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«AZIMUT - Perigeo» la recensione di Rockol

Perigeo, “Azimut”: l’incontro fra esperienze jazz e rock

Il primo album della band viene celebrato da “Italian Prog Rewind” di Sony Music

Recensione del 03 lug 2022 a cura di Elena Palmieri

La recensione

Da quel profondo cambiamento di stile e concetti introdotto da Miles Davis con la fusione di jazz e rock, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta tra alcuni artisti prese il sopravvento il desiderio di sperimentare e ampliare la propria tavolozza musicale per esplorare un genere completamente nuovo. L’influenza della rivoluzione jazz-rock, le cui caratteristiche distintive furono approfondite negli Stati Uniti prima di venir apprezzate in tutto il mondo, arrivò a colpire anche le trame del progressive. Gli orizzonti musicali e le pulsioni di quel rock definito “progressivo” o “sinfonico”, tra spunti classici e vigore, si aprirono quindi a componenti jazz che andarono a inserirsi nelle sue tendenze psichedeliche e pop. L’Italia musicale di quel periodo non rimase indifferente al ritmo e alla creatività di quei suoni dall’animo rivoluzionario, tanto da innescare un’esplosione di originalità con la nascita di nuove band. Un progetto fra gli altri, che mirò ad attualizzare e a radicare nel nostro Paese l’incontro fra esperienze jazz e rock riuscendo ad attirare il plauso di un pubblico appassionato e l’invito a importanti festival nazionali prima di mettere a segno molti concerti anche all’estero, nacque a Roma all’inizio degli anni Settanta. Il gruppo, battezzato Perigeo e ispirato in particolar modo dal folgorante “Bitches brew” di Miles Davis, pubblicò nel 1972 il suo album d’esordio, “Azimut”, ora celebrato, insieme ad altre tra le maggiori opere del progressive rock italiano, dalla nuova iniziativa di Sony Music “Italian Prog Rewind”.

Perigeo

Dietro alla formazione e al fermento del gruppo c’era il contrabbassista e bassista elettrico Giovanni Tommaso, il quale fece tesoro per la sua crescita professionale della lezione americana di jazzisti come Paul Chambers, Ray Brown e Scott La Faro che scoprì a New York, dove sbarcò dopo aver dato il via alla sua attività di musicista suonando a bordo di una nave da crociera. Nel dare anima e suono ai Perigeo, una volta affinata la propria tecnica e tornato in Italia, Tommaso era spalleggiato dal pianista Franco D’Andrea del Modern Art Trio, con il quale coinvolse il batterista Bruno Biriaco, prima di chiamare anche il sassofonista Claudio Fasoli e il chitarrista Tony Sidney. Grazie all’esperienza di Giovanni Tommaso come strumentista, arrangiatore e produttore all’interno della RCA, la band firmò un contratto per un album e i cinque musicisti misero a segno il loro esordio discografico. Arrivò quindi “Azimut” che, nonostante alcune critiche dei cosiddetti "puristi" del jazz e pur non raggiungendo un successo commerciale significativo, garantì al gruppo un contratto per altri quattro album, da “Abbiamo tutti un blues da piangere” del 1973 a “Genealogia” dell’anno successivo, da “La valle dei templi” (1975) fino a “Non è poi così lontano” (1976), seguito nel 1977 dalla fine dell’esperienza della formazione conosciuta con il nome Perigeo.

“Azimut”

Un’onirica atmosfera che avvolge il canto sommesso e acido di Giovanni Tommaso, poi travolto dalla furia delle improvvisazioni di pianoforte e batteria insieme alle pulsazioni del basso, apre “Azimut”. La prima traccia “Posto di non so dove” inaugura il viaggio dei Perigeo in una dimensione immaginaria, come alla scoperta di nuove terre. Dopo la prima delle due sole canzoni dell’album, il gruppo si lancia con frenesia in una corsa senza sosta dentro un labirinto strumentale, dove la maestria dei cinque musicisti trova soluzione nell’invenzione e nella sperimentazione di rock, progressive e jazz. Giunge allora, come una pietra preziosa e tesoro di esperienze vicine e lontane, “Grandangolo” e l’ambizione della band di descrivere con la qualità dei suoni il fermento sociale del suo periodo. L’ascoltatore è poi portato dentro le linee fantasiose e all’apparenza più tranquille e riflessive di “Aspettando il nuovo giorno”, mentre il brano strumentale che dà il titolo all’album introduce una generosa luminosità nella parte melodica che, dopo un inizio di sperimentazione, risplende con l’ingresso dell’ipnotica sezione ritmica che si unisce al contrabbasso in una gara di velocità con il pianoforte e la chitarra.

La voce di Giovanni Tommaso, come “Un respiro”, torna a farsi sentire e ad allungare le inflessioni musicali nella seconda parte del lato B di “Aizmut”. Viene così anticipata la conclusione che racchiude totalmente la smania dei Perigeo di inseguire la propria libertà nel jazz e dare sfogo all’urgenza nel rock con entusiasmo e provocazione. Gli assoli di piano, sax e chitarra, uniti all’incursione del basso e del contrabbasso, a volte come dei guaiti e in altri momenti come degli stimoli, culminano nell’apice del disco. Ecco che “36º parallelo” chiude “Aizmut” e rimane fedele al rinnovamento inseguito - e di conseguenza regalato alla musica italiana - dai Perigeo che, per parafrasare il testo di “Posto di non so dove”, credono nel futuro.

Tracklist

01. Posto di non so dove - Prima Parte (06:09)
02. Grandangolo (08:19)
03. Aspettando il nuovo giorno (03:56)
04. Azimut - Prima Parte (07:16)
05. Un respiro (01:36)
06. 36 parallelo (09:47)

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