Marilyn Manson: 25 anni di “Holy Wood”
L’11 novembre di venticinque anni fa usciva “Holy Wood (In the Shadow of the Valley of Death)”, l’album che ha chiuso la trilogia di Marilyn Manson iniziata con “Antichrist Superstar” e proseguita con il decadente e trasformista glam rock di “Mechanical Animals”. Un disco, questo terzo capitolo, profondamente industrial e al tempo stesso teatrale e provocatorio, nato in un momento di grandi tensioni sociali e mediatiche. L’uscita seguì di poco la strage alla Columbine High School del 1999, un evento tragico che trasformò Manson in un capro espiatorio: i media e alcuni politici accusarono la rockstar di avere influenzato i due giovani autori della sparatoria, alimentando una campagna di diffamazione e panico morale che lo seguì per anni. La copertina del disco, con Manson crocifisso, suscitò ulteriori polemiche, diventando simbolo di sfida diretta a religione, moralismo e censura.
Il titolo stesso, “Holy Wood”, evoca da un lato l’industria dello spettacolo e la cultura della fama, dall’altro la “Valley of Death”, l’ombra della violenza, della corruzione e dell’innocenza perduta. L’album racconta la storia di Adam, un outsider che cerca di entrare in “Holy Wood”, nome storpiato di Hollywood, ma scopre che le stesse forze che lo respingono, lo accolgono e poi ancora lo espellono, trasformando la sua ribellione in spettacolo. “Holy Wood” rappresenta il culmine artistico di Manson: un’opera che unisce provocazione e introspezione, teatralità e ferocia, costruendo una riflessione su religione, potere, fama e alienazione giovanile. E soprattutto sul successo, sulla celebrità, sul culto della persona. Un argomento che da Cristo in poi, per Manson, ha portato a brutalità, storture e nefandezze. Tutte considerazioni avvenute in epoca pre social e per questo motivo estremamente premonitrici. Musicalmente mescola sonorità pesanti, elettroniche e melodiche in un equilibrio che l’artista stesso definì un “White Album industrial”. Questo progetto è quello per cui l'intero gruppo ha contribuito di più nella carriera della rockstar americana: tutti i membri, in particolare Twiggy Ramirez e John 5, hanno collaborato al processo di scrittura delle canzoni, facendo sì che per la prima volta il nome Marilyn Manson suonasse “come quello di una band”, raccontò l’artista in quegli anni.
In “Lamb of God” Manson riflette sul martirio mediatico, la marginalità giovanile è espressa in “Disposable Teens”, con versi come “Noi siamo i nessuno, vogliamo diventare qualcuno, e quando saremo morti sapranno chi siamo”. Nel disco, anche grazie a clip e video oscuri, la religione si intreccia con la violenza e la pubblicità, mostrando una società ossessionata dal culto della celebrità. Altre frasi emblematiche mostrano la profondità e l’intimità dei testi: da “The Nobodies”, “oggi sono sporco, voglio essere bello, domani so di non essere altro che sporco”, a “The Death Song” con “eravamo il mondo, ma non abbiamo futuro, e vogliamo essere come voi” fino alla devastante e magnifica “The Fight Song”, il cui video era in rotazione su Mtv, in cui Manson dice “la morte di uno è una tragedia, ma la morte di un milione è solo una statistica”. L’album fu oggetto di dibattiti sulla censura e sul ruolo della provocazione nell’arte contemporanea.
La crocifissione in copertina, le liriche esplicite contro il governo, le armi e la religione, oltre al contesto storico delle sparatorie scolastiche, alimentarono la percezione di Manson come “pericolo pubblico” e di “anticristo del rock”, ma allo stesso tempo rafforzarono la sua figura di artista capace di trasformare scandalo e shock in riflessione culturale. A venticinque anni dalla sua uscita, “Holy Wood” resta un’opera urticante e violenta, un disco rock che non solo ha segnato una generazione, ma continua a interrogare sul confine tra outsider e sistema, sulla spettacolarizzazione della morte, sul prezzo della notorietà e sul ruolo dell’arte come specchio di una società malata.