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«DARK MATTER - Pearl Jam» la recensione di Rockol

"Dark matter", il ritratto dei Pearl Jam nel 2024

Come suona e cosa aspettarsi dalla band, oggi? La recensione

Recensione del 22 apr 2024 a cura di Gianni Sibilla

Voto 7.5/10

La recensione

La recensione breve: "Dark matter", è un gran bel disco dei Pearl Jam. Un bel suono, ottime canzoni.

Una recensione più ragionata è più complicata: i Pearl Jam sono una di quelle band su cui ogni appassionato di rock e ogni fan tende ad avere un'opinione molto netta. Da un lato è un bene: è una band che suscita grandi passioni. Da un lato queste passioni suscitano anche delusioni e contrasti, come se i Pearl Jam fossero (o dovessero ancora essere) quelli degli anni '90. I social network poi ci spingono a valutazioni ancora più nette, fatte molto velocemente.

Un paio di settimane fa ho scritto a caldo di "Dark Matter",  ascoltando la versione in anteprima che mi aveva fornito la casa discografica, volutamente limitandomi a raccontare cosa c'era nell'album e le mie prime prime impressioni. Poi ho smesso di ascoltare l'album, ho preso un po' di distacco dalle canzoni e ho atteso la versione pubblicata sulle piattaforme, di qualità sonora migliore, ascoltandola durante gli ultimi giorni per farmene un'idea se non più a freddo, almeno a tipeido. E sì, anche adesso, continuo a pensare che si tratti di un bel disco, che cerca di riportare i Pearl Jam ad un suono più vicino a quello di inizio carriera. Certo, inutile aspettarsi i fasti dei primi: sono un'altra band, in un'altra fase della carriera.

Credo che la prima domanda da farsi, prima di ragionare su "Dark matter", sia proprio cosa è lecito aspettarsi dai Pearl Jam nel 2024. È cambiato tutto rispetto alle loro origini: gli anni '90 erano il periodo del rock che dominava il mainstream, i Pearl Jam hanno sfornato 5 dischi uno più bello dell'altro (i miei preferiti rimangono "Vs.", l'essenza del loro suono, e "No code", quello più sperimentale - ma anche "Yield" non scherza), mostrando  il carisma e la voglia di non farsi ingabbiare dalle regole del sistema e dalle aspettative. Oggi sono una band che non ha più l'urgenza dei 20-30 anni, ma ha molta più esperienza, molto più mestiere. Hanno prodotto buoni dischi, alcuni notevoli altri meno, e lo hanno fatto spesso facendo passare lunghi periodo tra l'uno e l'altro - ma mantenendo sempre un livello di eccellenza dal vivo. L'ultimo, "Gigaton", rimane un buon disco, molto meglio dei predecessori "Backspacer" e "Lightining bolt".  Ma, con il senno di poi, è anche un esperimento riuscito a metà: un nuovo produttore - Josh Evans - un lavoro molto più individuale e di studio che da band.

La cosa che, mi pare, si senta bene in "Dark matter" è che i Pearl Jam sono tornati a fare la band anche in sala di registrazione, giocando sulla chimica (l'interplay tra gli strumenti, direbbero gli appassionati) e valorizzando i punti di forza collettivi, più che le individualità. Poi, certo, è sempre un disco non dal vivo ma prodotto in studio. ma le canzoni non sono frutto di idee dei singoli ma di un lavoro collettivo - tant'è che sono firmate pure dai membri aggiunti Josh Klinghoffer e Andrew Watt.

Il produttore è l'elefante nella stanza: un fan che ha chiesto alla band di suonare per i fan. Ha ripulito il suono, in maniera non lontana dal lavoro fatto con "Hackney Diamonds" per i Rolling Stones. Il risultato è che in molte canzoni di "Dark matter" ci sono assoli di Mike McCready che fa Mike McCready (per esempio "Scared Of Fear", "React, Respond", "Waiting for Stevie", "Dark matter"), ci sono le classiche aperture melodiche nei pezzi più veloci. Il rischio, quando si gioca con il classico "ritorno alle origini", è di fare una copia: invece "Dark matter" suona come una band che cerca e trova l'essenza del proprio suono. 

C'è una cosa che non mi fa impazzire del lavoro di Andrew Watt: il mix. La voce di Vedder è spesso indietro - soprattutto se ascoltate la versione in Dolby Atmos su alcune piattaforme; c'è poca dinamica, soprattutto nelle canzoni più veloci, che mi sembrano un po' compresse. Un po' mi spiace, ma ne capisco il motivo: è una scelta per esaltare il suono da band più che i singoli strumenti o per non rendere i Pearl Jam la band di Eddie Vedder. 

Poi ci sono le canzoni: non ci sono momenti di stanca, in "Dark matter". C'è qualche canzone forse un po' prevedibile ("Running", che suona un po' come "Lukin'" o "Spin the black circle") o "Something special", ma comunque piacevole. E soprattutto ci sono almeno 3 o 4 canzoni davvero notevoli, di quelle che resteranno nel repertorio: su tutte "Upper hand", che parte con un'intro alla U2 per trasformarsi in una ballata psichedelica alla Pink Floyd con un fantastico lavoro sulle chitarre. C'è "Wreckage", un misto tra R.E.M. e Tom Petty, un mid tempo perfetto, una categoria in cui Pearl Jam sono sempre stati dei maestri. In "Waiting for Stevie"  l'unica cosa che stona è il titolo (che richiama il momento di scrittura, in attesa per Stevie Wonder nel disco solista di Vedder, ma che non c'entra niente con il brano), ma il pezzo è notevole, com quel giro di chitarra che  ricorda "Fell on black days" dei Soundgarden e uno stupendo ritornello (“You can be loved by everyone/ and still not feel, not feel love"). "Got to give" ha un giro alla "Given to fly" e - pur senza arrivare a quei livelli - ha una gran melodia.

Insomma: i Pearl Jam nel 2024 sono una band  che ha scelto di puntare sulla riconoscibilità e che sa scrivere ottime canzoni. Poi, certo, dal vivo è un altro discorso. E, certo, ogni fan dei Pearl Jam ha una sua idea su cosa vorrebbe ascoltare dalla band.
Ma nel contesto di oggi, questo non è forse il miglior album dei Pearl Jam in assoluto ma probabilmente il migliore possibile in questa fase della loro carriera. Questo era probabilmente il senso della frase di Eddie Vedder tanto ripresa (e, credo, poco compresa).
Il vero rimpianto che fa venire "Dark matter", semmai, è di non poterlo sentire dal vivo in Italia.

Tracklist

01. Scared Of Fear (04:24)
02. React, Respond (03:30)
03. Wreckage (05:00)
04. Dark Matter (03:31)
05. Won't Tell (03:28)
06. Upper Hand (05:57)
07. Waiting For Stevie (05:41)
08. Running (02:19)
09. Something Special (04:05)
10. Got To Give (04:37)
11. Setting Sun (05:43)
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