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«CHROME DREAMS - Neil Young» la recensione di Rockol

I sogni del giovane Neil

Mezzo secolo dopo, Neil Young è finalmente pronto per "Chrome Dreams", l'album "perduto" del 1977

Recensione del 28 set 2023 a cura di Marco Di Milia

Voto 7/10

La recensione

Nella mitologia del rock gli album perduti di Neil Young possono vantare un posto d’eccezione. E di certo, “Chrome Dreams” ne è uno degli esponenti più celebri. Non solo perché del disco a suo tempo era stato realizzato perfino il master, ma anche e soprattutto per una larga diffusione per mezzo di bootleg non sempre fedeli all'originale, circolati tra i fan del rocker di Winnipeg. E come se non bastasse, a continuare a cavalcarne la leggenda è stato proprio il suo autore, con l’uscita, nel 2007, di una sorta di sequel spurio dal titolo di “Chrome Dreams II”.

Se lo dice Carole King...

Leggenda vuole che fu Carole King, all’epoca vicina di casa di Neil a Malibu, a dare un parere negativo sull’intero progetto. Per la cantautrice non sembrava nemmeno di avere a che fare con un vero album, ma con una serie di bozzetti appena delineati e un paio di tracce prive di una reale coesione. Un giudizio tanto lapidario che ne avrebbe causato la rapida chiusura in un qualche misterioso cassetto dal quale il disco sarebbe saltato fuori solo circa mezzo secolo più tardi. A 46 anni dalla sua ideazione, ecco quindi che il primo epico “Chrome Dreams” vede finalmente la sua pubblicazione, recuperato da quella miniera d’oro che sono gli archivi storici del musicista canadese naturalizzato statunitense. Nel mentre, la sua fama di “album perduto” ha continuato in qualche modo a circolare, al punto da essere indicato come uno dei migliori prodotti di Neil Young dai tempi di “Harvest” se fosse arrivato davvero nei negozi nel 1977, come inizialmente era stato programmato. Difficile affermare adesso se tanta enfasi corrisponda del tutto a verità, ma senza dubbi “Chrome Dreams” ha vissuto molte vite diverse, anche se mai in forma compiuta.

Sogni di motori e ballate

Concepito come una sorta di compilation per riassumere la febbrile attività del periodo ’74-’76, quando il ciclone Neil era in piena creatività tra mille progetti differenti, l’opera riunisce in un colpo solo le grandi passioni del cantautore. Ci sono infatti le Chrysler d'epoca - richiamate dalla copertina accreditata a Ronnie Wood - così come le cavalcate elettriche con i suoi Crazy Horse, i passaggi intimisti in solitaria, le ballate disadorne e le riflessioni sui mali del mondo. Tutto egregiamente sbilanciato tra dolcezza, fantasticheria e intensità. Eppure, ogni singolo tassello ha avuto la sua occasione per farsi apprezzare, sebbene in versioni non sempre identiche a quelle pensate per comparire in “Chrome Dreams”. Delle dodici tracce presenti, ben cinque sono finite in “American Stars 'n Bars”, quali "Hold back the tears”, “Star of Bethlehem”, una sempre solida “Like an Hurricane” in grado di scompaginare toni altrimenti sommessi e pure una notturna “Will to love”, in cui a un’accorata dichiarazione di risalita delle correnti per amore si accompagna la registrazione di un caminetto scoppiettante. Ancora, prive dalle diverse sovraincisioni effettuate per “Rust Never Sleeps”, compaiono in scaletta “Powderfinger” e la celeberrima “Pocahontas”, qui restituita nella sua forma originale degli Indigo Ranch Recording Studio di Malibu. Lo stesso brano, tuttavia, faceva già parte di “Hitchhiker”, altro album perduto che di quelle sessioni californiane era la diretta testimonianza, e poi, ancora, anche “Homegrown”, recuperata sempre nel già citato “American Stars 'n Bars” era a sua volta la title track di un disco del 1976 e uscito solamente nel 2020, secondo una scombinata logica di incastri praticamente impossibile da dipanare del tutto.

Una scommessa col destino

A differenza quindi di altri dischi mitici smarriti nel corso della sua lunga carriera, qui tra “Stringman”, “Sedan delivery” o “Captain Kennedy” non ci sono che versioni alternative, con strofe poi rielaborate e ulteriori levigature qua e là. Il fascino di questo “Chrome Dreams” resta però quasi immutato, perché ascoltato nella sua forma originale, così come era stato montato su nastro per una diffusione mai davvero avvenuta, invita a un viaggio verso una sliding door che avrebbe a sua volta portato a mille altri bivi. Accettando il consiglio di Carole King, le canzoni che ne facevano parte hanno finito per comporre altre tessere, spesso imprescindibili, di quell’intricato mosaico che è la leggenda di Neil Young. A posteriori risulterebbe una decisione neppure tanto complessa quella di accantonare un’idea un po’ pellegrina in favore di un’altra, ma a poco più di trent’anni decidere di voltare le spalle a un lavoro tanto cesellato non è che una vera e propria scommessa con la buona sorte. E ancora una volta il vecchio Neil Young ha saputo prendersi le sue ragioni.

Tracklist

01. Pocahontas (03:26)
02. Will to Love (07:10)
03. Star of Bethlehem (02:42)
04. Like a Hurricane (08:17)
05. Too Far Gone (02:42)
06. Hold Back the Tears (05:15)
07. Homegrown (02:22)
08. Captain Kennedy (02:51)
09. Stringman (03:31)
10. Sedan Delivery (05:21)
11. Powderfinger (03:22)
12. Look out for my Love (04:06)
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