo di pop pregiato e di classe made in UK: non solo quello dei Suede e simili, però, ma anche quello afferente a formazioni più singolari e originali come i mai dimenticati Mansun (da procurarsi - un consiglio spassionato - i loro primi tre album).

Un comeback tanto azzeccato quanto sensato

Dal comunicato della Rough Trade, la label con cui la cricca di Cocker ha stretto oggi un nuovo contratto, apprendiamo come in quest'ultimo lustro il cantante si fosse trovato nell'inaspettata posizione di dover scrivere canzoni che affrontassero espressamente il tema delle "emozioni". Così, prima di partire per l'iniziale tappa nordamericana del più recente tour di reunion dei Pulp, Cocker ha voluto riunire i compagni Mark Webber, Nick Banks e Candida Doyle per inseguire il proposito di mettersi all'opera su un album di inediti, potendo altresì contare sui touring member Andrew McKinney, Emma Smith, Adam Betts, Jason Buckle, più l'arrangiatore d'archi Richard Jones. Il risultato di tutto questo si chiama 'More', un lavoro che è prima di tutto un tributo all'amico Steve Mackey, bassista storico del gruppo scomparso nel 2023.

Un primo, emozionante ascolto di 'More'

Registrato e mixato presso l'Orbb Studio di Walthamstow E17, e prodotto quindi da James Ford (Arctic Monkeys, The Last Dinner Party, Fontaines DC), 'More' narra nel complesso di desideri, derive relazionali, ansie genitoriali, attraversando al contempo un senso di appartenenza a luoghi e persone. Le undici tracce sono bizzarramente presentate come permeate "dal ronzio dei frigoriferi e dal profumo dei biscotti digestive, ma anche dai piedi nudi sul muschio e dalla luce del sole pomeridiano che cade sui capelli".

Canzoni che, forse più di tutto, si prefigurano come un invito ad afferrare saldamente la vita per il bavero.

Sul versante prettamente uditivo, però, 'More' potrebbe essere riassunto in un'unica frase emblematica: "Expect the unexpected". Di ciò se ne ha contezza a partire dal mood stranamente positivo dell'introduttiva "Spike Island", piccolo gioiello indie pop di cui Cocker si serve per riflettere sull'essere scampato a un declino personale che cominciava a essere troppo precipitoso. "L'universo ha scrollato le spalle / ha scrollato le spalle ed è andato avanti" intona qui, ponderatamente trionfante. Già uscita come primo singolo su vinile (accompagnata da un estroso videoclip che premia palesemente l'intelligenza umana a scapito di quella artificiale), "Spike Island" si staglia sopra un terreno ritmico che rimanda a "Don't Stop 'Til You Get Enough" di Michael Jackson, denudando uno stile insolitamente energico e fresco, avvolgente e piacevole, quantunque distante dai Pulp più classici di 'Different Class' o di 'This Is Hardcore'. Nella seconda "Tina", Jarvis sussurra come un tempo, con la musica a incunearsi tra spazi e intermezzi che lanciano uno sguardo sia al Nick Cave più ispirato, sia all'universo rétro dello Scott Walker dei primi dischi (il compianto Walker aveva già prodotto, del resto, il già citato 'We Love Life'). Nemmeno qui vi è spazio per il più classico Pulp-style, sebbene "Tina" abbia tutte le carte in regola per lasciarci ugualmente appagati. La successiva "Grown Ups" guarda alla facile orecchiabilità di quell'indie anni Duemila oggi forse un po' démodé, ma la batteria di Nick Banks è animata e brillante e il pezzo scivola via agevolmente come soffi nell'etere. La quarta "Slow Jam" affonda i toni in un grado di intimità più profonda, mettendosi in sesto grazie a una tesa linea di basso quasi slappato. L'oculatezza della quinta "Farmers Market" si diffonde dolcemente configurandosi come uno fra i momenti maggiormente toccanti e ispirati di 'More', laddove nella più languida "My Sex", sorretta da un altro potente giro di basso, l'oggi sessantunenne Cocker parla dell'atto primordiale a lui direttamente riferito accostandolo a "un'esperienza extracorporea". Il naturale prosieguo di "My Sex" ha per titolo "Got To Have Love", un pop colorato dalle tinte funk che Rough Trade ci tiene a segnalare espressamente come "focus track" di 'More'. Nel testo, Jarvis suggerisce quale possa essere l'unica azione al mondo che valga la pena di essere osservata: quella di amare, nel senso più sentimentale del termine. "Background Noise", diversamente, parte come "Just Like Honey" dei Jesus And Mary Chain, per poi assumere in fretta i contorni di una semiballata che circoscrive il Phil Spector di "Be My Baby". L'ispirazione va ampliandosi mediante "Partial Eclipse", con una splendida esecuzione di violino che aderisce perfettamente alle metriche bizzarre di Cocker: "In piedi con le mani sui tuoi fianchi / Mi stai regalando un'eclissi parziale / Del resto tutta la creazione è iniziata in questo modo". "Partial Eclipse" va quindi spegnendosi lentamente, lungo un tratto universale immaginifico, ancora vellutato, ancora meraviglioso.

Un finale che sarebbe di per sé perfetto per concludere 'More', malgrado nell'album trovino ulteriormente spazio altre due canzoni che completano un lavoro nel complesso non immediato, ma estremamente stratificato e ricco di essenza: "Hymn Of The North" e "A Sunset". La prima, diversamente dalla seconda, che è un patchwork di melodie vetuste in collaborazione con Richard Hawley, si pone come un colloquio serrato tra pianoforte e voce ma che poi, a partire dal terzo minuto, si trasforma in una splendida mini-sinfonia (stavolta non "spectoriana", bensì puramente "pulpiana") la cui duttilità sonora suggerisce di chiudere gli occhi e ascendere fino alle stelle. Se in definitiva abbia avuto senso aspettare tutti questi anni per poter ascoltare qualcosa di nuovo dai Pulp, la risposta non trova esitazioni: affermativo. "D'altra parte", ha dichiarato Cocker, "chi vuole rimanere creativo, deve sapersi riservare il tempo di crescere".

Tracklist

01. Spike Island (04:42)
02. Tina (03:32)
03. Grown Ups (05:56)
04. Slow Jam (05:06)
05. Farmers Market (04:30)
06. My Sex (04:25)
07. Got to Have Love (04:52)
08. Background Noise (03:41)
09. Partial Eclipse (04:38)
10. The Hymn of the North (05:40)
11. A Sunset (03:14)
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